CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 luglio 2017, n. 37829
Sicurezza – Violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro – Responsabilità – Annotazione della sanzione penale nel casellario giudiziale
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Alessandria con sentenza in data 23.5.2010 ha riqualificato il fatto contestato ai sensi dell’art. 71, comma 7, lett. a) e 87, d.Lgs. 81/08 ed ha condannato C.G.P., con le attenuanti generiche, alla pena di € 1.667,00 di ammenda, oltre spese.
2. Con il primo motivo di ricorso, l’imputato contesta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., in relazione all’art. 521 c.p.p. per assenza di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza con riferimento agli art. 178 e 179 c.p.p. E di fatti l’espressione “violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” fa parte della descrizione dell’elemento soggettivo del reato e non può costituire un’autonoma ipotesi di reato. Peraltro, siccome tale violazione contravvenzionale non è stata oggetto di specifica ed autonoma imputazione, egli non ha potuto chiedere l’oblazione di cui all’art. 162bis c.p.
Con il secondo motivo di ricorso, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. perché il Tribunale, una volta pronunciata l’assoluzione dal reato colposo, avrebbe dovuto disporre la trasmissione degli atti al pubblico Ministero affinché esercitasse l’azione penale.
Con il terzo motivo di ricorso, denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., in relazione agli art. 178 e 522 c.p.p., perché il fatto contravvenzionale per il quale l’imputato era stato condannato era radicalmente diverso da quello per il quale era stato rinviato a giudizio.
Precisa che l’interesse al ricorso per cassazione è costituito dall’esigenza di evitare l’annotazione della sanzione penale nel casellario giudiziale con pregiudizio per la partecipazione agli appalti pubblici. Chiede anche la rimessione in termini per l’oblazione.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Il Tribunale ha ben spiegato in sentenza che era stato accertato l’illecito contravvenzionale contestato e che era stato rispettato il principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, siccome non vi era stato il mutamento del fatto con la trasformazione radicale nei suoi elementi essenziali della fattispecie concreta.
Tale valutazione è pienamente condivisibile, perché l’illecito contravvenzionale, per cui v’è stata la condanna, faceva parte infatti del capo d’imputazione, anche se non articolato in un autonomo capo, bensì sotto forma di una specifica declinazione della colpa.
3.2. Con riferimento all’oblazione, il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio stabilito da queste sezioni Unite con sentenza n. 32351/14, Rv 259925, Tamborrino, secondo cui “In materia di oblazione, nel caso in cui è contestato un reato per il quale non è consentita l’oblazione ordinaria di cui all’art. 162 cod. pen. né quella speciale prevista dall’art. 162-bis cod. pen., l’imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l’oblazione, ha l’onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, a formulare istanza di oblazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell’oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex art. 521 cod. proc. pen., con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l’applicazione del beneficio”.
3.3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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