COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per il Veneto sentenza n. 164 sez. 11 depositata il 31 marzo 2017
Massima
E’ la destinazione, anche potenziale, dell’immobile e non il concreto utilizzo, il presupposto che giustifica l’esenzione del pagamento dell’ICI per gli edifici di culto prevista dall’art. 7, comma 1, del D. Lgs. 504/1992. I giudici di secondo grado, pur consapevoli che l’orientamento della Suprema Corte espresso con la sentenza n. 2821/2012, affermi che, per realizzarsi il presupposto oggettivo richiesto dalla norma, nell’immobile debba essere effettivamente (ed esclusivamente) realizzata l’attività, ritengono tuttavia di aderire alle opposte conclusioni a cui la stessa Corte era invece giunta con la sentenza n. 9948/2008. In questa pronuncia gli ermellini sostengono infatti come sia la “destinazione”, anche potenziale e non l'”utilizzo” concreto la ragione fondamentale posta dal legislatore alla base dell’esenzione.
La controversia è relativa ad un avviso di accertamento per ICI 2008 che il Comune di Selvazzano Dentro (PD) notificò, con posta raccomandata ricevuta il 7/1/14, all’ente “—” in relazione ad un complesso immobiliare di proprietà di quest’ultimo, sito nel territorio del Comune. Con l’avviso veniva chiesto il pagamento di euro 246.284,27 per imposta e complessivamente di euro 397.441,00; veniva contestata l’infedele dichiarazione ICI; veniva sostenuto l’assoggettamento ad ICI dell’immobile principale categoria B/5 e dei due minori in categoria D/1 in considerazione della non applicabilità dell’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 7, comma 1, lettera i) del D. Lgs. 504/92.
In precedenza, nel Luglio 2008, il Comune aveva comunicato all’Ente l’avvio di un procedimento ex art. 7 della legge 241/90 ed aveva chiesto di chiarire i motivi del mancato pagamento ICI, rilevando la situazione di inutilizzo del complesso immobiliare, ove non veniva più svolta alcuna attività di formazione del clero.
L’Ente rispose nel successivo Ottobre 2008 rilevando che una delibera del Consiglio Comunale del 2003 aveva ricondotto l’area del complesso in zona F3, precisandone la destinazione ad attività religiose, con esclusione di ogni forma di residenzialità o di attività socio-assistenziale; rilevando ancora che il complesso, inutilizzato ed a disposizione, sino a quel momento non aveva avuto alcun altro e diverso utilizzo e sostenendo di conseguenza l’esenzione ICI come prevista dal citato art. 7.
Per quanto agli atti non risulta alcuna altra interlocuzione tra le parti in relazione alla debenza ICI dall’Ottobre 2008 sino al 30/12/2013, giorno in cui fu inoltrato tramite servizio postale l’accertamento ricevuto dall’Ente il 7/1/14 successivo. Ancora dagli atti risulta che il complesso non è più utilizzato per la formazione del clero sin dal Settembre 2002 e che negli anni successivi è stato oggetto di trattative per la sua cessione, concretizzate anche in contratti preliminari di compravendita.
Avverso l’accertamento l’Ente — propose ricorso e sulla base di una serie articolata di eccezioni e motivi chiedeva l’annullamento dell’avviso ed in subordine la disapplicazione delle sanzioni. Il Comune costituitosi in giudizio chiedeva il rigetto del ricorso. Successivamente le parti depositarono ulteriori memorie e documentazione.
La Commissione Tributaria Provinciale di Padova, con sentenza depositata il 29/12/2014, accolse il ricorso, annullò l’avviso di accertamento e condannò il Comune al pagamento del 50% delle spese del giudizio.
I Primi Giudici ritennero che il comportamento del Comune, il quale nel tempo aveva continuato a non chiedere il pagamento dell’ICI e contemporaneamente aveva fruito del contributo statale per gli immobili esenti ICI, avesse ingenerato nell’Ente contribuente il legittimo affidamento circa l’esenzione ICI del complesso. Ancora nel merito i Primi Giudici riconobbero in capo all’Ente contribuente sia il requisito soggettivo che quello oggettivo dell’esenzione ex art. 7 citato; in relazione a quello oggettivo rilevarono come discrimine il fatto che il complesso immobiliare fosse destinato (anche se non effettivamente utilizzato, come ritenuto necessario dal Comune) ad usi agevolati, con l’avvenuta dimostrazione che nessun altro uso era effettivamente possibile.
Il Comune di Selvazzano Dentro ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza e la conferma delta debenza delle somme richieste con l’accertamento. Sostiene l’erroneità della sentenza in fatto ed in diritto; contesta l’esistenza del presupposto oggettivo di esenzione dall’imposta perché il complesso immobiliare non era effettivamente “utilizzato” in una delle attività previste dal citato art. 7, bensì solo “destinato” ad esse; sottolinea ancora, a tal proposito, che il complesso era anche stato in parte commercialmente locato (invero di ciò fornisce dimostrazione per il solo anno 2001). Ancora il Comune rileva alcuni aspetti che emergono dalla documentazione in atti circa le trattative per la cessione del complesso per arrivare a sostenere che l’Ente appare non tanto un operatore sociale, quanto un normale operatore commerciale; sostanzialmente quindi mette in dubbio l’esistenza del presupposto soggettivo per l’esenzione dall’imposta, anche sostenendo che non risulta riscontro documentale che l’Ente — abbia svolto in passato direttamente attività di formazione del clero.
L’Ente si è costituito in giudizio con controdeduzioni ed appello incidentale, chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma dell’annullamento dell’avviso di accertamento. Preliminarmente eccepisce che controparte non ha impugnato statuizioni fondamentali dei Primi Giudici ed ha erroneamente ricostruito i fatti; ancora sostiene essersi formato il giudicato interno sul punto della sentenza che riconosce la propria buona fede ed il proprio legittimo affidamento. Replica quindi circa la mancanza del presupposto soggettivo d’esenzione sottolineando che tale mancanza non venne contestata né con l’avviso, né in primo grado, cosicché il motivo risulta inammissibile ed altresì infondato. Successivamente ribadisce la sussistenza del presupposto oggettivo come riconosciuto dai Primi Giudici. L’Ente contribuente passa poi a riproporre i motivi di ricorso che erano rimasti assorbiti: ovvero l’illegittimità dell’accertamento senza un previo P.V.C. ed ancora la contraddittorietà e l’illogicità del comportamento del Comune nell’emettere l’accertamento ed ancora la non applicabilità delle sanzioni. Infine l’Ente contribuente ripropone i motivi di ricorso esplicitamente respinti dai Primi giudici: difetto di sottoscrizione e difetto di motivazione dell’accertamento.
Il Comune ha depositato ulteriori controdeduzioni il 2/12 scorso, mentre l’ente contribuente ulteriore documentazione il 22/11/16 ed una memoria illustrativa l’1/12/16. Con quest’ultima in particolare chiede che oltre al pagamento delle spese del giudizio il Comune sia condannato, ex art. 96 c.p.c., al pagamento del risarcimento dei danni di immagine e reputazionali causati dal comportamento tenuto, che giudica temerario.
L’avviso di accertamento è relativo all’anno 2008 e risulta tempestivamente notificato. Con esso il Comune di Selvazzano Dentro chiede all’ente “—” il pagamento dell’imposta “ICI” per il 2008 (euro 246.284,27), ma anche irroga le sanzioni e chiede il pagamento degl’interessi, complessivamente euro 397.441,00.
Ma se l’imposta è effettivamente dovuta (e ciò sarà valutato più sotto) a giudizio di questo Collegio il Comune potrebbe al più chiedere il pagamento dell’imposta stessa e degl’interessi con decorrenza dalla data di avvenuta notifica dell’accertamento; ma non i precedenti interessi e neppure le sanzioni. Infatti il mancato pagamento dell’ICI da parte dell’Ente risulta essere stato, in tutta evidenza, un comportamento in buona fede, basato sul legittimo affidamento fatto sull’azione, o meglio mancata azione del Comune, che a lungo ha indotto a considerare esente ICI il complesso immobiliare in esame.
A questo proposito si deve considerare quanto già esposto in narrativa: il 25 Luglio 2008 il Comune chiese all’Ente il motivo del mancato pagamento ICI e il 13 Ottobre dello stesso anno l’Ente rispose, spiegando perché ritenesse esente dall’imposta il complesso immobiliare, ovvero applicabile alla fattispecie l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lettera i), del D. Lgs. 504/1992. Da Ottobre 2008 fino alla notifica dell’avviso di accertamento in esame (7/1/2014) il Comune non ha più formulato rilievi o replicato o contrastato l’assunto formulato dall’Ente nell’Ottobre 2008, né ha in qualche modo chiesto il pagamento dell’imposta, ingenerando così il legittimo affidamento che il complesso immobiliare fosse effettivamente esente.
Tale comportamento del Comune, si osserva, ha fatto si che esso decadesse dal diritto di recuperare l’ICI, se effettivamente dovuta, per gli anni 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007, per i quali pure non era stata versata dall’Ente. Ancora tale comportamento ha fatto si che l’Ente si ritenesse legittimato a non versare l’imposta per il 2008, anno dell’interlocuzione tra le parti, ma anche per i successivi 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013, fino alla notifica dell’accertamento.
Esistono anche altri elementi che confermano il legittimo affidamento che l’Ente ebbe a porre sul comportamento del Comune: sono agli atti le dichiarazioni dell’ex sindaco e dell’ex funzionario comunale responsabile dei tributi i quali affermano che il Comune riteneva esente ICI il complesso immobiliare; ancora risulta agli atti che il Comune per il 2003 ed anni successivi, anche per il 2008, ricevette dallo Stato cospicui contributi a fronte di immobili “religiosi” situati sul suo territorio, in particolare risulta che la gran parte di tali contributi fosse proprio a fronte del complesso immobiliare in discorso.
Ma questi ulteriori elementi non sono decisivi, rafforzano solo la conclusione che la mancata azione del Comune da Ottobre 2008 a tutto il 2013 ha consentito all’Ente di ritenere fondata la propria convinzione di esenzione ICI per il complesso immobiliare. Da qui discende che le sanzioni non possono essere pretese e neppure gl’interessi, fintantoché all’Ente contribuente non sia stato comunicato il diverso avviso del Comune in relazione all’esenzione o meno dall’imposta.
Ebbene il Comune di Selvazzano Dentro con l’avviso di accertamento in esame sostiene che il complesso immobiliare non è esente ICI, modifica quindi la propria valutazione della situazione rispetto a quella che risultava in precedenza, quale conseguenza di un comportamento che legittimamente poteva essere considerato concludente.
In questa sede in particolare il Comune sostiene che nella fattispecie non sussistono né il presupposto soggettivo, né quello oggettivo per poter considerare esente ICI il complesso immobiliare sulla previsione del citato art. 7, comma 1, lettera i).
Tuttavia l’asserita mancanza del presupposto soggettivo risulta essere una motivazione infondata, ma prima ancora inammissibile. Infatti tale mancanza non venne contestata con l’avviso di accertamento e neppure sostenuta durante il primo grado del giudizio. Peraltro a ben guardare risulta basata sostanzialmente sulla rielaborazione di articoli di stampa, che non possono certo assumere valore probante in questa sede. Comunque si deve osservare che l’art. 2 della legge 222/1985 inserisce di diritto i Seminari tra gli enti aventi fine di culto e quindi non commerciali, cosicché nella fattispecie esiste comunque, sicuramente, il presupposto soggettivo, come individuato dal citato art.7.
Più articolata risulta invece la valutazione sull’esistenza o meno del presupposto oggettivo, che così veniva individuato dalla norma come vigente per il 2008: ” … gli immobili utilizzati dai soggetti …, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché alle attività di cui all’art. 16, lettera a), della L. 20 maggio 1985, n. 222″.
Nel caso in esame viene pacificamente riconosciuto da entrambe le parti che il complesso immobiliare risulta inutilizzato a decorrere dal Settembre 2002 (quindi anche nel 2008) e che in precedenza era stato utilizzato per la formazione del clero. Ma è proprio da questa situazione di mancato utilizzo che il Comune fa discendere la pretesa impositiva: considera infatti che il presupposto oggettivo sia concretizzato solo dall’effettivo “utilizzo” degli immobili per lo scopo; al contrario l’Ente sostiene che il presupposto si concretizza sulla base della semplice “destinazione” allo scopo (tra quelli individuati dalla norma citata).
Ebbene si deve osservare che la “destinazione” ad attività di formazione del clero non risulta in dubbio; non per la breve e temporanea locazione di una modestissima porzione del complesso risalente al 2001, in cui il locatario era lo stesso Comune; neppure a seguito delle varie trattative per la vendita del complesso, che per quanto agli atti non hanno comunque condotto ad una diversa destinazione d’uso, come del resto è stato già osservato dai Primi Giudici.
Ciò premesso, secondo questo Collegio la lettura della norma operata dall’Ente è condivisibile. Contrariamente a quanto ritiene il Comune ciò che rileva perché si concretizzi il presupposto oggettivo è la “destinazione”, anche potenziale, dell’immobile e non “l’utilizzo”, perché è la “destinazione” che appare essere la ragione fondamentale assunta dal legislatore per giustificare l’esenzione che ha disposto.
Risulta pur vero che nel testo legislativo, con riferimento agli immobili, compare anche il termine “utilizzati”, ma si ritiene che in questo contesto tale termine significhi che gli immobili debbono appartenere a essere posseduti da un ente il quale concretizzi anche il presupposto soggettivo.
Del resto in questo senso si è espressa anche la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 9948 del 16/04/2008 ha articolatamente esaminato una fattispecie analoga a quella odierna per giungere alla conclusione di cui sopra. In particolare la Suprema Corte ha osservato: “” … l’uso dell’espressione “utilizzo” non fa riferimento, quindi, ad un concetto dinamico di “concretezza” o di “effettività” relativamente allo svolgimento delle attività considerate dalla norma, ma indica solo la natura del rapporto tra l’immobile e il soggetto che ne dispone””.
A maggior ragione nel caso in esame appare sufficiente la “destinazione” poiché con delibera del Consiglio Comunale del 2003 il complesso immobiliare era stato inserito in zona F3, espressamente dedicata ad attività religiose, con esclusione di ogni forma di residenzialità o di attività socio assistenziale.
Concludendo sul punto: questo Collegio ritiene che nella fattispecie sussistano entrambi i presupposti, soggettivo ed oggettivo, perché il complesso immobiliare in discorso sia esente dall’ICI, cosicché l’appello del Comune di Selvazzano Dentro risulta infondato e deve essere rigettato, mentre la sentenza impugnata che annulla l’avviso di accertamento deve essere confermata.
Tuttavia questo Collegio è anche consapevole che la stessa norma potrebbe essere interpretata diversamente, ponendo l’accento sulla condizione di effettivo “utilizzo” dell’immobile ai fini dell’esenzione ICI. E’ quello che fa la stessa Corte di Cassazione con altra sentenza, la n. 2821 del 24/02/2012 ove, in un caso almeno in linea generale riconducibile a quello odierno, afferma che per concretizzare il presupposto oggettivo la “ratio” della norma prevede che nell’immobile sia effettivamente (ed esclusivamente) realizzata l’attività.
Si ribadisce comunque che questo Collegio ritiene più coerente con la ratio della norma e con la specifica fattispecie l’interpretazione esposta più sopra. Peraltro Il contrasto tra la giurisprudenza di legittimità induce a compensare le spese del grado di giudizio.
Quanto stabilito assorbe e rende superfluo l’esame di ogni altra eccezione e motivo di appello, inclusi quelli dell’appello incidentale.
Da ultimo si osserva che il Comune sembra aver aderito prima ad una e poi all’altra interpretazione, in tempi diversi. Ma questo cambio di interpretazione non configura in alcun modo quello che l’Ente contribuente qualifica come comportamento temerario da parte del Comune, tanto più che si è in presenza di un contrasto giurisprudenziale di legittimità emerso nel tempo. Deve quindi essere sicuramente rigettata la richiesta dell’Ente di condannare controparte, ex art. 96 c.p.c., al pagamento del risarcimento dei danni di immagine e reputazionali.
Rigetta l’appello del Comune di Selvazzano Dentro e conferma la sentenza impugnata. Compensa integralmente le spese del grado di giudizio.
Venezia, 13 Dicembre 2016
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