CONSIGLIO DI STATO – Sentenza 19 luglio 2021, n. 5441
Dottore commercialista che svolge anche attività di consulente del lavoro – Delibera assunta da Consiglio Provinciale dei Consulenti del Lavoro – Rigetto dalla richiesta di iscrizione nel registro dei praticanti – Incompatibilità ex art. 2, co. 8, del Regolamento sul Praticantato – Professionista Consulente del Lavoro come unico dante pratica abilitato – Tirocinante e dominus dante pratica devono appartenere al medesimo ordinamento professionale
Fatto e diritto
1. – Con il ricorso di primo grado, proposto dinanzi al TAR Veneto, il ricorrente dott. (…), dottore commercialista che svolge anche attività di consulente del lavoro (possibilità prevista dalla legge n. 12/79, previa comunicazione all’Ispettorato del Lavoro) ha impugnato la delibera assunta dal Consiglio Provinciale di Treviso dei Consulenti del Lavoro, nella seduta del 30/05/2018, di rigetto dalla richiesta di iscrizione nel registro dei praticanti del dott. (…) per “incompatibilità con l’art. 2, comma 8, del Regolamento sul Praticantato attualmente vigente, che individua il professionista Consulente del Lavoro come unico dante pratica abilitato”; unitamente a tale provvedimento ha impugnato anche l’art. 2, comma 8, del Regolamento sul Praticantato approvato dal Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro con delibera n. 327 del 23 ottobre 2014.
Avverso tale provvedimento ha dedotto due motivi di impugnazione, con il primo dei quali ha dedotto vizi procedimentali e con il secondo ha sostenuto che la delibera di diniego impugnata, e la presupposta norma regolamentare del Consiglio Nazionale dell’Ordine, nella prima richiamata, si porrebbero in contrasto con l’art. 3 comma 2 lettera e) della legge 12/1979, con l’art. 1 comma 2 del decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale 2 dicembre 1997 n.1711100, nonché con l’art. 5 comma 4 del decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 20 giugno 2011 (relativo ai “Nuove modalità sulla disciplina del praticantato necessario per l’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro”).
1.1 – Si sono costituiti in giudizio il Consiglio Provinciale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Treviso, e il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, contestando l’ammissibilità e fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
2. – Con la sentenza impugnata il TAR ha dichiarato il ricorso in parte irricevibile ed in parte inammissibile. Ha poi aggiunto che il ricorso era comunque infondato ritenendo che l’art. 2, comma 8, del regolamento di tirocinio obbligatorio per l’accesso alla professione di consulente del lavoro, approvato dal Consiglio Nazionale dei consulenti del Lavoro con delibera n. 327 del 23 ottobre 2014, non è illegittimo in quanto le previsioni di cui alla l. n. 12 del 1979 e gli ulteriori decreti ministeriali citati da parte ricorrente, con riferimento alla disciplina relativa al tirocinio necessario per l’iscrizione nell’albo dei consulenti del lavoro, devono ritenersi superate dalla riforma operata dal d.p.r. 7 agosto 2012, n. 137″.
3. – Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto appello chiedendone l’integrale riforma.
3.1 – Si sono costituiti in giudizio il Consiglio Provinciale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Treviso ed il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro che hanno entrambi chiesto il rigetto dell’appello.
3.2 – Il Consiglio Provinciale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Treviso ha proposto appello incidentale con il quale ha reiterato le eccezioni di rito disattese del TAR.
3.3 – Ha spiegato intervento ad adiuvandum il Consiglio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili chiedendo l’accoglimento dell’appello.
3.4 – Le parti hanno depositato memorie difensive e di replica.
4. – All’udienza pubblica, tenutasi da remoto, del giorno 8 giugno 2021 l’appello è stato trattenuto in decisione.
5. – L’appello è infondato e va, dunque, respinto anche se con diversa motivazione; l’appello incidentale, condizionato all’accoglimento di quello principale, va quindi dichiarato in parte improcedibile ed in parte va respinto.
6. – Con il primo motivo di appello l’appellante ha dedotto la censura di “Erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto il ricorso in parte inammissibile per difetto di interesse” sostenendo che erroneamente il TAR avrebbe ritenuto inammissibile il ricorso da lui proposto nella qualità di dottore commercialista presso cui il praticante intendeva svolgere la pratica: secondo l’appellante, infatti, il dante pratica sarebbe co-destinatario dell’atto e, quindi, sarebbe legittimato ad impugnarlo unitamente alla norma regolamentare sulla quale si fonda il diniego di iscrizione. Con il secondo mezzo ha contestato la declaratoria di irricevibilità del ricorso avverso la disposizione regolamentare impugnata.
6.1 – Secondo l’appellante, la legge n. 12 del 1979 contenente “norme per l’ordinamento della professione di consulente del lavoro”, prevede che il dottore commercialista può legittimamente svolgere tutte le attività del consulente del lavoro; l’art. 1 di tale legge dispone, infatti, che “tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti” possono essere assunti anche dagli iscritti all’albo dei dottori commercialisti che sono tenuti a darne comunicazione agli Ispettorati del Lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere i relativi adempimenti.
Il dott. S. svolge l’attività di consulente del lavoro e si avvale di molteplici collaboratori addetti allo svolgimento di tale attività professionale: sostiene, quindi, di aver interesse a formare i praticanti al fine di inserirli nel proprio ufficio; l’appellante ha quindi aggiunto di essere co-destinatario del provvedimento impugnato, in quanto il diniego di iscrizione si riferisce alla sua condizione di professionista iscritto ad un diverso ordine professionale (quello dei dottori Commercialisti e non dei Consulenti del Lavoro).
6.2 – Secondo il TAR la mancata iscrizione del registro dei praticanti del dott. P. ha leso i soli interessi di quest’ultimo, essendo il solo destinatario del provvedimento del Consiglio dell’Ordine.
Ha quindi ritenuto che “l’iscrizione nel registro dei praticanti è atto finalizzato a soddisfare in via diretta ed esclusiva l’interesse della persona che intende espletare un periodo di praticantato utile ai fini del sostenimento dell’esame abilitante.
Il c.d. potenziale “dantepratica ” rispetto al singolo specifico atto di iscrizione nel registro praticanti è, quindi, titolare esclusivamente di un interesse di mero fatto affinché il praticante, iscrivendosi nel relativo registro intenda espletare presso di lui il periodo di tirocinio, previsto dalla normativa vigente”.
6.3 – Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha ricordato, nella propria memoria, che la conformazione dell’interesse come protetto dalla legge non deriva dall’inclinazione soggettiva dell’interessato, bensì dalla qualificazione impressa dal legislatore alla relativa situazione.
La disciplina normativa relativa al praticantato ai fini dell’iscrizione all’Albo è diretta a tutelare l’interesse dell’aspirante professionista ad accedere all’albo professionale e l’interesse della collettività all’idonea formazione del professionista: la norma tutela, quindi, il pubblico interesse alla adeguata formazione dell’aspirante consulente del lavoro che garantisce il corretto svolgimento dell’attività professionale a favore degli utenti.
La disciplina normativa non si fa carico dell’interesse del professionista a far eseguire la pratica presso il suo studio professionale, tantomeno con riferimento ad un determinato praticante, quale è il destinatario del provvedimento di diniego di iscrizione in questione, con la conseguenza che l’appellante non è legittimato all’impugnazione, non essendo titolare di una posizione giuridica qualificata, né ha interesse ad impugnare un provvedimento del quale non è destinatario.
6.4 – La comunicazione del provvedimento da parte del Consiglio dell’Ordine non implica l’acquisizione della qualifica di co-destinatario in capo all’appellante, in quanto tale comunicazione ha mera valenza notiziale nel rispetto di quanto previsto dal Regolamento dell’Ordine professionale.
6.5 – La lesione dell’interesse dell’appellante a far svolgere la pratica professionale presso il suo studio all’aspirante consulente del lavoro, discende dal divieto implicito, contenuto nel regolamento contestato, che non consente agli iscritti all’Ordine dei Dottori Commercialisti (dei quali egli fa parte) di far espletare la pratica ai giovani professionisti per ottenere l’iscrizione nell’Ordine di Consulenti del Lavoro.
6.6 – Da quanto premesso il TAR ha desunto che l’interesse all’impugnazione sussiste soltanto nei confronti della norma regolamentare sulla quale si fonda il diniego di iscrizione nell’elenco; ha quindi ritenuto direttamente lesiva degli interessi dell’appellante la disposizione del Regolamento sul Praticantato, adottato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, che non consente ai dottori commercialisti di far svolgere la pratica presso di loro; ha però ritenuto tardivo il ricorso avverso la deliberazione del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, n. 327 del 23/10/2014 relativa al regolamento sul praticantato.
6.7 – Il TAR, quindi, ha distinto il diniego di iscrizione del praticante all’elenco dalla previsione regolamentare, sostenendo che, nel caso del diniego di iscrizione all’elenco dei praticanti, il ricorrente difetterebbe dell’interesse e della legittimazione al ricorso; in relazione alla disposizione regolamentare impugnata, il ricorso sarebbe invece tardivo, tenuto conto dell’immediata lesività della previsione regolamentare.
7. – L’impostazione del TAR non può essere condivisa.
Il ricorrente ha impugnato la delibera del Consiglio Provinciale dell’Ordine di Treviso dei Consulenti del Lavoro del 30/5/2018 non isolatamente, bensì unitamente all’atto regolamentare di cui fa applicazione; tale atto ha reso attuale l’interesse all’impugnazione del Regolamento sul Praticantato approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro con delibera n. 327 del 23/10/2014.
7.1 – L’interesse all’impugnazione di tale regolamento (ed in particolare della previsione recata dall’art. 2, comma 8) è sorto per il dott. S. solo quando è stata respinta la richiesta del praticante ad essere iscritto nel relativo elenco, in quanto svolgente pratica presso di lui; solo in quel momento si è attualizzato l’interesse all’impugnazione della disposizione regolamentare adottata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro.
7.2 – Del resto è notorio che nel caso dell’impugnazione di atti regolamentari e generali vale il principio della doppia impugnazione dell’atto regolamentare o generale unitamente al provvedimento applicativo che attualizza l’interesse all’impugnazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2683).
Correttamente l’appellante ha richiamato il principio espresso da questo Consiglio di Stato (cfr., sez. V 2/11/2017 n. 5071) secondo cui l’interesse all’annullamento del regolamento riferito ad una categoria, e non ad un destinatario specifico, in assenza di un atto amministrativo applicativo “rimane un interesse indifferenziato, seriale, adesposta: esso diventa interesse soggettivamente differenziato (e quindi interesse legittimo) solo nel momento in cui il regolamento è concretamente applicato nei confronti del singolo”.
Pertanto, la norma avrebbe potuto essere immediatamente impugnata dall’Ordine professionale dei dottori commercialisti a tutela degli interessi dell’intera categoria da loro rappresentata, in qualità di ente esponenziale degli interessi degli iscritti (cfr. Cons. Stato, Commissione Speciale parere del 26/6/2013 n. 3014); nel caso del singolo iscritto, come nel caso di specie, l’interesse risulta attualizzato solo in fase applicativa, anche se l’atto applicativo ha contenuto predeterminato per effetto della disposizione regolamentare (Cons. Stato, Sez. IV 13/2/2020 n. 1159).
7.3 – Ne consegue che la sentenza di primo grado che ha ritenuto in parte irricevibile ed in parte inammissibile il ricorso di primo grado non può essere condivisa; merita invece conferma la sentenza nella parte relativa alla statuizione di merito, in quanto l’azione proposta dal ricorrente in primo grado è infondata.
8. – Con il terzo motivo l’appellante ha reiterato le doglianze proposte in primo grado che riguardano vizi procedimentali (riconducibili, in sintesi nella violazione dell’art. 10 bis della L. 241 /90 e dell’art. 7 della medesima legge) rubricati come III. 1) e III.2).
8.1 – Con il terzo profilo di doglianza (III.3) ha invece affrontato il nucleo centrale della controversia, denunciando la violazione dell’art. 3, comma 2, lett. e) del Decreto del Ministro del Lavoro e della Providenza Sociale 2 dicembre 1997 n. 1711100 e dell’art. 5, comma 4, del Decreto del Ministro del Lavoro e della Providenza Sociale del 20 giugno 2011.
L’appellante ha dedotto che la delibera impugnata – che riprende la norma regolamentare – contrasterebbe con le previsioni recate dalla L. n. 12/1979 che, all’art. 1 relativo all’ “Esercizio della professione di consulente del lavoro”, prevede che “tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti” possono essere assunti – oltre che dagli iscritti all’albo dei consulenti del lavoro a norma dell’art. 9 della stessa legge – anche da altri professionisti, tra i quali rientrano quelli iscritti all’albo dei dottori commercialisti. L’unica condizione prevista consiste nella previa comunicazione agli Ispettorati del Lavoro della zona dove intendono svolgere la loro attività.
8.2 – La legge, quindi, riconosce al dottore commercialista di poter esercitare l’attività di consulente del lavoro; l’art. 3, comma 2, della stessa legge relativo agli esami di abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro, dispone che “possono essere ammesse all’esame di Stato le persone in possesso dei seguenti requisiti: (…) e) abbiano compiuto presso lo studio di un consulente del lavoro iscritto nell’albo o di un uno dei professionisti di cui al primo comma dell’art. 1 almeno due anni di praticantato..”.
Dal collegamento tra tale disposizione e quella recata dall’art. 1, comma 1, della stessa legge, si evincerebbe la ratio della disciplina: se la legge permette al dottore commercialista di esercitare l’attività di consulente del lavoro, deve essergli consentito anche di far svolgere presso di sé l’attività di praticantato per l’accesso alla professione, avendone le necessarie competenze.
Tale principio troverebbe conferma nei decreti ministeriali del 3 agosto 1979, del 2 dicembre 1997 e del decreto ministeriale del 20 giugno 2011, relativi alla disciplina sul praticantato necessario per l’ammissione all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro.
Ciò nonostante il TAR ha ritenuto legittima la disposizione regolamentare impugnata, sostenendo che tali disposizioni dovrebbero ritenersi implicitamente superate o abrogate dal DPR 7 agosto 2012 n. 137, recante il regolamento degli ordinamenti professionali con cui sarebbero incompatibili.
8.3 – L’appellante sostiene che la riforma degli ordinamenti professionali, recata da tale DPR, non configgerebbe con le norme speciali relative alla formazione dei praticanti consulenti del lavoro: l’art. 6, comma 3, di tale D.P.R. 137/2012 si limita a prevedere che “Il professionista affidatario deve avere almeno cinque anni di anzianità di iscrizione all’albo”.
Il generico riferimento al termine “professionista affidatario” consente di identificarlo anche nel dottore commercialista; nel caso di conflitto tra norme il criterio di specialità è sempre prevalente rispetto a quello cronologico e, nel caso di specie, la nuova disciplina si coordina perfettamente con quella pregressa, non essendovi alcuna antinomia tra le due regolamentazioni.
8.4 – Di qui l’erroneità della sentenza appellata che neppure ha valutato la declaratoria di nullità ex art. 21 septies della L. 241/90 per difetto di attribuzione della norma regolamentare impugnata, in quanto la legge assegna al solo Ministro (e non al Consiglio dell’Ordine) il potere di regolamentare la disciplina del praticantato; ha quindi dedotto l’appellante che dovrebbe procedersi a disapplicazione della norma regolamentare per contrasto con la fonte primaria.
Seguendo la tesi del TAR, il sistema sarebbe del tutto illogico ed irrazionale, in quanto si consentirebbe al dottore commercialista di svolgere l’attività di consulente del lavoro senza permettergli di formare, attraverso il praticantato, nuovi aspiranti professionisti.
9. – La tesi dell’appellante non può essere condivisa.
Correttamente il Consiglio dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha rilevato che l’appello si fonda su una lettura inattuale e superata delle norme che non tiene conto delle novità normative in materia di professioni regolamentate, introdotte dal D.L. n. 138 del 13.08.2011 (convertito in Legge n. 148 del 14.09.2011) e dal suo regolamento attuativo, emanato con D.P.R. n. 137 il 7.08.2012, recante la riforma degli ordinamenti professionali.
Il decreto legge n. 138/2011 – anche grazie alle modifiche ad esso apportate dalla successiva L. n. 183/2012 – ha consentito un’ampia opera di delegificazione in materia di ordini professionali, prevedendo, da un lato, una serie di principi generali in materia di liberalizzazione delle professioni, che gli ordinamenti professionali avrebbero dovuto far propri, e dall’altro, stabilendo l’abrogazione implicita delle previgenti norme professionali, anche di rango primario, incompatibili con tali principi.
L’art. 3, comma 5-bis, del d.l. n. 138 del 2011 dispone, infatti, che secondo ” Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con i principi di cui al comma 5, lettere da a) a g), sono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5 e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012.”.
Fra tali principi, il comma 5, lett. c), stabilisce che: “La disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione”.
Al fine di assicurare il rispetto delle condizioni sopra viste, la lett. f) del medesimo comma, prevede che: “Gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinare e di un organo nazionale di disciplina”. Infine, il comma 5 bis, norma di chiusura, prima richiamata, prevede l’abrogazione delle norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con i principi di cui al comma 5, lettere da a) a g), del d.l. 138/2011 a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5 e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012″.
L’art. 6, comma 3, del D.P.R. n. 137/2012, prevede che – nell’ambito del tirocinio per l’accesso professionale – “il professionista affidatario [.] è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in modo funzionale alla sua finalità”.
Il successivo comma 8, dispone che “i praticanti osservano gli stessi doveri e norme deontologiche dei professionisti e sono soggetti al medesimo potere disciplinare”.
9.1 – Correttamente il Consiglio dell’Ordine ha rappresentato che la disciplina richiamata ha previsto un sistema di norme diretto a garantire il proficuo svolgimento del periodo di tirocinio professionale, responsabilizzando, anche sul piano disciplinare, sia il professionista affidatario che il praticante, ed affidando specifici poteri di vigilanza e disciplinari agli organismi territoriali degli ordini professionali.
Dal combinato disposto delle norme sopra richiamate si evince, quindi, che “l’effettivo svolgimento dell’attività formativa” del tirocinio professionale, nelle modalità concrete declinate nel regolamento professionale relativo alla professione che il tirocinante intende svolgere, costituisce dovere deontologico sia del tirocinante, sia del professionista affidatario, entrambi soggetti al medesimo potere disciplinare degli organi territoriali e nazionali competenti.
9.2 – Tale sistema, per la sua applicazione in concreto, presuppone l’appartenenza del professionista “dante pratica” al medesimo Ordine professionale al quale l’aspirante consulente del lavoro intende iscriversi (dopo il superamento dell’esame). L’art. 6 del D.P.R. 137/2012, prevede, infatti, talune regole per il professionista incaricato per lo svolgimento della pratica: il comma 3, ad esempio, dispone che il professionista non possa assumere più di tre praticanti contemporaneamente, “salva la motivata autorizzazione rilasciata dal competente consiglio territoriale sulla base di criteri concernenti l’attività professionale del richiedente e l’organizzazione della stessa, stabilito con regolamento del consiglio nazionale dell’ordine o del collegio, previo parere vincolante del ministro vigilante”.
In tale disposizione non si specifica quale sia l’ordine professionale.
Se si esaminano il comma 2 ed il comma 3 dello stesso art. 6 secondo cui “presso il consiglio dell’ordine o del collegio territoriale è tenuto il registro dei praticanti” (comma 2) e “il professionista affidatario deve avere almeno cinque anni di anzianità di iscrizione all’albo” (comma 3) risulta evidente che la mancata precisazione dello specifico “ordine professionale” e dello specifico “albo” è dovuta alla circostanza che è assolutamente chiaro, tanto da essere implicitamente ricavabile dal sistema di norme, che il consiglio competente a tenere il registro dei praticanti e l’albo di iscrizione del professionista affidatario non possano che essere gli stessi della professione relativa alla quale viene svolto il tirocinio.
9.3 – Per maggiore chiarezza è utile richiamare una fattispecie esemplificativa.
Nel caso in cui al professionista sia affidato un aspirante consulente del lavoro, il dante pratica è tenuto ad osservare la disciplina stabilita con regolamento del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, al fine di garantire il proficuo svolgimento della pratica, consentendo all’aspirante professionista di acquisire le competenze necessarie per lo svolgimento di tale attività professionale; poiché il professionista è soggetto alla sola disciplina stabilita dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza, ove non sia iscritto a tale ordine professionale (ma a quello dei Dottori Commercialisti) non può soggiacere alla disciplina del regolamento di un differente Ordine professionale (quello dei Consulenti del Lavoro) rispetto a quello di appartenenza e tantomeno può essere assoggettato al suo potere disciplinare (comma 8 dello stesso art. 6).
9.4 – Ne consegue che dalla disamina delle norme si evince in modo palese che sia il tirocinante che il dominus dante pratica devono appartenere al medesimo ordinamento professionale e che, quindi, l’aspirante Consulente del Lavoro deve svolgere la pratica professionale presso un professionista iscritto all’Albo dei Consulenti del Lavoro.
10. – Non convince, dunque, la tesi dell’appellante diretta a sostenere che non vi sarebbe incompatibilità tra la disciplina normativa pregressa (legge n. 12/1979 e successivi decreti ministeriali attuativi) e quella sopravvenuta, recata dal d.l. n. 138/2011 e dal DPR n. 137/2012.
Neppure può essere condivisa la tesi secondo cui, in base al criterio di specialità, sarebbe prevalente la disciplina della L. n. 12/79 e dei successivi decreti attuativi. Quanto al primo aspetto ritiene il Collegio che, per le ragioni già esposte, la nuova disciplina derivante dalla riforma degli ordini professionali sia incompatibile con i principi stabiliti da quella precedente con riferimento all’Ordine dei Consulenti del Lavoro; neppure può ritenersi che la disciplina della L. 12/79 possa ritenersi ancora applicabile, in base del principio di specialità che, come noto, prevale rispetto al criterio cronologico: occorre considerare, infatti, che la riforma ha investito l’intera materia degli ordini professionali ed, in base all’art. 3, comma 5-bis del d.l. n. 138/2011 ogni normativa professionale previgente “in contrasto” con la riforma del settore deve ritenersi abrogata (art. 3, comma 5 – bis, D.L. n. 138/2011).
11. – Alla luce della ricostruzione normativa appena illustrata, si comprende allora come le disposizioni citate dall’appellante, riconducibili alla disciplina professionale risalente al 1979, che ammettevano lo svolgimento del tirocinio per l’accesso alla professione di consulente di lavoro anche presso i dottori commercialisti, non possano considerarsi più compatibili con gli odierni principi che regolano lo svolgimento dei tirocini professionali.
Ne consegue, quindi, che tali norme devono ritenersi tacitamente abrogate dalla disciplina introdotta dal D.L. n. 138/2011 come rettamente ritenuto dal TAR.
Ne deriva quindi che la norma regolamentare impugnata dall’appellante, di cui si lamenta il supposto contrasto con norme di rango superiore, è pienamente legittima, in quanto conforme alle attuali disposizioni di legge, abrogative del risalente sistema di tirocinio, e rispondente alle superiori indicazioni del Legislatore di “garantire l’effettivo svolgimento dell’attività formativa del tirocinio e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione”.
12. – L’appellante ha anche dedotto il vizio di incompetenza assoluta dell’Ordine a regolamentare la disciplina del tirocinio.
12.1 – Tale prospettazione non può essere condivisa.
Come già illustrato, il D.L. n. 138/2011, all’art. 3, comma 5, prevede che: “Con decreto del Presidente della Repubblica emanato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della L. 23 agosto 1988, n. 400, gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi […]”.
I principi enunciati al medesimo comma da tale norma hanno quindi trovato attuazione nel D.P.R. n. 137/2012, che ha riformato gli ordinamenti professionali, introducendo una normazione dettagliata in merito allo svolgimento del tirocinio formativo. La sola riserva di legge stabilita da tale regolamento prevista in materia di tirocinio è quella stabilita all’art. 6, comma 2, per ciò che concerne l’individuazione dei titoli di “laurea o il diverso titolo di istruzione [.] per l’accesso alla professione regolamentata”, necessari per l’iscrizione al registro praticanti, lasciando agli Ordini professionali piena potestà regolamentare in ordine agli altri requisiti per l’iscrizione. In particolare, il regolamento dispone che le previsioni di dettaglio debbano essere stabilite “con regolamento del consiglio nazionale dell’ordine o del collegio, previo parere vincolante del ministro vigilante” (art. 6, comma 3 e 10).
Successivamente, le modalità di svolgimento del tirocinio stabilite all’art. 6 del D.P.R. n. 137/2012 sono state quindi recepite nel “Regolamento sul tirocinio obbligatorio per l’accesso alla professione di consulente del lavoro”, approvato dal Consiglio Nazionale con Delibera n. 327 del 23.10.2014, con parere favorevole del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del 3.10.2014, previa intesa con il Ministero della Giustizia.
Ne consegue che l’adozione delle nuove regole sul tirocinio da parte del Consiglio Nazionale è avvenuta nel rispetto del D.L. n. 138/2011 e del D.P.R. n. 137/2012 e che, dunque, non sussiste il vizio di incompetenza dedotto nell’atto di appello.
13. – Infine non si ravvisano i vizi di illogicità ed irrazionalità del presente sistema che consente ai dottori commercialisti di svolgere l’attività di consulenti del lavoro, ma non di essere affidatari di aspiranti professionisti per lo svolgimento del tirocinio, tenuto conto che sussistono specifiche attività professionali (puntualmente indicate nella propria memoria ex art. 73 c.p.a. dal Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro) che possono essere svolte dai soli consulenti del lavoro (e non anche dai dottori commercialisti).
Il Consiglio dell’Ordine ha condivisibilmente rilevato che la disciplina alla quale fa riferimento l’appellante risale ad oltre 40 anni fa; nel frattempo, e specie negli ultimi anni, l’attività dei consulenti del lavoro ha assunto un profilo autonomo e specifico rispetto a quella dei dottori commercialisti, sicché non risulta illogico che sia stato affermato il principio secondo cui il tirocinio professionale per accedere alla professione di consulente del lavoro, e all’iscrizione al relativo albo, debba essere svolto presso un professionista iscritto all’albo di tale ordine (cosi come avviene per gli altri ordini professionali), in quanto legittimato a svolgere tutte le attività afferenti la professione di consulente del lavoro.
Ne consegue l’infondatezza del terzo motivo di appello.
14. – Le doglianze relative ai vizi procedimentali di violazione degli artt. 7 e 10 bis della L. n. 241/90 vanno respinte, sia per l’insussistenza di oneri di comunicazione nei confronti dell’appellante, soggetto terzo non destinatario del provvedimento, sia perché l’eventuale partecipazione al procedimento non avrebbe potuto sovvertirne l’esito attesa l’infondatezza della pretesa.
15. – In conclusione, l’appello principale va respinto e per l’effetto va confermata, con diversa motivazione, la sentenza di primo grado e va quindi respinto il ricorso di primo grado.
16. – L’appello incidentale è chiaramente condizionato all’accoglimento di quello principale: ritiene il Collegio, in applicazione del principio della ragione più liquida di cui all’Adunanza Plenaria n. 5/2015 e del principio della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 2, comma 2, c.p.a., che possa prescindersi dall’esaminare la censura di incompetenza del TAR Veneto, tenuto conto dell’improcedibilità dell’appello incidentale.
16.1 – Quanto alla doglianza di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, anch’essa riproposta in via incidentale dal Consiglio Provinciale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Treviso, in via espressamente subordinata all’accoglimento dell’appello principale, è destituita di fondamento, in quanto la controversia non investe il diritto soggettivo all’iscrizione all’albo del professionista (o all’elenco di praticanti da parte dell’aspirante professionista), ma si riferisce al regolamento adottato dal Consiglio dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro: l’atto regolamentare impugnato è espressione di un potere pubblico nei confronti del quale la posizione giuridica dell’appellante riveste natura di interesse legittimo.
16.2 – Pertanto, l’appello incidentale va dichiarato in parte dichiarato improcedibile ed in parte va respinto.
17. – Le spese possono compensarsi tra le parti tenuto conto della novità della questione trattata.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma con diversa motivazione la sentenza appellata e, quindi, respinge il ricorso di primo grado.
Dichiara in parte improcedibile ed in parte respinge l’appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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