CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 agosto 2017, n. 19270
Malattia – Decesso – Natura professionale – Materiali contenenti amianto – Assenza misure di sicurezza – Responsabilità datoriale
Fatti di causa
Con ricorso al Tribunale di Livorno G. F., M. I. e M. I. (in prosieguo: gli eredi I.) in proprio e quali eredi legittimi di B. I., dipendente negli anni dal 1967 al 1994 della vetreria B. in Livorno, agivano nei confronti della società 01 M. ITALY – già A.-( in prosieguo: 01 M.) spa, datrice di lavoro del de cuius dall’anno 1972, deducendo la natura professionale della malattia che aveva determinato il decesso del congiunto e chiedendo il risarcimento del danno sofferto, iure proprio e iure hereditario.
01 M. spa chiamava in causa i due precedenti datori di lavoro presso lo stesso stabilimento, S. G. I. ITALIA spa – all’epoca B. M. spa ed alla attualità S. G. PPC ITALIA spa- (in prosieguo, S. G. ) e COOPERATIVA F. L. ( in prosieguo, COOPERATIVA F.) ; chiamava, altresì, in garanzia la società assicuratrice A. ASSICURAZIONI spa.
Il Giudice del Lavoro, con sentenza del 24.3-5.11.2010 (nr.208/2010), condannava la convenuta 01 M. spa al risarcimento del danno nei confronti dei ricorrenti ( € 247.570,78 complessivi iure hereditatis, € 835.551,36 complessivi iure proprio); condannava S. G. spa a corrispondere ad 01 M. spa il 30% degli importi liquidati in sentenza ed A. ASSICURAZIONI spa a tenere indenne la assicurata 01 M. di quanto versato.
Rigettava la domanda proposta nei confronti di COOPERATIVA F..
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 17-30.11.2011 (nr. 1236/2011) , pronunziando sull’appello proposto da 01 M. spa e sull’appello incidentale di S. G. spa e di A. ASSICURAZIONI spa, riformava la sentenza solo quanto alla posizione della compagnia assicuratrice A., confermandola nel resto.
La Corte territoriale, per quanto rileva in causa, esponeva che era accertato —anche sulla base dei dati raccolti dal ctu presso la ASL competente, delle apposite indagini del Ministero del Lavoro e del dato epidemiologico— l’uso diffuso e costante nel periodo lavorato alle dipendenze delle due società S. G. spa ed OI M. spa di materiali contenenti amianto.
Il ctu aveva evidenziato che la inalazione di fibre di amianto e la esposizione ad idrocarburi policiclici aromatici- questi ultimi presenti nel ciclo di produzione in vetreria- aveva sicuramente contribuito al precoce sviluppo della neoplasia che aveva causato il decesso del lavoratore, pur essendosi valutato anche l’effetto nocivo dell’abitudine al fumo di sigaretta .
Non era stata adottata alcuna specifica misura di sicurezza rispetto alla esposizione agli agenti nocivi se non l’impiego di mascherine di carta alla fine degli anni 70; la pericolosità dell’amianto era stata recepita ancor prima del DPR 1124/1965 sicché non era invocabile dalle due società appellanti la previsione dell’art. 1225 cod. civ.
Era corretta anche la quantificazione del danno, iure proprio e iure hereditario e la ripartizione del grado della colpa tra S. G., nella misura del 30% ed 01 M., nella misura del 70%, operata dal Tribunale sulla base del supplemento peritale.
Il danno iure hereditario era stato liquidato come danno biologico da invalidità temporanea, parziale e poi totale, personalizzato con riferimento agli aspetti biologici e dinamico relazionali nonché alla consapevolezza dell’esito infausto.
Il danno iure proprio per la perdita del rapporto parentale era del tutto congro ed anch’esso, come il primo, inferiore ai massimi di cui alle tabelle milanesi, dovendosi tenere conto della morte precoce del congiunto e della grave e penosa malattia.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società S. G. spa, articolato in sei motivi.
Hanno resistito con controricorso gli eredi I. ed 01 M. spa; la società 01 M. spa ha altresì proposto ricorso incidentale, articolato in cinque motivi.
Avverso il ricorso incidentale di 01 M. ha resistito con controricorso A. ASSICURAZIONI spa, che ha a sua volta proposto ricorso incidentale, articolato in due motivi.
01 M. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di A. ASSICURAZIONI spa.
La COOPERATIVA F. è rimasta intimata.
01 M. ha rinunziato al ricorso incidentale proposto nei confronti di A. ASSICURAZIONI spa; A. ASSICURAZIONI ha rinunziato al proprio ricorso incidentale nei confronti di 01 M. spa.
Le due rinunzie sono state reciprocamente accettate.
01 M. spa e S. G. spa hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Preliminarmente deve darsi atto della ritualità delle reciproche rinunzie di 01 M. spa e di A. ASSICURAZIONI spa, con conseguente estinzione del giudizio limitatamente al rapporto di garanzia intercorrente tra la convenuta 01 M. spa e la compagnia assicuratrice.
Resta dunque assorbito l’esame del controricorso con ricorso incidentale di A. ASSICURAZIONI spa, in quanto relativo al solo rapporto di garanzia (e del relativo controricorso di 01 M.) nonché l’esame dei motivi del ricorso incidentale di 01 M. relativi alla garanzia assicurativa.
Le spese del rapporto processuale si compensano per la accettazione delle reciproche rinunzie.
Per effetto della estinzione la posizione di A. ASSICURAZIONI resta estranea al presente giudizio mentre restano in causa la domanda principale e quella conseguente alla chiamata in causa di S. G. spa.
Non sono stati proposti motivi di impugnazione (nel ricorso principale o nel ricorso incidentale di 01 M.) che attengano alla posizione della COOPERATIVA F..
Individuate come parti interessate gli eredi I., la società 01 M. spa e la società S. G. spa deve altresì darsi atto che, come esposto nello svolgimento del fatto, la domanda principale è stata proposta dagli eredi I. esclusivamente nei confronti dell’ultimo datore di lavoro del defunto, la società 01 M. spa; è stata quest’ultima a chiamare in causa i precedenti datori di lavoro, (S. G. spa e la COOPERATIVA F.) per la ripartizione, nel caso di sua condanna, delle relative responsabilità.
Tanto in evidente applicazione del principio secondo cui quando un danno, di cui si chiede il risarcimento, è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell’evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell’art. 1294 cod. civ. fra costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno è chiamato a rispondere, dal momento che sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire ( ex plurimis: Cassazione civile, sez. lav., 09/04/2014, n. 8372; Cassazione civile, sez. II, 11/05/2012, n. 7404; Cassazione civile sez. Ili 30 marzo 2010 n. 7618). Con la chiamata in causa di S. G. spa 01 M. ha dunque esercitato la azione di regresso tra condebitori in solido.
Il Tribunale, con statuizione confermata in appello, ha coerentemente accolto la domanda degli eredi I. unicamente nei confronti della convenuta 01 M. spa; in via successiva ha condannato S. G. spa a corrispondere ad 01 M. spa il 30% degli importi dovuti (assolta da responsabilità la COOPERATIVA F.).
Tale statuizione non comporta, contrariamente a quanto eccepito dagli eredi I. (pagine 23-25 del controricorso al ricorso S. G.), il difetto di legittimazione di S. G. spa ad impugnare la statuizione principale di condanna resa in favore degli eredi.
Le Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 4 dicembre 2015 nr. 24707 hanno ben chiarito la situazione processuale che si determina nei casi di chiamata in causa del terzo garante ai sensi dell’art. 106 cod.proc.civ., casi tra i quali ha espressamente incluso la garanzia derivante da fenomeni di regresso ricollegati alle obbligazioni solidali.
In particolare, si è affermato che chi chiama in garanzia il terzo riguardo al quale ha regresso lo può fare tanto al solo fine di estendergli l’accertamento sul rapporto principale— (di modo che il terzo successivamente, una volta esercitata l’azione di regresso non possa sollevare contestazioni su di esso)— che per chiedere altresì l’accertamento del rapporto giustificativo del regresso e l’attribuzione della prestazione di regresso ( subordinatamente all’esito sfavorevole del giudizio sul rapporto principale), come nella ipotesi di causa.
In tale evenienza ove sia stata accolta tanto la domanda principale che la domanda di garanzia il garante ( nella specie, S. G. spa) ha interesse e legittimazione ad impugnare anche la statuizione di accoglimento della domanda principale, in quanto il riconoscimento della responsabilità del garantito gli è opponibile.
Sul piano processuale si determina una situazione di litisconsorzio necessario ex articolo 331 cod. proc.civ. sicché la impugnazione dovrà svolgersi necessariamente sia nei confronti dell’attore del rapporto principale ( nella specie, gli eredi I.) sia nei confronti del garantito (nella specie, 01 MANIFACTRING spa) e sarà sufficiente [essa] a rimettere in discussione la decisione sul rapporto principale anche a vantaggio del garantito e ciò senza necessità di una impugnazione incidentale da parte sua ( salvo il solo caso, che non ricorre nella fattispecie di causa, in cui il garantito compia atti di acquiescenza alla sua condanna).
Precisati i rapporti tra le parti di causa, appare evidente il carattere preliminare del ricorso incidentale di OI M. spa; dall’eventuale suo accoglimento deriverebbe, infatti, la caducazione automatica della condanna di S. G. spa, trattandosi di un capo della sentenza dipendente dalla affermazione di responsabilità di 01 M. spa nei confronti degli eredi.
1. Con il primo motivo del ricorso incidentale 01 M. ha dedotto— ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— erronea, contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all’esame della consulenza tecnica d’ufficio.
Ha censurato la sentenza impugnata per avere aderito alle valutazioni del consulente tecnico d’ufficio in punto di rapporto di causalità tra l’ambiente lavorativo e la patologia nonché alla consulenza psicologica per la determinazione del danno subito dagli eredi I. iure proprio.
Sotto il primo profilo la società ricorrente ha evidenziato che il ctu nominato aveva accertato valori di esposizione ad amianto superiori al limite di 0,1 fibre per cm3 di cui alla legge 257/1992 ma largamente inferiori ( di 5-10 volte, a voler considerare i livelli di aerodispersione più alti) al valore di 25 fibre/anno, considerato capace di raddoppiare il rischio di induzione del cancro al polmone. Per questa ragione il ctu aveva escluso la efficienza causale esclusiva della esposizione ad amianto e del pari aveva escluso che il lavoratore fosse affetto da asbestosi nel senso, scientificamente corretto, di asbestosi polmonare diffusa.
Ha lamentato la contraddittorietà delle conclusioni dell’elaborato, in quanto il consulente— pur individuando fattori esterni capaci di indurre l’evento ( il fumo di sigaretta e la pleurite tubercolare sofferta all’età di 16 anni) aveva individuato l’ambiente lavorativo come concausa della malattia invece di esprimersi in senso dubitativo circa la ricorrenza del nesso causale.
I due consulenti di parte avevano correttamente evidenziato la attribuibilità della efficienza causale al fumo di sigaretta e la incertezza persino circa il tipo di carcinoma polmonare sofferto ( se a piccole cellule o carcinoide) oltre a segnalare la possibile incidenza nella causazione dell’evento della pregressa malattia tubercolare, trattata all’epoca di insorgenza con un farmaco (Isoniaziade) con possibile effetto cancerogeno polmonare.
Quanto al danno liquidato agli eredi iure proprio, la ricorrente incidentale ha affermato che la quantificazione era fondata su presupposti non accertati ed assiomatici ed era comunque eccessiva rispetto al periodo ed al grado di inabilità temporanea accertato dal ctu ( 6% per la durata di un anno per la vedova , 5% per 4 mesi per la figlia M., 2% per due mesi per il figlio M.). Alla luce della diversa intensità e durata della invalidità temporanea era altresì ingiustificata la mancata personalizzazione del risarcimento, pressoché equivalente nel quantum per ciascuna parte.
2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la società 01 M. ha denunziato — ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – difetto di motivazione nonché —ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1225,2043,2087,2697 cod.civ. in ordine al punto della controversia concernente la individuazione del rapporto di causalità.
La ricorrente, premessi i principi che presiedono alla individuazione del rapporto causale nelle azioni di danno, ha dedotto che nella fattispecie di causa la Corte di merito non aveva operato secondo il richiesto metodo scientifico ma aveva ragionato in termini di elevata probabilità logica, che, diversamente dalla probabilità statistica, aveva un contenuto valutativo.
Il ctu aveva ragionato su dati ipotetici: pur negando la efficienza causale esclusiva tanto della esposizione ad amianto che della presenza di idrocarburi policiclici aromatici ed avendo accertato la esposizione continuativa del lavoratore ad un rischio extraprofessionale idoneo a cagionare da solo l’evento— la esposizione da fumo— aveva concluso per la concausalità dei tre fattori, fondandola su una pretesa precocità dell’evento.
Nella fattispecie di causa l’indagine sul rapporto causale era vieppiù complicata dalla esistenza di una causalità di tipo omissivo, richiedente la identificazione del comportamento doveroso omesso ( misure di sicurezza all’epoca disponibili sul mercato) e della sua idoneità ad impedire con certezza l’evento specifico.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi e per alcuni aspetti sovrapponibili, sono in parte infondati, in parte inammissibili.
Con il secondo motivo viene dedotto un vizio di violazione e falsa applicazione delle norme che presiedono alla individuazione del nesso di causalità ma non si indica sotto quale profilo la sentenza impugnata avrebbe non correttamente interpretato o falsamente applicato i principi di diritto esposti.
La Corte di merito ha richiamato ed applicato lo stesso principio della equivalenza della cause, temperato dalla causalità efficiente, posto a fondamento del ricorso. La censura resta priva di sostegno anche quanto alla denunzia del vizio di violazione dei criteri legali di verifica della causalità nelle condotte di natura omissiva giacché la sentenza ha applicato il metodo indicato in ricorso ovvero quello della idoneità della condotta doverosa omessa ad incidere sul verificarsi dell’evento ( nella fattispecie di causa in relazione al tempo del suo verificarsi).
La censura ex articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ. è invece infondata laddove assume che il criterio legale di verifica del nesso causale, in assenza di cognizioni scientifiche certe sulla efficienza causale della condotta considerata, è unicamente quello statistico.
Va qui ribadito il principio di diritto (Cass. civ. Sez. Unite 11/01/2008, n. 576) secondo cui ove le leggi scientifiche non consentano una assoluta certezza della derivazione causale la regola di giudizio nel processo civile è quella della preponderanza dell’evidenza o «del più probabile che non», criterio che «non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)».
La sentenza impugnata si è conformata all’ indicato principio di diritto. L’accertamento nel caso concreto operato dalla Corte territoriale, da un lato circa la presenza nell’ambiente di lavoro di due agenti patogeni— l’amianto e gli idrocarburi policlicici aromatici— e, dall’altro, quanto alla ricorrenza (sulla base dei criteri legali sopra esposti) del rapporto causale con la malattia manifestatasi attiene invece alla ricostruzione del fatto storico rimessa al giudice del merito, censurabile in questa sede di legittimità unicamente nei limiti di cui all’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.
Così pure attiene all’ accertamento del fatto la quantificazione del danno sofferto dagli eredi iure proprio; rispetto a tale determinazione la società ricorrente non lamenta con il primo motivo una violazione del criterio legale degli artt. 1123,1226,1227 cod.civ.— nonostante la evocazione delle norme nella rubrica— ma piuttosto la eccessività dell’importo liquidato.
Il vizio della motivazione, secondo la disciplina vigente ratione temporìs (ovvero risultante dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40),è deducibile in termini di «omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione» su «un fatto controverso e decisivo per il giudizio» e non già, come nel testo previgente, su un «punto decisivo della controversia».
Il ricorso è sotto questo profilo inammissibile.
La società non indica un preciso fatto storico rispetto al quale la motivazione sarebbe omessa ( per non avere esaminato un elemento risultante in atti e potenzialmente decisivo) ovvero insufficiente o contraddittoria; si limita a contrapporre alle valutazioni del ctu, recepite dal giudicante, un generico vizio di mancanza di prova sia in ordine agli agenti patogeni che in ordine alla loro idoneità causale ed a contestare come eccessivo l’importo del danno parentale liquidato . In tal modo chiede a questa Corte di rivalutare gli elementi di prova acquisiti al giudizio, compito certamente estraneo alla funzione di legittimità.
3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale OI M. spa ha dedotto — ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia nonché— ai sensi dell’art. 360 nr.3 cod.proc.civ. — violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1223,1225,1226,2043,2087 cod.civ. , 15 DPR 303/1956, 40 cod.pen. sul punto della colpa e della prevedibilità del danno. La parte ricorrente, muovendo dalla premessa della impossibilità di attribuire una responsabilità a titolo oggettivo, ha evidenziato che il giudizio di colpevolezza avrebbe richiesto la conoscibilità al momento dei fatti sia dell’evento di danno sia delle misure di sicurezza attuabili per prevenirlo. Sotto il primo profilo la consapevolezza della nocività dell’amianto derivava, invece, da conoscenze scientifiche acquisite in epoca molto successiva ai fatti; anzi, l’amianto non era stato impiegato nella lavorazione del vetro ma proprio come misura di sicurezza rispetto al rischio calore, unico all’epoca noto.
Sotto il secondo profilo, la colpevolezza sussisteva solo quando la attuazione della cautele disponibili all’epoca dei fatti avrebbe ridotto significativamente la probabilità di contrarre la malattia.
Nella fattispecie di causa le norme di prevenzione sulle polveri erano state sempre rispettate e, comunque, occorreva verificare se esistessero all’epoca dei fatti dispositivi di protezione, specificamente individuati, di uso diffuso presso le imprese del vetro, idonei ad impedire la inalazione delle microfibre di asbesto.
Sino agli anni settanta tutti i materiali isolanti ed antincendio di comune impiego contenevano amianto e solo negli anni novanta si prospettava l’ipotesi della impossibilità di un uso sicuro dell’amianto; ancora alla attualità non vi era certezza scientifica circa la soglia di esposizione determinante il rischio.
Non si poteva poi trascurare la evoluzione dei metodi di misurazione delle fibre di amianto aerodisperse, necessaria alla preventiva valutazione del rischio— che non vedeva metodi ufficialmente validati sino alla fine degli anni settanta— né il fatto che i valori limite entro i quali era lecito l’utilizzo dell’amianto avevano subito variazione nel tempo e negli anni settanta erano fissati in misura certamente inadeguata a proteggere dall’asbestosi e dal mesiotelioma.
L’uso dell’amianto era addirittura imposto negli anni ottanta da norme tecniche specifiche di costruzione.
La ampia diffusione del fattore di rischio non consentiva neppure di identificarne la origine professionale.
Il motivo è infondato.
Va preliminarmente evidenziato che esso, pur inerendo al giudizio di colpevolezza, contiene alcune deduzioni che attengono al rapporto di causalità, quale quella della mancanza di certezza della natura professionale della malattia e della inidoneità, in ogni caso, della condotta doverosa omessa ad evitare l’evento.
Sul primo punto la Corte di merito ha accertato in fatto che era costante l’utilizzo nello stabilimento di materiali contenenti amianto.
Le cautele omesse— la cui adozione era imposta dall’art. 2087 cod.civ. e dal DPR 330/1956— sono state individuate in sentenza nella mancata rimozione ed aspirazione delle polveri nocive (con idonei aspiratori e con specifiche operazioni di pulizia) e nel fatto che ai lavoratori erano state fornite mascherine— in carta— solo alla fine degli anni 1970.
La Corte ha da ultimo affermato che la adozione delle misure sopra individuate avrebbe inciso almeno sul tempo di latenza della malattia.
Tali accertamenti di fatto avrebbero dovuto essere contestati in questa sede allegando uno specifico fatto storico non esaminato in sentenza o rispetto al quale la motivazione fosse inadeguata o contraddittoria laddove il ricorso incidentale non contiene alcuna allegazione in tal senso, risolvendosi in una inammissibile censura di merito.
La colpevolezza attiene invece al giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento in ragione delle conoscenze di un imprenditore di media diligenza del settore, comparabile alla 01 M. per tipo di organizzazione produttiva.
Sul punto il giudice dell’appello ha evidenziato: che la pericolosità dell’amianto era nota fin dai primi anni novanta; che era, comunque, noto il rischio derivante dalla formazione e diffusione delle polveri, come evincibile dalle previsioni contenute nell’articolo 15 DPR 303/1956; che il rischio specifico derivante dall’ amianto risultava legislativamente recepito dal DPR 30.6.1965 nr. 1124 e dalla allegata tabella 8.
Tale statuizione è congruamente motivata e conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte , in sede civile ( ex plurimis: Cassazione civile, sez. lav., 21/09/2016, n. 18503 e giurisprudenza ivi richiamata) e penale, che in fattispecie analoghe ha individuato negli stessi sensi il contenuto degli obblighi e delle responsabilità datoriali.
Deve altresì precisarsi che il giudizio di prevedibilità ed evitabilità va riferito non allo specifico tipo di neoplasia in concreto manifestatosi— il che rapporterebbe la colpa ad un criterio scientifico che è proprio del diverso giudizio di causalità— ma al generico verificarsi di un danno alla salute del lavoratore, essendo questo l’evento che l’art. 2087 cod.civ. ed il DPR 303/1956 mirano a prevenire.
L’esame del quarto motivo del ricorso incidentale di OI M. resta assorbito dalla estinzione del rapporto processuale con A. ASSICURAZIONI; esso attiene infatti alla sussistenza dell’obbligo di garanzia della compagnia assicuratrice.
Il quinto motivo, nonostante la rubrica, non costituisce una impugnazione incidentale; trattasi delle difese avverso il ricorso proposto da S. G. spa, da considerare unitamente a quest’ultimo.
Esaurita la trattazione del ricorso incidentale di OI M. spa resta da esaminare il ricorso principale di S. G. spa.
Il primo ed il secondo motivo attengono alla statuizione della responsabilità datoriale per la malattia dello I. e dunque ineriscono anche al rapporto principale tra gli eredi ed OI M. spa.
1. Con il primo motivo di ricorso S. G. spa ha denunziato — ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, relativo all’impiego di materiali contenenti amianto presso il sito produttivo di Livorno.
La società ricorrente ha esposto che l’utilizzo dell’amianto era limitato alla dotazione ed adozione dei dispositivi di protezione dal calore ed ha lamentato il mancato esame dei rilievi del ctu giacché l’ausiliario dava atto: che non esisteva una diagnosi certa sull’origine della malattia tumorale che aveva colpito il lavoratore; che la esposizione ad amianto nella attività lavorativa non era idonea da sola a determinare l’evento; che non era stato raggiunto il valore- soglia di esposizione dotato di sicura efficienza causale, pari a 25 fibre/anno; che non erano disponibili dati certi circa la efficacia causale degli idrocarburi policiclici aromatici.
2. Con il secondo motivo la ricorrente S. G. spa ha dedotto— ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. — contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in riferimento all’accertamento del nesso causale tra l’ambiente di lavoro e la patologia contratta dallo I. nonché — ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2087,2697 cod.civ. e 41 cod.pen.
Ha dedotto la insufficienza della motivazione circa la affermazione del nesso causale in presenza di plurimi elementi che deponevano in senso diverso quali: la mancanza di prova che la specifica patologia tumorale fosse asbesto-correlata; la mancata individuazione di una asbestosi; il mancato rinvenimento di corpuscoli di asbesto negli esami e nella biopsia eseguiti all’epoca; la pleurite di origine tubercolare sofferta dal lavoratore in giovane età e la bronchite cronica; l’utilizzo di farmaci ad azione cancerogena (a base di isoniaziade); il fumo di sigaretta; la pregressa attività lavorativa di lucidatore, con inalazione di smalti e vernici ad azione nociva.
La società ricorrente ha dedotto che lo stesso ctu si era espresso in termini di mera possibilità dell’origine lavorativa della malattia, ammettendo che non era mai stato raggiunto il valore soglia di 25 fibre di amianto/anno, che non vi erano dati quantitativi per stabilire la idoneità causale della esposizione ad idrocarburi policilici aromatici, che in linea generale la esposizione al fumo da tabacco era causa sufficiente a determinare l’evento.
Il consulente di parte aveva altresì evidenziato la necessità di verificare la dose del carico polmonare da fibre, nella specie non accertabile, al fine di affermare l’efficienza causale dell’amianto.
La ricorrente ha da ultimo denunziato la violazione delle norme di diritto che presiedono all’accertamento del rapporto di causalità in genere ed alla causalità per le condotte omissive in particolare ( art. 41 cod. pen. artt. 2087, 2043, 2697 cod.civ).
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
In punto di violazione delle norme di diritto si rinvia alle valutazioni già espresse in riferimento agli analoghi motivi (il secondo ed il terzo) del ricorso incidentale di 01 M. spa , essendosi ivi evidenziata la corretta applicazione da parte del giudice del merito delle norme sulla causalità omissiva.
In punto di fatto le censure investono tanto la accertata presenza di materiali contenenti amianto sul luogo di lavoro che l’apprezzamento in concreto del rapporto di causalità, accertamenti denunziabili in questa sede nei limiti di deducibilità del vizio di motivazione ex art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.
Le censure non superano il vaglio di ammissibilità.
Esse non individuano in modo specifico— ovvero con riferimento ad atti di causa e passaggi della consulenza precisamente identificati — un fatto storico decisivo non esaminato in sentenza : i fatti allegati— ovvero la concorrenza causale del fumo di sigaretta, le non elevate dosi di amianto aerodisperse, il tipo di patologia contratta— sono stati tutti esaminati nella decisione; la incidenza causale dell’ambiente lavorativo sulla patologia è stata affermata alla luce di argomentazioni coerenti e non contraddittorie, supportate dalla valutazione medico legale del ctu.
La presenza di amianto nell’ambiente di lavoro è stata del resto riconosciuta dalla stessa S. G. spa nel ricorso, almeno quanto ai dispositivi di protezione impiegati sia nel ciclo di lavorazione ( corde e nastri) che nelle dotazioni individuali (grembiuli e guanti).
3. Con il terzo motivo di ricorso la società S. G. spa ha dedotto- ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in riferimento alla affermata corresponsabilità di S. G. spa ed alla sua condanna in sede di regresso nonché — ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2055 cod.civ. e 37 D.LGS. 277/1991.
La ricorrente ha lamentato il difetto della motivazione tanto in ordine alla sua ritenuta corresponsabilità che quanto alla determinazione della sua entità (30% del danno).
Ha esposto sotto il primo profilo:
– che lo I. aveva cessato di lavorare alle sue dipendenze nell’anno 1972, quando le conoscenze in tema di nocività dell’amianto e di igiene industriale erano sicuramente inferiori a quelle acquisite nel periodo successivo e fino alla cessazione del rapporto instaurato con OI MAIFACTURING, nell’anno 1994;
– che l’utilizzo di amianto nel suo ciclo produttivo era limitato ai mezzi di protezione contro il calore;
– che la esposizione ad amianto era durata al massimo 18 mesi, in percentuali neppure accertate;
– che i testi di causa avevano riferito dell’utilizzo dell’amianto da parte dello I. in un periodo lavorativo successivo all’anno 1972.
Sotto il profilo della ripartizione della responsabilità ha dedotto:
– che lo I. era stato suo dipendente soltanto due anni mentre aveva lavorato alle dipendenze di OI M. per ventitré anni;
– che lo I. aveva lavorato nella zona cd. «calda», in cui si utilizzavano dispositivi di protezione contenenti amianto, solo per diciotto mesi rispetto ai ventitré anni di impiego nella «zona calda» alle dipendenze di 01 M.;
– che la ripartizione della responsabilità non era stata operata con il criterio di cui all’art. 2055 cod.civ. ma sulla base di criteri generici, ipotetici ed astratti.
4. Con il quarto motivo la società S. G. spa ha denunziato— ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, con riferimento alle misure di prevenzione da essa adottate nonché — ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 cod.civ.
Ha dedotto: che fino all’anno 1972 non risultava alcun accertamento del
fatto che la polverosità degli ambienti di lavoro fosse superiore a quella consentita; che l’utilizzo di manufatti in amianto presso SAIN G. spa si riduceva agli strumenti di protezione del lavoratore dal calore, che erano alluminizzati per evitare la dispersione di polveri; che alcuno strumento all’epoca noto avrebbe potuto escludere gli effettivi nocivi derivanti dall’utilizzo legittimo dell’amianto; che i ricorrenti avrebbero dovuto offrire la prova che adottando una condotta alternativa doverosa la patologia non sarebbe insorta; che l’uso di aspiratori avrebbe movimentato l’aria aumentando il rischio di malattie professionali; che anche i migliori aspiratori dell’epoca non avrebbero eliminato la presenza delle fibre di amianto nell’aria.
Ha altresì dedotto che la responsabilità datoriale non era configurabile quando allo stato delle conoscenze scientifiche disponibili all’epoca dei fatti non era conoscibile il nesso causale tra l’uso di una sostanza e la patologia professionale.
5. Con il quinto motivo la società S. G. ha denunziato — ai sensi dell’art. 360 nr.5 cod.proc.civ.— contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia con riferimento al danno prevedibile al momento di insorgenza della obbligazione nonché— ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc.civ.—violazione e falsa applicazione degli articoli 1225 cod.civ., 2087 cod.civ., 15 DPR 303/1956.
La censura afferisce alla statuizione di prevedibilità del danno.
La società ricorrente ha dedotto che tale giudizio doveva essere riferito alle conoscenze acquisite fino all’anno 1972 e sul punto ha evidenziato che l’amianto era stato di generale impiego fino alla metà degli anni ottanta e che all’epoca dei fatti l’utilizzo di manufatti in amianto costituiva una forma di tutela dei lavoratori.
La normativa di protezione— ed in particolare l’art. 15 del DPR 303/1956— non era finalizzata a prevenire il rischio di patologie tumorali, che non era ancora noto né conoscibile ma altre patologie correlate alla polverosità.
Non vi poteva essere colpa della S. G. o, comunque, il risarcimento doveva essere limitato nel quantum al danno prevedibile.
Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, attengono specificamente al rapporto di garanzia nascente dalla chiamata in causa.
S. G. ha contestato la propria corresponsabilità per il danno sia sotto il profilo del rapporto di causalità che sotto il profilo della colpa; ha contestato inoltre la misura della sua responsabilità.
Anche in questa sede va confermata la carenza di fondamento delle censure mosse in punto di violazione delle norme di diritto, per la correttezza dei criteri di imputazione della causalità omissiva seguiti dal giudice del merito così come dei criteri di individuazione della colpa, che hanno orientato la indagine anche ai fini del rapporto di garanzia .
In punto di applicazione dell’articolo 1225 cod.civ. il giudice del merito ha poi correttamente affermato che la prevedibilità del danno non va riferita alla specifica patologia tumorale causativa del decesso ma genericamente al danno alla salute del lavoratore, che le misure di prevenzione mirano ad evitare. La specificità della patologia rileva, piuttosto, al diverso fine dell’accertamento del rapporto di causalità.
L’accertamento di fatto svolto in sentenza circa il concreto concorso causale della condotta omissiva di S. G. spa nella produzione del danno, la sua colpa ed il grado dell’uria e dell’altra è censurabile in questa sede soltanto nei limiti di cui all’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.
Sotto questo profilo il motivo è inammissibile, in quanto non contrappone alle valutazioni della sentenza un fatto storico non esaminato o esaminato in maniera lacunosa e contraddittoria ma ripropone argomenti motivatamente disattesi dalla sentenza ( in particolare: sotto il profilo dell’apporto causale, la non-idoneità della condotta doverosa omessa ad evitare il danno; sotto il profilo della colpa, la non-conoscibilità della pericolosità dell’amianto).
In ordine alla ripartizione interna delle responsabilità, la sentenza si è riportata alle conclusioni rese dal ctu sulla base del criterio cronologico e della elevata probabilità medico legale.
La società ricorrente non ha mosso adeguate censure alle valutazioni del ctu, richiamate in sentenza, fondate, come esposto nel controricorso di 01 M., sulla durata della esposizione presso i due datori di lavoro, sulla maggiore importanza della prima esposizione nella genesi della malattia tumorale, sul miglioramento progressivo delle condizioni dell’ambiente di lavoro, sulle numerose interruzioni del secondo periodo di lavoro.
Ha chiesto piuttosto a questa Corte un inammissibile riesame di merito delle valutazioni del consulente tecnico.
6. Con il sesto motivo la società S. G. spa ha dedotto —ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.— contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, concernente i criteri di determinazione del danno nonché — ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 ,1226, 2056, 2697 cod.civ.
Ha censurato la sentenza quanto alla determinazione del danno iure hereditario (€ 200.000), affermando che la personalizzazione del danno era stata operata in assenza di un parametro preciso— laddove le tabelle del Tribunale di Milano avrebbero comportato una liquidazione non superiore ad € 32.000— e senza considerare il concorso della causa extralavorativa.
Ha altresì censurato la determinazione del danno iure proprio, in quanto effettuata considerando le tabelle del Tribunale di Milano relative alla invalidità permanente laddove la consulenza psicologica aveva accertato una invalidità temporanea— e di grado modesto— per ciascuno dei congiunti.
Ha asserito che secondo le tabelle del Tribunale di Milano il danno degli eredi iure proprio doveva essere liquidato in una somma compresa tra la metà ed un quarto del danno biologico riconosciuto al de cuius.
Il motivo, che nuovamente attiene alla domanda principale, è inammissibile. Quanto al danno iure hereditario, la sentenza ha operato la liquidazione del danno non patrimoniale subito dal de cuius facendo riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano e considerando gli ultimi anni di vita del paziente, le cure chemioterapiche e radioterapiche, svolte per oltre un anno prima della morte, la piena consapevolezza dell’esito infausto; ha dato atto che la somma liquidata era inferiore ai massimi derivanti dalla tabella, che determinava in € 132 al giorno il danno da invalidità temporanea .
Il ricorso genericamente asserisce la difformità della liquidazione rispetto alla tabella milanese senza illustrare le ragioni di tale assunto, che è in contrasto con le statuizioni della sentenza.
La società ricorrente ha poi introdotto in questa sede la questione della diminuzione del danno risarcibile per la incidenza della condotta colposa del creditore nella produzione del danno (art. 1227 cod.civ.) senza indicare in quali forme il relativo accertamento di fatto (gravità della colpa del creditore ed entità delle conseguenze derivate) era stato portato all’esame del giudice del merito.
Quanto al danno iure proprio, derivato ai congiunti dalla perdita del rapporto parentale, la Corte ha considerato tutti gli aspetti della vicenda concreta, compreso il danno morale durante la grave e penosa malattia del defunto.
Il danno biologico derivato dalla riconosciuta invalidità temporanea è stato, dunque, soltanto uno degli elementi posti a base della liquidazione del danno non patrimoniale.
La allegazione del mancato rispetto delle tabelle milanesi (laddove la sentenza dà atto, al contrario, di una liquidazione inferiore ai massimi della tabella) resta ancora una volta generica e, comunque, infondata nella parte in cui si assume la necessità di fare riferimento per la liquidazione del danno parentale ad una percentuale del danno biologico; il criterio proposto attiene al danno morale subito dalla vittima del danno biologico (nella specie il de cuius) e non al danno derivato dalla perdita del rapporto parentale.
I ricorsi vanno conclusivamente respinti.
Le società S. G. spa e OI M. spa vanno condannate alla refusione delle spese nei confronti degli eredi I.. S. G. spa va condannata alla refusione delle spese nei confronti di 01 M. per la soccombenza nel rapporto di garanzia.
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio nei rapporti tra 01 M. ITALY spa ed A. ASSICURAZIONI spa. Rigetta nel resto il ricorso di S. G. PPC ITALIA spa ed il ricorso incidentale di 01 M. ITALY spa.
Nulla per le spese nei rapporti tra 01 M. ITALY spa ed A. ASSICURAZIONI spa.
Condanna S. G. PPC ITALIA spa e 01 M. ITALY spa alla refusione delle spese nei confronti di G. F., M. I.,M. I., che liquida a carico di ciascuna delle due società in € 200 per spese ed € 9.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Condanna S. G. PPC ITALIA spa alla refusione delle spese nei confronti di 01 M. ITALY spa, che liquida in € 200 per esborsi ed € 6.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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