CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 gennaio 2018, n. 1495
Pensione d’anzianità – Riliquidazione – Calcolo sulla base delle retribuzioni effettivamente corrisposte in Svizzera – Applicazione del sistema retributivo vigente in Italia – Non fondato – Presenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale – Trasferimento presso l’AGO dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri
Fatti di causa
Con la sentenza di cui si chiede la cassazione la Corte d’Appello di Lecce ha confermato la decisione di prime cure di rigetto della domanda di L.N. tesa ad ottenere la condanna dell’INPS a pagargli la pensione d’anzianità calcolata sulla base delle retribuzioni svizzere effettivamente corrisposte e secondo il sistema retributivo vigente in Italia.
La predetta Corte ha posto a base della motivazione la necessaria applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777, secondo cui in ipotesi di trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata in conformità dei criteri stabiliti dalla anzidetta disposizione.
L.N. chiede l’annullamento di tale sentenza sulla base di tre motivi. L’INPS resiste con controricorso illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
1. Oggetto del contendere è la legittimità o meno delle modalità di liquidazione della pensione spettante ai cittadini italiani che hanno prestato attività lavorativa in Svizzera: il ricorrente, infatti, si duole del fatto che l’INPS gli abbia liquidato la pensione assumendo come base di calcolo non già la retribuzione effettivamente percepita in tale Paese (come a suo avviso avrebbe dovuto fare in virtù del disposto dell’art. 1, I. n. 283/1973, che, nel ratificare la Convenzione stipulata tra l’Italia e la Svizzera in materia di sicurezza sociale del 4.7.1969 aveva fissato il principio secondo cui il calcolo della loro pensione sarebbe stato effettuato come se l’assicurato avesse lavorato in Italia), bensì una retribuzione teorica, ottenuta rapportando la retribuzione effettiva al maggior importo dei contributi previdenziali che sarebbero stati dovuti qualora essi avessero effettivamente lavorato in Italia, secondo modalità poi consacrate dall’art. 1, comma 777, I. n. 296/2006, che, nel dettare l’interpretazione autentica dell’art. 5, comma 2°, d.P.R. n. 488/1968, ha previsto che esso s’interpreti nel senso che «in caso di trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata moltiplicando l’importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono», facendo salvi «i trattamenti pensionistici più favorevoli già liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge».
2. Ciò premesso, con il primo motivo il ricorrente lamenta l’ingiustizia della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 777 che, nella illustrazione del motivo, meglio correla alla violazione del principio costituzionale di uguaglianza ed alla violazione dell’art. 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo .
3. Con il secondo motivo si denuncia la sostanziale violazione dell’art. 1 comma 777 della legge n. 296/2006 che non avrebbe potuto assumere carattere interpretativo e, dunque, retroattivo.
4. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 51 del Trattato istitutivo della CEE del 1957 da parte dell’art. 1 comma 777 della legge n. 296/2006 e dell’art. 23 comma 1 del Regolamento comunitario n. 1408/1971 nonché dell’art. 1 comma 777 della legge 296 del 2006 in ordine al quale chiede, in via subordinata, il rinvio in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE. In particolare, assume che il citato Regolamento, all’articolo 23 comma 1, abbia dettato parametri fissi per il calcolo delle prestazioni in denaro da individuarsi esclusivamente in funzione dei guadagni accertati. Inoltre, lamenta la sostanziale discriminazione subita per effetto dell’applicazione del calcolo contributivo.
3. I tre motivi, tutti connessi dall’unicità del tema della legittimità dell’art. 1 comma 777 legge n. 296/2006, sono infondati. Deve rilevarsi che i profili relativi alla presunta violazione delle disposizioni del Trattato istitutivo della Cee o del Regolamento comunitario n. 1408/1971 assumono a parametro di legittimità disposizioni che non hanno alcuna capacità regolativa della fattispecie, avendo questa Corte già chiarito che la vicenda per cui è causa, concernendo il trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, e non già la totalizzazione dei contributi prevista dal Regolamento cit. quale unica misura rilevante ai fini pensionistici, inerisce ad una disciplina normativa peculiare ai rapporti fra Italia e Confederazione Svizzera, estranea all’ambito previsionale della legislazione comunitaria in tema di sicurezza sociale (Cass. nn. 11406/2013, 22551/2013, 22798/2013, 22874/2013 e 22877/2013). Si è affermato, infatti, che gli artt. 3, n. 1, e 10 del Regolamento CE n. 1408/1971, si limitano ad affermare la regola, rispettivamente, secondo cui «le persone che risiedono nel territorio di uno degli Stati membri ed alle quali sono applicabili le disposizioni del presente regolamento, sono soggette agli obblighi e sono ammesse al beneficio della legislazione di ciascuno Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato» e che «le prestazioni in danaro per invalidità, vecchiaia o ai superstiti, le rendite per infortunio sul lavoro o per malattia professionale e gli assegni in caso di morte acquisiti in base alla legislazione di uno o più Stati membri, non possono subire alcuna riduzione, né modifica, né sospensione, né soppressione, né confisca per il fatto che il beneficiario risiede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova l’istituzione debitrice».
4. Contrari argomenti non possono desumersi da quanto affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 15.1.2002, C-55/00, Gottardo, secondo la quale, «nel mettere in pratica gli impegni assunti in virtù di convenzioni internazionali, indipendentemente dal fatto che si tratti di una convenzione tra Stati membri ovvero tra uno Stato membro e uno o più paesi terzi, gli Stati membri […] devono rispettare gli obblighi loro incombenti in virtù del diritto comunitario»: come già rilevato da questa Corte nelle pronunce dianzi cit., trattasi infatti di decisione adottata in una vicenda in cui oggetto del contendere era precisamente il diritto della pensionata ad ottenere la totalizzazione dei contributi rivenienti dal lavoro svolto in Italia, in Francia e nella Confederazione Svizzera, negatole dall’INPS sul (solo) presupposto che non avesse cittadinanza italiana, e dunque in fattispecie affatto differente da quella per cui è causa, nella quale, ripetesi, si controverte circa le modalità della ricongiunzione dei contributi e non della loro totalizzazione.
5. Quanto, poi, ai profili di violazione dell’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, deve ribadirsi che le disposizioni della Carta di Nizza non sono ratione temporis applicabili a fattispecie relative a periodo anteriore alla data di entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1°.1.2009), a partire dalla quale soltanto la Carta, ai sensi dell’art. 6, comma 1, TUE, ha acquisito lo stesso valore dei Trattati (cfr. in tal senso CGUE, 26.3.2015, C-316/13, Fenoli). D’altra parte, ed in termini più generali, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, nel sistema normativo delineatosi successivamente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non ha modificato la propria posizione nel sistema delle fonti: il rinvio alla Convenzione operato dall’art. 6, par. 3, TUE, non impone infatti al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e la CEDU, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa, atteso che, in tale evenienza, il rimedio è costituito dal giudizio di legittimità costituzionale della norma interna per contrasto con l’art. 117 Cost. (cfr. in tal senso Cass. n. 4049 del 2013, sulla scorta di Cass. S.U. n. 9595 del 2012). E trattandosi di conclusioni in linea con reiterati arresti della Corte costituzionale (cfr. in specie Corte cost. nn. 80 e 303 del 2011, 349 del 2007, nonché, più di recente, n. 210 del 2013) e della stessa Corte di Giustizia UE, la quale ultima ha recisamente escluso che l’art. 6, par. 3, TUE, disciplini il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e a fortiori determini le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione e una norma di diritto nazionale, precisando in particolare che esso «non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra il diritto nazionale e detta convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa» (così in part. CGUE, 24.4.2012, C-571/10, Kamberaj; nello stesso senso, CGUE, 26.2.2013, C-617/10, Akerberg Fransson), non può questa Corte che darvi in specie continuità, ciò che esclude in radice che Corte di merito, dando applicazione all’art. 1, comma 777, I. n. 296/2006, possa essere incorsa in alcuna violazione delle disposizioni citate nella illustrazione dei motivi in esame.
6. Egualmente infondato, infine, è da considerarsi il profilo relativo alla legittimità costituzionale dell’art. 1 277 I. 296/2007 sotto il parametro dell’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 117 Cost. E’ sufficiente, al riguardo, rilevare che la Corte costituzionale, dopo aver affermato che, nel bilanciamento tra la tutela dell’interesse sotteso all’art. 6, paragrafo 1, CEDU, e la tutela degli altri interessi costituzionalmente protetti complessivamente coinvolti nella disciplina recata dall’art. 1, comma 777, I. n. 296/2006, sussistevano quei preminenti interessi generali che giustificano il ricorso alla legislazione retroattiva, trattandosi in specie di assicurare che il sistema previdenziale risponda a criteri di corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate e di impedire alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri, così garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà che occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali, ha dapprima rilevato come l’art. 1, comma 777, cit., sia ispirato ai principi di uguaglianza e di proporzionalità, in quanto, tenendo conto della circostanza che i contributi versati in Svizzera sono notevolmente inferiori a quelli versati in Italia, si limita ad operare una riparametrazione diretta a rendere i contributi proporzionati alle prestazioni, in modo da livellare i trattamenti per evitare sperequazioni e rendere sostenibile l’equilibrio del sistema previdenziale a garanzia di coloro che usufruiscono delle sue prestazioni (sent. n. 264 del 2012), e da ultimo ha dichiarato inammissibile l’ulteriore questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, sollevata da questa Corte, con ordinanza n. 4881 del 2015, per contrasto con l’art. 117, comma 1°, Cost. in relazione all’art. 6, par. 1, e all’art. 1, Protocollo n. 1 allegato alla CEDU, per come interpretato dalla Corte EDU nella sentenza 15.5.2014 (Stefanetti ed altri c/ Italia): ha osservato, infatti, il giudice delle leggi che la citata sentenza della Corte EDU non evidenzia «un profilo di incompatibilità, con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, che sia riferito, o comunque riferibile, alla disposizione nazionale in esame, in termini che ne comportino, per interposizione, il contrasto – nella sua interezza – con l’art. 117, primo comma, Cost.», quanto piuttosto «l’esistenza di una più circoscritta area di situazioni in riferimento alle quali la riparametrazione delle retribuzioni percepite in Svizzera, in applicazione della censurata norma nazionale retroattiva, può entrare in collisione con gli evocati parametri convenzionali e, corrispondentemente, con i precetti di cui agli artt. 3 e 38 della Costituzione», e – dato atto che tale area non è stata delineata in termini generali nella sentenza della Corte EDU, il cui giudizio tiene invece conto, «quali “elementi pertinenti”, dei lunghi periodi da quei soggetti trascorsi in Svizzera, della entità dei contributi ivi versati, della loro categoria lavorativa di appartenenza e della qualità dei rispettivi stili di vita» – ha concluso nel senso che «l’indicazione di una soglia (fissa o proporzionale) e di un non superabile limite di riducibilità delle “pensioni svizzere” […] come pure l’individuazione del rimedio, congruo e sostenibile, atto a salvaguardare il nucleo essenziale del diritto leso, […] presuppongono, evidentemente, la scelta tra una pluralità di soluzioni rimessa, come tale, alla discrezionalità del legislatore» (così Corte cost. n. 166/2017).
7. Il ricorso, conclusivamente, va rigettato. In considerazione della novità e straordinaria complessità della questione trattata, per il cui esito ultimo è stato necessario attendere il citato pronunciamento del giudice delle leggi, sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
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