CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 febbraio 2018, n. 4758
Tributi – Accertamento – Indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale – Raddoppio dei termini di accertamento – Applicabile per Imposte sui redditi ed IVA – Esclusione per IRAP
Rilevato
– che in controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno di imposta 2006, con cui l’amministrazione finanziaria contestava alla E.L.S. s.r.l. l’utilizzo di tre fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, con la sentenza in epigrafe indicata la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sentenza della CTP che aveva a sua volta rigettato il ricorso da quella proposto avvero il predetto atto impositivo, condividendo, con i giudici di primo grado, la sussistenza sub specie dei presupposti legittimanti il raddoppio dei termini di accertamento;
– che per la cassazione della sentenza di appello ricorre con due motivi la società contribuente, cui replica l’intimata con controricorso;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– che il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;
Considerato
– che con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, 57 d.P.R. n. 633 del 1972, 2, d.lgs. n. 128 del 2015 e 1, commi 130 e 132 della legge n. 208 del 2015, sostenendo che la CTR aveva errato a ritenere raddoppiati i termini di accertamento dell’amministrazione finanziaria, perché nella particolare fattispecie, in cui, prima della data di notifica dell’avviso di accertamento era entrata in vigore la legge di delega fiscale n. 23 del 2014, attuata dal d.lgs. n. 128 del 2015, entrato però in vigore il 5/08/2015 con efficacia dal 1° gennaio 2016, l’amministrazione finanziaria «era certamente già a conoscenza dell’intenzione del Legislatore di voler recepire l’orientamento giurisprudenziale più garantista che prevede l’applicazione del raddoppio dei termini solo in presenza di effettiva presentazione della denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p. ed entro il termine previsto per la scadenza ordinaria dell’accertamento» (ricorso, pag. 12); sostiene, altresì, che il mancato recepimento, nella legge di stabilità del 2016 (legge n. 208 del 2015) della c.d. clausola di salvaguardia contenuta nel terzo comma dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, rendeva applicabile la nuova disciplina anche ai periodi di imposta antecedenti all’entrata in vigore di tale decreto;
– con il secondo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione in violazione e falsa applicazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992, 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, comma 6, Cost.;
– che va esaminato, per priorità logica, tale ultimo mezzo di cassazione, che è infondato e va rigettato;
– che, invero, in tema di nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, nella giurisprudenza di questa Corte, a seguito dell’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016) è ormai acquisito il principio secondo cui «ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 e n. 17467 del 2017); ipotesi, queste, che non ricorrono nel caso in esame, avendo la CTR dato ampiamente conto in motivazione del proprio ragionamento decisorio, con la conseguenza che la motivazione non può considerarsi meramente apparente, specie se si considera che, diversamente da quanto sembra ritenere parte ricorrente, è noto che «al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse» (Cass. n. 25509 del 2014);
– che il primo motivo di ricorso è parzialmente fondato, nei limiti di cui appresso si dirà;
– che, quanto alla questione del raddoppio dei termini di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto, le argomentazioni svolte dalla ricorrente nel motivo in esame in ordine alla retroattività della disciplina introdotta dalle riforme succedutesi in materia si pongono in insanabile contrasto con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui «In tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza», come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; conf. Cass. n. 26037 del 2016) — che nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di precisare che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza», applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice; che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.), che su tale assetto nessun effetto spiegava la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati in data 23/05/2011 – si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto;
– che, pertanto, ai fini IRPEF ed IVA il motivo di ricorso è infondato, mentre è fondato per quanto riguarda l’IRAP, alla luce del principio per cui «non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016, n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017)
– che, conclusivamente, va rigettato il secondo motivo di ricorso ed accolto il primo, limitatamente all’IRAP, e la sentenza cassata, in relazione al motivo accolto, senza rinvio, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con accoglimento dell’originario ricorso della contribuente limitatamente all’IRAP e con compensazione delle spese processuali di tutti i gradi e fasi di giudizio, stante la reciproca soccombenza;
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente limitatamente all’IRAP e compensa le spese processuali.
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