CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 gennaio 2018, n. 2013
Agevolazioni fiscali – Formazione della piccola proprietà contadina – Permuta di terreni acquistati con i benefici fiscali
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle entrate di Udine notificava a O.R. avviso di liquidazione con cui revocava le agevolazioni fiscali provvisoriamente concesse ai sensi della legge 604/54 in fase di registrazione dell’atto Notaio M.I., stipulato il 13.10.2013, in quanto il contribuente aveva alienato l’immobile prima del compimento del quinquennio.
Proposto ricorso da parte del contribuente la Commissione Tributaria Provinciale di Udine lo accoglieva affermando che le agevolazioni per la formazione della piccola proprietà contadina, già concesse per l’acquisto di un terreno, non decadono in caso di permuta di parte di esso con altro terreno confinante, laddove la permuta stessa sia stata posta in essere per il migliore sfruttamento del fondo.
La decisione, sull’appello dell’Agenzia delle entrate, era riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli, sezione distaccata di Trieste, con sentenza n.45/01/13 del 4.3.2013 in questa sede impugnata.
Osservavano i giudici di appello che la disciplina dettata dagli artt. 7 l.n.604/1954 e 11 Dlgs n.228/2001 prevede espressamente le ipotesi in cui la decadenza non opera. Esse sono pertanto testuali. La permuta dei terreni acquistati con i benefici fiscali oggetto di contestazione non rientra nei casi di esclusione indipendentemente dal fine cui tale operazione è diretta.
Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione O.R., con ricorso notificato in data 8.11.2013 svolgendo due motivi.
Si è costituita con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 4.
1.a Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del motivo proposto, per la ragione che nel titolo del motivo si fa riferimento al n. 4 anzicchè al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.; risulta evidente l’errore materiale in cui il ricorrente è incorso nell’indicazione del numero della norma richiamata, avendo censurato la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge.
1. b. Assume il ricorrente che l’art. 7 della legge sull’arrotondamento della proprietà contadina non menziona espressamente il caso del “permutante” che “permuta” il fondo entro il quinquennio dell’acquisto, facendo solo riferimento alla alienazione, con la conseguenza che la CTR avrebbe operato, ritenendo la sussistenza dei presupposti per la decadenza della agevolazione, una interpretazione analogica in “malam partem”
1. c. Il motivo non è fondato.
Il sistema normativo che regola la formazione della piccola proprietà contadina è caratterizzato da indubbia finalità pubblicistica. Alla base di esso vi è il divieto di cessare dalla coltivazione diretta del fondo assegnato.
In base alla L. n. 604 del 1954, art. 7, decade dalle agevolazioni tributarie l’acquirente, il permutante o l’enfiteuta il quale, prima che siano trascorsi cinque anni dagli acquisti fatti a norma della medesima legge, aliena volontariamente il fondo o i diritti parziali su di esso acquistati.
L’alienazione è il trasferimento del diritto di proprietà su un determinato bene da un soggetto a un altro comunque realizzato negozialmente. L’alienazione, dunque, non coincide, come sembra ritenere il ricorrente, con la vendita essendo evento economico neutrale rispetto alla forma negoziale.
Il tentativo di negare il carattere di alienazione ad un atto di permuta che per l’appunto fa uscire dal patrimonio un bene ancorché non in cambio di una somma di denaro, non ha alcuna ragionevolezza giuridica.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n.4 avendolo il giudice di appello condannato alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio, giudicando “ultra petitum” e così violando il disposto di cui all’art. 112 c.p.c.. e il principio secondo cui le spese del giudizio non possono superare l’importo capitale per cui si è proceduto.
Il motivo non è fondato.
Non è necessaria un’espressa domanda di pagamento delle spese processuali, in quanto la condanna al pagamento di tali spese costituisce una conseguenza legale della soccombenza e alla relativa pronunzia il giudice deve addivenire anche di ufficio, cfr. (Cass. n. 450/1972).
Il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (Cass. Ordinanza n. 6369 Gfe/13/03/2013).
2.a Quanto alla quantificazione delle spese processuali. Secondo l’insegnamento della Suprema Corte, l’art. 91 cod. proc. civ., comma 4, introdotto dal D.L. 22 dicembre 2011, n. 212, art. 13, comma 1, convertito dalla L. 12 febbraio 2012, n. 10, a tenore del quale, nelle cause previste dall’art. 82, comma 1, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda, opera esclusivamente nelle controversie devolute alla giurisdizione equitativa del giudice di pace (Cass. 9556/2014)e non anche nella materia oggetto di esame.
3. Il ricorso va pertanto rigettato e la lite, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere definita in questa sede anche nel merito, ai sensi dell’art. 384 cpv. c.p.c., con pronuncia di rigetto dell’opposizione del contribuente avverso l’atto di recupero d’imposta.
Le spese seguono la soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione proposta dal contribuente avverso l’avviso di liquidazione; condanna II ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in €.1000,00 oltre accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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