Consiglio di Stato sezione III sentenza n. 463 depositata il 5 febbraio 2016
N. 00463/2016REG.PROV.COLL.
N. 07679/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7679 del 2015, proposto da:
P. C. Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Massimo Di Sotto, Gianluca Parente, con domicilio eletto presso Gianluca Parente in Roma, Via degli Scipioni 288;
contro
A. per l’Italia Spa;
nei confronti di
Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Roma, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III n. 09089/2015, resa tra le parti, concernente revoca dell’aggiudicazione dell’appalto dei lavori di ampliamento dell’area di servizio Lucignano EST a seguito del provvedimento interdittivo antimafia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e di U.T.G. – Prefettura di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2016 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti gli Avvocati Gianluca Parente e l’Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio respingeva il ricorso proposto dalla P. C. s.r.l. avverso l’informativa interdittiva antimafia adottata, a suo carico, dalla Prefettura di Roma in data 10 marzo 2014 e il conseguente provvedimento (in data 27 marzo 2014) con cui A. per l’Italia S.p.A. aveva revocato l’aggiudicazione in suo favore dell’appalto avente ad oggetto i lavori di ampliamento dell’area di servizio Lucignano Est.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la P. C. s.r.l., contestando la correttezza della statuizione reiettiva gravata e domandandone la riforma, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.
Resisteva il Ministero dell’interno, che contestava la fondatezza dell’appello, domandandone la reiezione, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Con ordinanza in data 8 ottobre 2015 veniva sospesa l’esecutività della decisione appellata.
Il ricorso veniva successivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 14 gennaio 2016.
DIRITTO
1.- E’ controversa la legittimità dell’informativa interdittiva antimafia della Prefettura di Roma che ha colpito la P. C. s.r.l. e della conseguente e coerente revoca, disposta da A. per l’Italia S.p.A., dell’aggiudicazione ad essa di un appalto di lavori.
Il T.A.R. ha giudicato legittima la determinazione prefettizia gravata, in quanto assunta sulla base di un’adeguata istruttoria e sulla corretta valorizzazione di indizi significativi del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’amministrazione della società.
La società appellante critica il convincimento espresso dai giudici di prima istanza, assumendo, in particolare, che la contestata valutazione prefettizia risulta smentita dalle contrarie e più recenti risultanze probatorie (di seguito meglio indicate), idonee ad attestare l’estraneità dell’impresa a qualsivoglia rischio di permeabilità all’influenza di associazioni di stampo mafioso.
2.- L’appello è fondato, alla stregua delle considerazioni di seguito esposte, e va accolto.
2.1- L’assunto che sorregge l’impugnazione può essere sintetizzato nel rilievo, svolto anche per mezzo della proposizione di motivi aggiunti ai sensi dell’art.104, comma 3, c.p.a., che l’interdittiva controversa è stata assunta sulla (sola) base di indici di pericolo di infiltrazione mafiosa risalenti nel tempo, errati, equivoci, non concludenti e, soprattutto, del tutto inidonei ad attestare, con la necessaria capacità probatoria, la concretezza e l’attualità del tentativo di ingerenza della criminalità organizzata nell’amministrazione dell’impresa, soprattutto a fronte della contraria (e più recente, rispetto alle circostanze assunte a fondamento della contestata interdittiva) documentazione, ritualmente prodotta solo in appello (in quanto acquisita dall’appellante solo dopo la pubblicazione della decisione impugnata), con la quale la D.I.A., unitamente a diversi organi di polizia, ha escluso la sussistenza, a carico della P. C. s.r.l., di risultanze investigative idonee a dimostrare la sua esposizione al rischio di influenze mafiose.
2.2- Ora, se è vero che la misura dell’interdittiva antimafia obbedisce a una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso (Cons. St., sez. III, 15 settembre 2014, n.4693), potendo, perciò, restare legittimata anche dal solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale (Cons. St., sez. III, 1 settembre 2014, n.4441), è anche vero che l’apprezzamento degli indici significativi del predetto rischio deve necessariamente fondare una valutazione di attualità del tentativo di condizionamento della gestione dell’impresa da parte di associazioni mafiose (Cons. St., sez. III, 7 ottobre 2015, n.4657).
E’ stato, al riguardo, chiarito che l’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi su fatti e circostanze risalenti nel tempo, oltre che su indici più recenti, purché, tuttavia, dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’amministrazione dell’attività d’impresa (Cons. St., sez. III, 13 marzo 2015, n.1345).
2.3- Orbene, alla stregua dei parametri di giudizio appena riassunti, l’interdittiva controversa dev’essere giudicata illegittima, siccome adottata in difetto di un’istruttoria idonea ad attestare, con la necessaria capacità probatoria, l’indefettibile presupposto dell’attualità del tentativo di condizionamento mafioso dell’impresa.
2.4- A prescindere, infatti, dalla delibazione della valenza probatoria degli indici assunti a fondamento del provvedimento contestato, che si rivelano, in ogni caso, del tutto carenti (come gli sporadici e risalenti episodi di frequentazione di Luigi Piccolo con soggetti gravati da precedenti di polizia), poco probanti (come la cessione, di per sé scarsamente significativa della contiguità all’impresa di associazioni mafiose, alla COGE s.r.l., solo indirettamente riferibile alla P. C. s.r.l., di un ramo d’azienda da parte di un soggetto, Francesco Iovine, solo successivamente arrestato per associazione mafiosa), o, addirittura, errati (come il rapporto di parentela tra Rosetta Capaldo e Bartolomeo Piccolo), occorre rilevare, per un verso, che gli stessi risultano riferiti ad un periodo (2006-2008) estremamente remoto, rispetto alla data (10 marzo 2014) di adozione dell’interdittiva, e, per un altro, che le risultanze investigative più recenti prodotte in appello dalla ricorrente (tra le quali, si segnalano, per la loro evidente efficacia probatoria, le note della D.I.A. in data 7 novembre 2011 e della Questura di Roma – Divisione Polizia Anticrimine in data 21 novembre 2011) smentiscono in maniera univoca e concordante l’attendibilità del giudizio di pericolo di infiltrazione mafiosa, nella misura in cui escludono chiaramente la sussistenza di qualsivoglia elemento significativo di esso.
A fronte, quindi, di risultanze istruttorie (peraltro particolarmente qualificate) attestanti (nel 2011) l’insussistenza di evidenze investigative attestanti il tentativo o, comunque, il rischio di condizionamento mafioso dell’impresa, l’Amministrazione, lungi dal tenerne conto (come, invece, avrebbe dovuto) nel giudizio complessivo ad essa affidato dagli artt. 90 e ss. d.lgs. n. 159 del 2011, ne ha del tutto pretermesso l’esame, ignorandone la stessa esistenza (nella motivazione dell’atto) e fondando, invece, la sua valutazione sull’apprezzamento di circostanze (peraltro scarsamente significative, come sopra rilevato) più risalenti nel tempo e, come tali, del tutto inidonee ad attestare (soprattutto se contraddette da più recenti e affidabili risultanze contrarie) l’attualità dell’esposizione dell’impresa al pericolo concreto di ingerenze mafiose.
2.5.- Né vale, di contro, obiettare, come fa il Ministero appellato, che l’interdittiva è stata correttamente assunta sulla base delle informative trasmesse dalle autorità di polizia territorialmente competenti e che la documentazione prodotta in appello dalla P. C. s.r.l. non vale, di per sé, ad inficiare la correttezza della valutazione formulata dalla Prefettura di Roma (siccome proveniente da organi che non operano nel medesimo territorio interessato dall’attività dell’impresa in questione).
Tale argomentazione dev’essere, in particolare, disattesa sia in quanto, tra le attestazioni negative allegate dall’appellante, riveste particolare capacità probatoria (in quanto proveniente dall’autorità istituzionalmente preposta al contrasto all’attività delle organizzazioni criminali di stampo mafioso) la nota (la cui valenza non può essere in alcun modo sminuita) con cui la D.I.A. in data 7 novembre 2011 ha riferito alla Prefettura di Roma (che ne ha, invece, ignorato il rilievo) l’insussistenza di informazioni attestanti il pericolo di infiltrazioni mafiose, sia in quanto le informazioni trasmesse da tutti gli organi di polizia operanti nel territorio dove resta ubicata la sede legale della P. C. (Roma) risultano coerenti con l’attestazione della D.I.A. nell’escludere l’esistenza di elementi sintomatici di contiguità mafiosa, sia, ancora, in quanto le informative provenienti dagli organi ubicati nel territorio dove la società interessata ha iniziato l’attvità d’impresa (e da dove proviene la famiglia Piccolo) restano, in ogni caso, riferite a vicende e circostanze, oltre che scarsamente significative, relative ad un arco temporale (2006-2008, con l’unica eccezione del singolo episodio, comunque risalente alla fine del 2011, di un incontro tra Antonio Piccolo e Giulio Capaldo) che rimonta a diversi anni antecedenti la formalizzazione dell’interdittiva e, quindi, del tutto inidonee ad attestare, con il necessario rigore, l’attualità e la concretezza del pericolo del condizionamento mafioso della gestione dell’impresa in questione.
3.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, l’accoglimento dell’appello e, in riforma della decisione impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento dei provvedimenti con lo stesso impugnati, ferme restando, ovviamente, le ulteriori determinazioni che la Prefettura di Roma – U.T.G. intenderà assumere al riguardo.
4.- La produzione solo nel grado di appello della documentazione decisiva giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della decisione appellata e in accoglimento del ricorso proposto dinanzi al T.A.R., annulla i provvedimenti impugnati in primo grado e compensa tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere, Estensore
Salvatore Cacace, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/02/2016
IL SEGRETARIO
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 51571 depositata il 20 dicembre 2019 - In tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell'art.…
- Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 8 depositata il 13 febbraio 2023 - La pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di…
- DECRETO-LEGGE 10 maggio 2020, n. 29 - Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell'esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per…
- MINISTERO INTERNO - Circolare 16 giugno 2020, n. 11001 - Emergenza epidemiologica da COVID-19. Interventi a fondo perduto. Protocollo d' intesa per la prevenzione dei tentativi di infiltrazione criminale tra Ministero dell' Interno, Ministero dell'…
- MINISTERO FINANZE - Decreto ministeriale 01 febbraio 2024 Modalità di utilizzo dei dati fiscali relativi ai corrispettivi trasmessi al Sistema tessera sanitaria Art. 1 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) «dati fiscali», i…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 febbraio 2022, n. 4410 - La concretezza dell'interesse all'agire processuale è misurata dall'idoneità del provvedimento richiesto a soddisfare l'interesse sostanziale protetto, da cui il primo muove, e in tale aspetto…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Nel rito c.d. Fornero non costituisce domanda nuov
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10263 depositat…
- La conciliazione è nulla se firmata in azienda e n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10065 depositat…
- Processo Tributario: la prova del perfezionamento
Nei casi in cui la notifica di un atto impositivo o processuale avvenga a mezzo…
- LIPE 2024: scadenze e novità per adempiere corrett
Per l’anno 2024 le LIPE (Liquidazioni Periodiche IVA) e rimasto invariata…
- Decadenza dalla NASPI: nel caso in cui il lavorato
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 11523 depositat…