CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 ottobre 2017, n. 25666
Interposizione fittizia di manodopera – Pagamento di contributi – Ditte artigiane
Ritenuto
che in seguito a riassunzione del giudizio di rinvio, in conseguenza della sentenza della Corte di Cassazione n. 20143/2010, la Corte d’appello di Brescia con sentenza n. 357/2011 ha riformato la sentenza di primo grado del tribunale di Trento ed ha respinto l’opposizione proposta dalla W. E. srl avverso la cartella esattoriale con la quale l’INPS reclamava il pagamento di contributi per la ritenuta violazione del divieto d’intermediazione in prestazioni di lavoro relativamente a cinque imprese artigiane, tre delle quali qualificate come autonome dallo stesso ispettore del lavoro;
che a fondamento della sentenza la Corte d’appello sosteneva anzitutto che il pagamento dei contributi da parte dell’intermediario (datore di lavoro apparente) non avesse effetto estintivo rispetto al debito contributivo del datore di lavoro effettivo, come statuito testualmente dalla sentenza di legittimità n. 20143/2010 che aveva disposto il rinvio; e che nel merito, sulla base dell’ampio e convergente materiale probatorio acquisito nel giudizio, anche in relazione ad altri procedimenti civili e penali per gli stessi fatti, dovesse concludersi per la sussistenza della prova della fattispecie dell’interposizione fittizia di manodopera sussistendo la dimostrazione del pieno inserimento delle ditte artigiane all’interno del ciclo produttivo con appalti durati anni, totalmente prive non solo di rischio d’impresa ma di impiego vero e proprio di una organizzazione distinta ed autonoma rispetto all’utilizzatore della prestazione, al cui potere direttivo erano assoggettate venendosi così a configurare la messa a disposizione tipica del rapporto di lavoro subordinato;
che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione W. Europe srl con quattro motivi con i quali denuncia: 1) l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione sul punto decisivo della controversia in merito all’accertamento dell’interposizione fittizia di manodopera, quanto meno in relazione ai titolari dell’imprese artigiane, e sulla cui base era stata notificata dall’ente previdenziale la cartella esattoriale impugnata nell’odierno procedimento sia (in relazione all’articolo 360 n. 5 c.p.c.) ; 2) la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 legge 1369/1960 vigente all’epoca dei fatti, per aver riscontrato la fattispecie di interposizione fittizia in relazione ad un rapporto bilaterale, sovrapponendo quindi nello stesso soggetto la figura del lavoratore e quella dell’asserito interposto (in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c.); 3) la violazione del giudicato interno per non essersi la Corte d’appello attenuta al principio di diritto enunciato dalla sentenza della Suprema Corte n. 20143/ 2010 che aveva disposto il rinvio (in relazione all’articolo 360 numero 4 c.p.c.); 4) la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1180 c.c. in relazione all’art. 1 legge 1369/1960 ove non viene riconosciuta l’incidenza satisfattiva dei pagamenti effettuati all’ente previdenziale da terzi (in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c.);
che l’INPS ha resistito con controricorso;
che il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso;
Considerato
che preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Inps per scadenza del termine breve di proponibilità del ricorso posto che, a fronte della notifica della sentenza d’appello avvenuta il giorno 24 gennaio 2012, il ricorso risulta portato per la notifica tempestivamente il lunedì 26 marzo 2012 (essendo il 24 marzo, ultimo giorno utile per la notifica, un sabato) e non il 27 marzo come sostiene l’INPS;
che i primi due motivi di ricorso sono fondati relativamente alle ditte artigiane che hanno lavorato presso Wirphool senza impiego di dipendenti ed in relazione agli stessi titolari delle ditte artigiane; atteso che la fattispecie dell’interposizione implica un rapporto trilatero e può essere configurata esclusivamente dalla fornitura di manodopera (in qualunque modo qualificata) da parte di un intermediario e non nella propria personale messa a disposizione rispetto ad un effettivo datore di lavoro, sia pure attraverso un rapporto di lavoro simulato od errato nella qualificazione (rispetto al quale si pone solamente il problema della responsabilità del datore di lavoro nel pagamento dei contributi);
che nel caso di specie risulta dal verbale ispettivo n.32/36 del 2.12.1996 trascritto in ricorso che delle ditte artigiane in questione tre hanno operato esclusivamente attraverso il titolare, una ha operato con l’impiego di un solo dipendente ed una con l’impiego del titolare e di un dipendente;
che in relazione ai lavoratori dipendenti delle ditte sopraindicate, le censure sono invece infondate laddove, lungi dal prospettare un vizio di motivazione nei limiti previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c., mirano a contestare la stessa esistenza della fattispecie interpositoria accertata dai giudici di merito, risolvendosi in una generale e generica critica della complessiva valutazione dei fatti di causa contenuta nella sentenza impugnata attraverso la disamina dell’ampio materiale probatorio acquisito nel giudizio (anche in relazione ad altri procedimenti civili e penali per gli stessi fatti, conclusi con esiti convergenti), a cui tendono a contrapporre una diversa interpretazione al solo fine di ottenere la revisione della stessa valutazione, la quale essendo sul punto in esame scevra da vizi logici e giuridici, si sottrae invece a qualsiasi sindacato in questa sede di legittimità;
che è ripetutamente affermato il principio secondo cui è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato;
che conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata;
che sul punto in esame la sentenza d’appello contiene un’analitica motivazione su tutti i fatti rilevanti (mancanza di autonoma organizzazione, inserimento nel ciclo produttivo, assoggettamento al potere direttivo e di coordinamento, messa a disposizione come lavoratori subordinati dell’interposto) e richiama a fondamento il materiale probatorio acquisito nel corso degli accertamenti che avevano portato pure ad una sentenza penale passata in giudicato ed ad una conforme sentenza civile in sede di opposizione ad ordinanza ingiunzione per gli stessi fatti;
che il terzo e il quarto motivo sono privi di fondamento in quanto la sentenza della Corte di Cassazione n.20143/2010 che ha disposto il rinvio alla Corte d’appello di Brescia ha affermato il principio di incidenza non satisfattiva del pagamento del terzo interposto e dunque la Corte d’appello non ha violato alcun giudicato interno, né alcun altra norma di diritto, essendo invece tenuta a conformarsi al principio stabilito nella sentenza di legittimità;
che neppure esiste la prospettata differenza tra mancanza di effetto estintivo del pagamento da parte del datore apparente (che la sentenza di questa Corte avrebbe affermato) e la non incidenza satisfattiva dei medesimi pagamenti nel calcolo del conguaglio (che la stessa sentenza avrebbe negato) avendo al contrario la sentenza n. 20143/2010 chiaramente sostenuto entrambi gli assunti, del resto riconducibili al medesimo concetto sostanziale volto a negare effetti liberatori all’adempimento dell’obbligazione contributiva da parte del datore di lavoro interposto;
che le considerazioni svolte impongono dunque di accogliere il primo ed il secondo motivo di ricorso per quanto di ragione ed a respingere il terzo ed il quarto;
che la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte ed il giudizio rinviato alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo per quanto di-ragione; rigetta il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione.
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