CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 febbraio 2017, n. 2893

Tributi – INVIM – Imposte di registro, ipotecarie e catastali – gevolazioni acquisto “prima casa” – Immobili di lusso

Svolgimento del processo

D. P. aveva venduto la quota di proprietà di un immobile destinato ad abitazione principale per il quale l’acquirente chiedeva l’applicazione delle imposte con aliquota agevolata.

L’Agenzia delle Entrate Ufficio di Roma 1, con avviso di liquidazione d’imposta n. 0167897/000/1V/001, recuperava, nei confronti dei coobbligati in solido, INVIM ed imposte di registro, ipotecarie e catastali, oltre interessi e sanzioni, a seguito dell’accertata decadenza dalle agevolazioni per l’acquisto della “prima casa”, previste dall’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in quanto l’immobile compravenduto doveva essere considerato di lusso.

Avverso l’avviso di recupero d’imposta ed irrogazione di sanzioni la P. propose ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che lo accolse, con sentenza appellata dalla soccombente Agenzia delle Entrate, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale, con sentenza n. 193/01/11, riformò la gravata decisione ritenendo tempestiva la notifica dell’avviso di liquidazione, effettuata in data 28/4/2006, applicandosi l’art. 11, comma 1 bis, L. n. 289 del 2002, e non fondate, nel merito, le deduzioni della contribuente circa la carenza di solidarietà passiva, ai sensi dell’art. 57, comma 4, D.P.R. n. 131 del 1986, trattandosi di imposta complementare e non di fatto imputabile soltanto ad una delle parti contraenti ma piuttosto alle oggettive caratteristiche del bene. Avverso la sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la P. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione di legge, in relazione agli artt. 11, commi lei bis, L. n. 289 del 2002 e 76 D.P.R. n. 131 del 1986, giacché le richiamate disposizioni, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, non avrebbero previsto alcuna proroga del termine per l’esercizio del potere di accertamento dell’Ufficio in materia di agevolazioni “prima casa”, potere che, ad avviso della ricorrente, deve essere ristretto in termini rigorosamente brevi onde evitare una indeterminata esposizione del contribuente al potere impositivo dell’Amministrazione finanziaria.

L’assunto difensivo, che si basa sull’affermazione che la fattispecie in esame, in quanto regolata dal comma 1 bis dell’articolo 11 L. n. 289 del 2002, esulerebbe dall’ambito di operatività della proroga di due anni dei termini per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta di registro prevista dal comma 1 dello stesso articolo, va senz’altro disatteso.

Secondo un ormai consolidato indirizzo di questa Corte “La proroga di due anni dei termini per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull’incremento di valore degli immobili, prevista dall’art. 11, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in caso di mancata presentazione o inefficacia dell’istanza di condono quanto ai valori dichiarati o agli incrementi di valore assoggettabili a procedimento di valutazione, è applicabile anche all’ipotesi di cui al comma 1 – bis, riguardante la definizione delle violazioni relative all’applicazione di agevolazioni tributarie sulle medesime imposte, in quanto, nell’uno e nell’altro caso, l’Ufficio è chiamalo a valutare l’efficacia dell’istanza di definizione, cosicché, trattandosi delle medesime imposte, sarebbe incongrua l’interpretazione che riconoscesse solo nella prima ipotesi la proroga dei termini per la rettifica e la liquidazione del dovuto.” (Cass. n. 992/2016; n. 5480/2013; n. 20698/2011; n. 12069/2010; n. 24575/2010, n. 4321/2009; cfr. anche, in motivazione, Cass. S.U. n. 18574/2016, in tema di applicabilità – esclusa – della proroga biennale del termine di accertamento prevista dalla combinazione dei commi 1 e 1 bis dell’art. 11 della L. n. 289 del 2002 nel caso di violazioni concernenti la fruizione dell’aliquota agevolata dell’IVA per l’acquisto della prima casa, tributo diverso da quelli ai quali il citato art. 11 fa riferimento).

Nel caso di specie, pertanto, la CTR correttamente ha ritenuto tempestivo l’avviso di liquidazione in oggetto, notificato il 28/4/2006, essendo stato registrato l’atto traslativo della proprietà il 7/12/2001 ed il termine triennale di cui all’art. 76, comma 2, D.P.R. n. 131 del 1986, che ha preso a decorrere da tale data (Cass. n. 26407/2005), essendo rimasto sospeso per due anni, ai sensi dell’art. 11 L. n. 289 del 2002.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 57, comma 4, D.P.R. n. 131 del 1986, giacché la CTR avrebbe trascurato il rilievo della circostanza che era stata la parte acquirente a chiedere l’applicazione del regime impositivo agevolato ed a dichiarare la sussistenza dei requisiti all’uopo richiesti dalla legge.

Anche tale assunto della contribuente va disatteso perché non è esatto.

Nel caso di specie, la decadenza dai benefici “prima casa” è dovuto a circostanza (le caratteristiche di lusso dell’immobile ai sensi del d. m. 2 agosto 1969) non imputabile in via esclusiva ad un determinato comportamento dell’acquirente (come avrebbe potuto essere una eventuale sua dichiarazione mendace sulla sussistenza dei presupposti del trattamento agevolato: in merito alla dichiarazione mendace v. Cass. n. 13141/2016), sicché opera, in capo alla parte venditrice, la solidarietà dell’obbligazione tributaria di cui al citato art. 57, comma 1, D.P.R. n. 131 del 1986 (Cass. n. 24400/2016).

In altri termini, la responsabilità della odierna ricorrente non è dipesa da un comportamento addebitabile all’acquirente, per il solo fatto di aver chiesto l’applicazione dei benefici, scaturendo piuttosto ex lege dalla oggettività del contratto stipulato da entrambe le parti.

I presupposti della revoca dell’agevolazione permangono integri anche alla luce dello jus superveniens di cui all’articolo 10, primo comma, lettera a) D. Lgs. n.23 del 2011 il quale, nel sostituire il secondo comma dell’art. 1 della Parte Prima Tariffa allegata al D.P.R. 131 del 1986, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso – non ammesso, in quanto tale, al beneficio “prima casa” – sulla base dei parametri di cui al D.M. 2 agosto 1969.

In forza della disciplina sopravvenuta, infatti, l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalla concreta tipologia del bene e dalle sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie (individuate sulla base del suddetto D.M.), bensì dalla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale Al, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici).

Al fine di allineare allo stesso criterio dell’imposta di registro anche l’agevolazione “prima casa” attribuita con aliquota IVA ridotta, il legislatore è poi intervenuto con l’articolo 33 del D.Lgs. 175 del 2014 che, nel modificare il n. 21 della Tab. A, Parte II, all. al D.P.R. n. 633 del 1972, ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che anche l’agevolazione IVA è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie.

Il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente al 1° gennaio 2014, come espressamente disposto dall’art. 10, comma 5, D.Lgs. 23 del 2011, per cui l’atto di trasferimento dedotto nel presente giudizio, antecedente a questo discrimine temporale, continua ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina.

Fermo dunque restando il pregresso regime impositivo sostanziale, ritiene il Collegio – dando con ciò continuità a quanto stabilito, in identica fattispecie, da Cass. ord. n. 13235/2016 – che una diversa soluzione si imponga, invece, per quanto concerne le sanzioni applicate con l’atto qui impugnato.

In proposito, si ravvisano i presupposti per l’applicazione del secondo comma dell’articolo 3 D.Lvo n, 472 del 1997, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie: “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non e’ ammessa ripetizione di quanto pagato”.

La ricorrenza del principio di legalità e di favor rei in materia tributaria – già ampiamente valorizzato, in presenza di sanzioni amministrative di sostanziale valenza penale, anche ex artt. 49 della Carta dei diritti fondamentali UE, e 7 CEDU – si impone, nella specie, sotto il profilo che tali sanzioni vennero inflitte per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche “non di lusso” (sempre secondo i sopra richiamati parametri ministeriali), vale a dire, per aver reso una dichiarazione che, per effetto della modifica normativa, oggi non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento.

In altri termini, il mendacio contestato – costituente l’espresso fondamento della sanzione, così come stabilito dal quarto comma dell’articolo 1, Parte Prima, Tariffa D.P.R. 131 del 1986 – non potrebbe più realizzarsi, in quanto caduto su un elemento (caratteristiche non di lusso dell’immobile) espunto dalla fattispecie agevolativa.

E’ vero che la modifica normativa non ha abolito né l’imposizione (nella specie individuabile nel recupero a piena tassazione dell’agevolazione indebitamente fruita), né le conseguenze sanzionatone derivanti dalla falsa dichiarazione, tuttavia, è proprio l’oggetto di quest’ultima, costituente elemento normativo della fattispecie, ad essere stato cancellato dall’ordinamento. Tanto che, in base al regime sopravvenuto, l’agevolazione ben potrebbe sussistere (in assenza di iscrizione nelle categorie catastali ostative) anche in capo ad immobili abitativi in ipotesi connotati dalle caratteristiche la cui mancata o falsa dichiarazione ha costituito il motivo della sanzione.

Il che rende del tutto peculiare la presente fattispecie rispetto a quelle con riguardo alle quali è stato affermato che – in difetto di “abolido criminis” – permane a carico del contribuente tanto l’obbligo del versamento dell’imposta dovuta prima della modificazione normativa, quanto quello sanzionatone (Cass. 25754/14; Cass. 25053/06).

Va, inoltre, considerato che qui ricorre una situazione di favore per il contribuente ancor più radicale ed evidente di quella (prevista nel terzo comma dell’articolo 3 D.Lvo n. 472 del 1997) del sopravvenire di un regime sanzionatorio semplicemente più mite, perché qui non di questo si tratta, ma proprio di riformulazione ex novo della fattispecie legale di non spettanza dell’agevolazione, fondata su un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello, precedentemente rinvenibile, fatto oggetto di mendacio.

Ne discende che l’Amministrazione finanziaria mantiene la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito – al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile – dall’immobile trasferito, senza però avere titolo per applicare le sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non sono più rilevanti, non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti.

In definitiva, lo jus superveniens impone il parziale accoglimento del ricorso, limitatamente alla non debenza delle sanzioni applicate con l’atto opposto, conclusione che deriva da una scelta interpretativa di favore suscettibile di essere attuata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, anche in sede di legittimità (Cass. n. 1856/2013; n. 4616/2016; n. 16679/2016 e n. ord. 13235/2016 cit.).

Stante l’avvenuta contestazione, da parte della contribuente, della legittimità della revoca dell’agevolazione, è per ciò solo escluso che sia divenuto definitivo il provvedimento di irrogazione delle sanzioni che da tale revoca consegue, né la questione oggetto di esame d’ufficio comporta accertamenti fattuali di sorta, trattandosi di eliminazione delle sanzioni e non di loro rimodulazione all’esito di una determinata opzione per il regime più favorevole concretamente applicabile.

La peculiarità della fattispecie, l’evoluzione della disciplina di riferimento e la novità della esaminata questione consentono l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la relazione ai profili accolti e, decidendo nel merito, dichiara non dovute integralmente le spese dell’intero giudizio.