CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 maggio 2019, n. 13658
Rapporto di lavoro – Decesso del lavoratore – Nesso causale tra l’esposizione all’amianto e ad altre sostanze tossiche – Prova
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza pubblicata il 3 dicembre 2015, ha confermato la pronuncia di primo grado che, in relazione al decesso per neoplasia polmonare di S.M., già dipendente presso la A.B. Spa dal 1979 al 2005 come addetto prima al reparto verniciatura e poi all’ebanisteria, aveva ritenuto non dimostrato il nesso causale derivante dalla esposizione all’amianto e ad altre sostanze tossiche, rigettando le domande di P.A.C., A.M., V.M., F.M. e G.D.M. volte ad ottenere il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, asseritamente causati dalla azienda datrice di lavoro del congiunto.
2. La Corte, anche in seguito ad una duplice indagine condotta a mezzo consulenti tecnici d’ufficio in grado d’appello, ha rigettato l’impugnazione degli eredi del lavoratore “per difetto di prova del nesso eziologico” tra il “sarcoma sinoviale” contratto dal M. e l’attività lavorativa prestata.
3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso gli eredi M. con 3 motivi; ha resistito la Società A.B. s.p.a. con controricorso, formulando altresì ricorso incidentale, espressamente qualificato come condizionato, affidato ad un motivo, cui hanno resistito gli eredi.
Ragioni della decisione
1. I motivi di ricorso principale possono essere di seguito sintetizzati secondo le rubriche proposte dalla stessa parte ricorrente.
1.1. Con il primo mezzo si denuncia: “violazione di legge in relazione all’interpretazione ed applicazione dei principi che regolano l’onere e la valutazione della prova, le presunzioni semplici, gli argomenti di prova, i poteri istruttori officiosi ed il giusto processo (artt. 2087, 1218, 2729 e 2697 c.c., artt. 111, 115, 116 e 421 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) perché la sentenza esclude in maniera assoluta la rilevanza e conducenza, ai fini della prova del nesso causale: A) dei precedenti riconoscimenti giudiziali di malattia professionale – bronchite cronica ostruttiva – e del riconoscimento del beneficio contributivo per esposizione all’amianto anni ’79-’89 del de cuius; B) del referto avente ad oggetto l’esame di n. 25 preparati istopatologici appartenenti al de cuius, nonché B) delle tre CTU espletate nei summenzionati giudizi e D) della relazione di accertamento tecnico preventivo disposta dal pretore di Reggio Calabria in altro giudizio n. 1771/95 a cui l’A.B. aveva partecipato”.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia: “violazione di legge in relazione all’interpretazione ed applicazione dei principi che regolano l’onere della prova, la valutazione della prova, le presunzioni semplici, gli argomenti di prova, il rapporto di causalità ed il concorso di cause (artt. 40 e 41 c.p. e artt. 2087, 1218, 2729 e 2697 c.c., artt. 111, 115, 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) perché la sentenza: a) esclude, ai fini dell’accertamento del nesso eziologico, l’incidenza concausale dei multi-fattori professionali, in aperta violazione del criterio dell’equivalenza delle condizioni, e senza tenere conto dei principi di regolarità causale vigenti in materia civile e di probabilità qualificata nel caso di malattia professionale ad eziologia multifattoriale; b) non considera l’effetto sinergico moltiplicatore e accelerativo della contemporanea presenza di più fattori morbigeni; c) afferma, in assoluta carenza di prova ragionevolmente certa, che la moderata abitudine tabagica del de cuius sia causa esclusiva ed univoca dell’insorgere della neoplasia”
1.3. Con il terzo motivo si denuncia: “vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per la mancata indagine circa la presenza, nel caso di specie, di rischio multifattoriale vista l’esposizione a più elementi morbigeni e l’idoneità degli stessi di agire come fattori causali o concausali dell’evento o in relazione sinergica con il tabagismo, nonché per non avere ritenuto di accertarne l’esistenza al fine dell’indagine sull’effetto sinergico di tali fattori se non quale indipendente apporto alla serie causale, anche come fattore accelerativo del rischio tabagico e per essersi allineata alla relazione del c.t.u. senza motivare in maniera congrua e adeguata sulle critiche che ad essa avevano mosso i ricorrenti nelle proprie note autorizzate e consulenze tecniche di parte”.
2. Il ricorso non può trovare accoglimento in quanto, anche nella veste solo formale della denuncia di errores in iudicando, nella sostanza mira a porre in discussione quello che è inevitabilmente un accertamento di fatto demandato al dominio dei giudici del merito, quale la sussistenza di un nesso causale tra esposizione a fattori morbigeni (amianto e vernici e solventi) ed il raro sarcoma contratto dal dante causa, escluso dalla Corte territoriale con effettiva e non contraddittoria motivazione, peraltro non suscettibile in sé di sindacato alla luce del novellato art. 360 n. 5 c.p.c..
2.1. In particolare, i primi due motivi appaiono inammissibilmente formulati invocando l’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c..
Innanzitutto viene invocata promiscuamente la violazione di plurime norme sostanziali e processuali senza la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, cosi da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).
In secondo luogo il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ricorre o non ricorre – a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione – per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007). Sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.
Nella specie i ricorrenti partono evidentemente da una diversa ricostruzione storica dei fatti, per i quali richiedono una rivalutazione degli accertamenti non consentita in sede di legittimità, sicché le censure non hanno nulla a che vedere con gli errori di diritto impropriamente richiamati.
2.2. Il terzo motivo, formulato invece proprio a mente del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non tiene affatto conto degli enunciati espressi dalle Sezioni unite di questa Corte che hanno rigorosamente interpretato la disposizione novellata (v. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014), traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito sulla quaestio facti.
In particolare, con esso si prospettano una molteplicità di elementi fattuali che sarebbero stati trascurati dalla Corte territoriale che, anche per la loro pluralità, non hanno il necessario carattere della decisività, nel senso inteso dagli orientamenti della giurisprudenza di legittimità secondo cui è fatto decisivo quello che, se fosse stato esaminato, avrebbe portato ad una soluzione diversa della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (v., tra molte, Cass. SS.UU. n. 3670 del 2015 e n. 14477 del 2015). Si è così sancita l’inammissibilità di censure innanzi a questa Corte che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte della Corte di Appello, ma in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito oppure chiamando “fatto decisivo”, indebitamente trascurato, il vario insieme dei materiali di causa (Cass. n. 21439 del 2015).
3. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con assorbimento del ricorso incidentale della società espressamente qualificato come condizionato.
Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012 nei confronti dei ricorrenti in via principale P.A.C., M. A., M. F. e M. V., con eccezione di M. G. in quanto ammessa al gratuito patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. n. 18523 del 2014; Cass. n. 7368 del 2017), mentre la liquidazione del compenso al difensore della parte ammessa Avv. B., ove ne restino confermate le relative condizioni giustificative, è riservata, ex art. 83 del d.P.R. n. 115/2002, al giudice di merito che ha emesso la pronuncia passata in giudicato per effetto della presente sentenza (Cass. n. 7368 del 2017).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in via principale al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in via principale indicati in motivazione, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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