COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Lombardia sentenza n. 1634 sez. 21 depositata il 6 luglio 2020
Per l’esenzione IVA nell’ ambito delle operazioni intracomunitarie è necessaria l’iscrizione nel registro Vies, la quale ha natura sostanziale e non meramente formale pertanto il mancato inserimento nel registro Vies non consente di effettuare operazioni in ambito UE esenti IVA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale I di Milano propone appello contro la sentenza n. 4023/2019 della CTP di Milano Sez.8 che ha accolto il ricorso presentato da P. L. srl avente ad oggetto l’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2013, con il quale l’Agenzia recuperava ex art. 54 DPR 633/72 la maggiore imposta IVA di euro 24.601 per avere la Società emesso fatture non imponibili in assenza di inclusione nell’archivio VIES nell’ambito di cessioni intracomunitarie di beni.
In particolare, la Società contribuente chiede in sede di ricorso l’annullamento dell’avviso richiamando l’art. 204 dell’AIDC secondo cui la iscrizione al VIES costituisce una condizione solo formale ai fini del riconoscimento dello status del soggetto passivo Iva nei rapporti transnazionali.
La Società richiama, altresi, la giurisprudenza comunitaria favorevole alla tesi sostenuta.
L’Ufficio sostiene che l’iscrizione all’archivio Vies non è un requisito meramente formale, ma un onere.
La parte sostiene poi di essersi avvalsa della definizione agevolata ex art. 9 DL 119/2028 definendo la violazione formale.
La sentenza accoglie il ricorso e condanna l’Ufficio alle spese per euro 2000, affermando che la definizione agevolata può avere riflessi soltanto sul provvedimento di irrogazione di sanzioni mentre l’attuale procedimento attiene alla ripresa dell’imposta IVA.
La sentenza richiama il principio comunitario, per il quale il requisito della soggettività passiva non è collegato al possesso di un numero di identificazione Vies, avente natura meramente formale, la cui mancanza non è idonea a giustificare un diniego dell’esenzione.
Invoca la effettività delle prestazioni e cita la Direttiva Iva 2018/1910/UE che, a modifica della precedente disciplina, stabilisce che l’iscrizione Vies torni ad essere un requisito sostanziale.
La DPI Di Milano propone appello e chiede la riforma della sentenza impugnata e conferma dell’avviso di accertamento.
Deduce violazione dell’art. 35 del DPR 633/1972 e dell’art. 27 DL 78/2010 convertito in legge 122/2010.
Richiama la disciplina comunitaria, secondo la quale con Regolamento n.904/2010, il legislatore europeo ha posto a carico di tuti gli Stati europei con decorrenza dal 1.1.2012 l’obbligo di istituire un archivio informatico dei soggetti autorizzati ad effettuare scambi intracomunitari.
La nuova disciplina comunitaria, recepita nell’art. 27 comma 1 DL n.78/2010 convertito in legge 122/2010, ha portato alla modifica dell’art. 35 DPR 633/72, stabilendo che l’inserimento nel registro VIES è subordinato alla presentazione di apposita dichiarazione da inserire nella comunicazione di inizio attività.
In altre parole, occorre qualcosa in più rispetto al possesso del numero IVA valido per le operazioni interne, in quanto lo stesso numero deve essere validato nel registro VIES per le operazioni intracomunitarie, come confermato dalla Circolare n.39/E del 1.8.2011.
Nel caso di specie, la Società contribuente ha effettuato nei mesi di novembre e dicembre 2013 cessioni intracomunitarie emettendo fatture non imponibili per euro 111.821, essendo stata presentata la domanda ai fini dell’inclusione soltanto il 101.1.2014.
La Direttiva n. 2018/1910/UE si limita a confermare la legittimità dell’operato dello Stato italiano volto ad attribuire il carattere sostanziale al requisito dell’iscrizione.
Deduce violazione dell’art. 2697 c.c. non avendo la Società contribuente dimostrato la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per far sorgere il diritto all’esenzione né l’effettività dell’operazione intracomunitaria.
In altri termini, non ha dimostrato né la sussistenza del soggetto cessionario né l’effettiva consegna della merce.
La Controparte non si costituisce in giudizio.
La Commissione in camera di consiglio decide come da dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello appare fondato e meritevole di accoglimento.
L’appellante deduce il primo motivo di impugnazione richiamando la disciplina comunitaria, secondo la quale con Regolamento n.904/2010, il legislatore europeo ha posto a carico di tutti gli Stati europei con decorrenza dal 1.1.2012 l’obbligo di istituire un archivio informatico dei soggetti autorizzati ad effettuare scambi intracomunitari.
Secondo l’appellante, la disciplina comunitaria, recepita nell’art. 27 comma 1 DL n.78/2010 convertito in legge 122/2010, ha portato alla modifica dell’art. 35 DPR 633/72, stabilendo che l’inserimento nel registro VIES è subordinato alla presentazione di apposita dichiarazione da inserire nella comunicazione di inizio attività.
In altre parole, occorre qualcosa in piu’ rispetto al possesso del numero IVA valido per le operazioni interne, in quanto lo stesso numero deve essere validato nel registro VIES per le operazioni intracomunitarie, come confermato dalla Circolare n.39/E del 1.8.2011.
Il primo motivo di appello appare fondato e meritevole di accoglimento.
L’archivio Vies ( Vat information exchange system) è l’archivio informatico dei soggetti autorizzati a porre in essere operazioni intracomunitarie, tenuto dall’Agenzia delle Entrate, la cui obbligatorietà è stata introdotta con il Regolamento UE n.90472010 del 7.10.2010 sulla lotta alle frodi in materia di Iva. Le nuove regole europee sono state recepite dall’art. 27 comma 1 del DL 78/2010 convertito in L.122/2010, che ha comportato la modifica del testo dell’art. 35 DPR 633/72.
Tale norma, come novellata dal legislatore del 2010, prevede la necessità di ottenere una specifica autorizzazione dalla Agenzia delle Entrate competente per effettuare operazioni in ambito UE, con la finalità di contrastare le frodi dell’Iva, stabilendo che l’inserimento nel registro Vies sia subordinato alla presentazione di un’apposita dichiarazione da inserire nella comunicazione di inizio attività.
Occorre in altri termini una sorta di validazione nel registro Vies per le operazioni intracomunitarie non essendo sufficiente ai fini dell’identificazione dei soggetti passivi il numero della partita Iva valido per le operazioni a carattere interno.
Ne discende che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, l’inosservanza dell’obbligo di iscrizione nel registro Vies si traduce in una carenza di soggettività ai fini del regime intracomunitario, trattandosi di una violazione con valenza sostanziale e non meramente formale, come pretenderebbe la parte contribuente.
In altri termini, la nuova disciplina introdotta dal legislatore comunitario nel 2010 in chiave di contrasto alle frodi Iva non si è limitata ad introdurre un adempimento di mero carattere formale, ma ha sancito sul piano sostanziale un vero e proprio onere, il cui mancato adempimento fa venir meno un presupposto indispensabile per essere identificati dalle controparti comunitarie come soggetti passivi Iva. La disciplina in esame riguarda sia gli acquisti e cessioni UE sia le prestazioni di servizi in ambito UE.
Può affermarsi che l’inclusione costituisce una condizione sostanziale in quanto è motivata dal fatto che il Regolamento UE in data 15.3.2011 n.282 stabilisce in modo espresso che” in tema di prova dello status di soggetto passivo del committente (al pari del cedente) il prestatore comunitario ( al pari del cessionario comunitario) deve ottenere tale prova consultando i dati presenti nell‘archivio Vies“.
In tal senso, la circolare n.39/E del 1 agosto 2011 precisa che l’inclusione nell’archivio Vies è indispensabile per qualificare correttamente le cessioni e le prestazioni come effettuate o ricevute dal contribuente italiano, soggetto passivo Iva ai fini degli scambi intracomunitari.
In altri termini, la mancata iscrizione al Vies non consente di effettuare operazioni in ambito UE.
Ne deriva che in nessun caso può affermarsi la natura meramente formale dell’iscrizione al Registro Vies, posto che sia la ratio della complessiva riforma del 2010 in termini di contrasto alle frodi in materia di Iva. sia la formulazione letterale delle nuove previsioni comunitarie e nazionali convergono nel senso di attribuire valore decisivo ed essenziale, ai fini della soggettività passiva Iva in materia di scambi intracomunitari, alla prova derivante dall’scrizione nel registro Vies.
Secondo l’Ufficio, la natura sostanziale del requisito dell’iscrizione al VIES discende direttamente dalla relazione illustrativa dell’art. 27 del DL n.78/2010 , in quanto in mancanza di iscrizione all’archivio Vies il soggetto non può essere considerato soggetto passivo Iva italiano ai fini delle operazioni intracomunitarie.
Si condivide tale interpretazione, che è coerente con il sistema introdotto dal legislatore comunitario nel 2010, come recepito dal legislatore nazionale con la riforma dell’art. 35 DPR 633/72.
Nel caso di specie, è il soggetto cedente ad essere stato privo, nel corso delle operazioni intracomunitarie effettuate nell’anno 2013, del presupposto fondamentale, costituito dall’iscrizione nel registro Vies.
Come già rilevato, La Società contribuente effettua nei mesi di novembre e dicembre 2013 cessioni intracomunitarie emettendo fatture non imponibili ex art. 41 comma 1 del DL 331/1993 per euro 111.821, in assenza di inclusione nell’archivio Vies, essendo stata presentata la domanda ai fini dell’inclusione soltanto nel gennaio 2014.
Ne deriva che il soggetto cedente nel corso delle operazioni intracomunitarie, effettuate nel corso del 2013, era privo di un presupposto fondamentale, con la conseguenza che le operazioni intracomunitarie devono ritenersi assoggettate ad imposizione in Italia, con i connessi riflessi posto che le operazioni sono state irritualmente assoggettate al regime fiscale Iva proprio delle cessioni e prestazioni intracomunitarie effettuate da soggetto passivo.
Inoltre, per completezza si osserva che la sentenza impugnata deve essere riformata anche laddove afferma che” degna di menzione è la Direttiva 2018/1910/UE che modificando la Direttiva Iva 2006/112/CE stabilisce che l’iscrizione Vies torni ad essere un requisito sostanziale”.
Al di là della incomprensione del passo della sentenza, nella quale si afferma che l’iscrizione “tornerebbe” ad avere valore sostanziale, in realtà l’intervento del legislatore comunitario del 2018 deve essere valutato con una chiave di lettura del tutto diversa, e non nel senso forzato e non corrispondente alla volontà del legislatore di una conferma della natura formale dell’iscrizione fino alla data del 1.1.2020 di entrata in vigore del provvedimento in esame.
Con la Direttiva 2018/1910 del 4.12.2018, il legislatore comunitario è intervenuto per porre fine alla questione dibattuta sulla natura sostanziale o meno dell’iscrizione nel Registro Vies in relazione al codice identificativo Iva , con un intervento espresso sulla Direttiva precedentemente in vigore del 2006, che aveva creato dubbi interpretativi.
Si intende dire che il legislatore comunitario ha scelto deliberatamente di recepire nel diritto positivo comunitario l’unica interpretazione coerente con il sistema normativo in materia di IVA, che consentiva di affermare già prima dell’intervento espresso del 2018 che il codice identificativo Iva con l’iscrizione nel Registro Vies aveva natura sostanziale, integrando un onere costituente un requisito sostanziale per l’applicazione dell’esenzione.
In altri termini, per sgombrare il campo da ogni equivoco interpretativo, il legislatore comunitario ha scelto di intervenire in modo espresso sulla disposizione ex art. 138 della Direttiva 2006/112/CE, modificando il paragrafo I nei termini seguenti:” Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati al di fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, qualora sono soddisfatte le condizioni seguenti: i beni sono ceduti a un altro soggetto passivo o a un ente non soggetto passivo che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio e ha comunicato al cedente tale numero di identificazione Iva”.
Non solo: il legislatore comunitario, confermando la correttezza dell’interpretazione a favore del carattere sostanziale dell’iscrizione nel registro Vies, ha chiarito che al requisito sostanziale, che deve sussistere al momento in cui si realizza una cessione intracomunitaria, si deve aggiungere un’altra condizione a cui è subordinato il regime di esenzione, consistente nella compilazione, con l’indicazione del corretto codice identificativo Iva dell’acquirente comunitario e la relativa presentazione del Mod.lntrastrat delle cessioni di beni.
Si intende dire che nel 2018, il legislatore comunitario ha ulteriormente rafforzato, in una logica coerente con la Direttiva 2006/112/CE e con la riforma del 2010, le procedure di controllo al fine di contrastare le frodi Iva in ambito UE: a tale scopo, sgombrando il campo da ogni equivoco, ha statuito a chiare lettere che il controllo preventivo del codice identificativo Iva dell’acquirente , esistente e valido, rappresenta anche formalmente un obbligo, il cui mancato adempimento non consente di soddisfare la condizione della corretta compilazione e presentazione del Mod. Intrastat delle cessioni intracomunitarie di beni.
Sebbene il legislatore nazionale non abbia ancora recepito nell’ordinamento interno le richiamate disposizioni, la natura dettagliata di tali disposizioni consente la diretta applicazione.
In definitiva, secondo il Collegio, la nuova Direttiva 2018/1910/UE conferma la bontà dell’interpretazione dell’Ufficio che storicamente aveva sempre ritenuto l’iscrizione all’archivio Vies requisito a carattere sostanziale per l’applicazione del regime di non imponibilità ( pur avendo recentemente operato delle apertura a favore dell’opposto orientamento, peraltro conforme ad alcune pronunce della Corte di Giustizia Ue).
Venendo al secondo motivo di impugnazione, l’appellante deduce violazione dell’art. 2697c.c. non avendo la Società contribuente dimostrato la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per far sorgere il diritto all’esenzione né l’effettività dell’operazione intracomunitaria.
Anche il secondo motivo di impugnazione appare fondato e meritevole di accoglimento.
La Società contribuente non risulta aver dimostrato né la sussistenza del soggetto cessionario né l’effettiva consegna della merce.
Si legge nella sentenza impugnata che non è contestata la natura dei soggetti interessati né la effettività delle operazioni.
Ora, è principio generale dell’ordinamento tributario che lonere di provare la sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive per far sorgere il diritto all’esenzione Iva è posto ex art. 2697 c.c. a carico del contribuente che invoca l’agevolazione, trattandosi di deroga al normale regime di imposizione.
La sentenza si limita ad affermare che l’Ufficio non avrebbe contestato la natura dei soggetti interessati né l’effettività delle operazioni, ma non verifica in concreto sul punto se la Società contribuente abbia effettivamente assolto all’onere della prova indicando elementi dimostrativi della sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive per far sorgere il diritto all’esenzione Iva.
Se la verifica fosse stata compiuta, come imposto dal principio di distribuzione dell’onere probatorio, avrebbe fatto emergere la totale assenza della prova delle condizioni oggettive e soggettive dell’esenzione Iva.
Stante la mancata costituzione in giudizio della parte, non si fa luogo ad alcuna determinazione in ordine alle spese.
PQM
La Commissione accoglie l’appello dell’Ufficio, e in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso introduttivo della Società contribuente.
Nulla sulle spese.
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