CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 15596 del 27 luglio 2016
TRIBUTI ERARIALI DIRETTI – IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE (I.R.P.E.F.) (TRIBUTI POSTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972) – BASE IMPONIBILE – IN GENERE – ATTIVITA’ DI PROSTITUZIONE SVOLTA AUTONOMAMENTE – PROVENTI – IMPONIBILITA’ QUALE REDDITO DI LAVORO AUTONOMO O REDDITO DIVERSO – DISTINZIONE
RITENUTO IN FATTO
La Guardia di Finanza eseguiva una verifica fiscale nei confronti di B.M., che, pur non avendo mai presentato dichiarazione dei redditi (tranne che per l’annualita’ 2003), risultava intestataria di numerose autovetture anche di lusso, acquirente di un appartamento, titolare di vari contratti di locazione immobiliare; inoltre, dagli accertamenti bancari effettuati, B.M. risultava intestataria di dieci conti correnti attivi e di gestioni patrimoniali. Sulla base degli accertamenti effettuati, con particolare riguardo ai dati relativi ai versamenti sui conti correnti bancari, l’Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento per l’anno di imposta 2004 con il quale recuperava a tassazione ai fini Irpef un reddito imponibile di Euro 29.240.
Contro l’avviso di accertamento B.M. proponeva ricorso sostenendo la non tassabilita’ dei redditi accertati in quanto provento dell’attivita’ di prostituzione dalla stessa esercitata.
La Commissione tributaria provinciale di Firenze con sentenza n. 127 del 2008 accoglieva parzialmente il ricorso: riconosceva rilevanza reddituale ai proventi dell’attivita’ di meretricio, ma riteneva che essi fossero soltanto quelli risultanti dai versamenti sui conti correnti effettuati in contanti, escludendo quelli effettuati mediante assegni.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e B.M. si costituiva proponendo a propria volta appello incidentale. Con sentenza n. 45 del 19.4.2011 la Commissione tributaria regionale di Firenze accoglieva l’appello principale della Agenzia delle Entrate e rigettava l’appello incidentale della contribuente. Il giudice di appello confermava che i proventi dell’attivita’ di prostituzione dovevano essere compresi nella categoria residuale dei “redditi diversi” quale prestazione volontaria di un servizio dietro corrispettivo; riteneva corretta la rettifica del reddito effettuata dall’Ufficio a norma D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, con richiamo all’art. 39 ai soli fini della indicazione della metodologia di accertamento, senza che questo significasse contestazione di un reddito di impresa.
Avverso la sentenza di appello B.M. propone ricorso principale per i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui ha ritenuto che i proventi della prostituzione sono assoggettabili ad imposizione diretta, sia perche’ non esiste una norma tributaria che ne preveda l’imposizione, sia perche’ non sono qualificabili come proventi illeciti; 2) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla indicazione della norma per la quale si e’ proceduto all’accertamento e conseguentemente al metodo applicato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5; 3) omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla qualificazione dei presunti redditi accertati, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo omesso qualsiasi motivazione in ordine alla sollevata problematica sulla “occasionalita’ della prestazione” 4) violazione e falsa applicazione D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui non ha ritenuto rilevante l’individuazione della categoria reddituale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo e’ infondato. Il Testo Unico delle imposte sui redditi non contiene una definizione unitaria del concetto di “reddito”, ma prevede varie categorie reddituali, il cui elemento comune e’ costituito dalla derivazione del reddito da una fonte produttiva. La categoria dei redditi elencata del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 6, e’ stata ampliata della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, secondo cui i proventi derivanti da illecito civile, penale o amministrativo (che non siano gia’ stati interamente sottratti al possessore a mezzo di provvedimento di sequestro o confisca penale) sono sottoposti a tassazione in quanto classificabili in una delle categorie reddituali previste dal citato art. 6; del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 34 bis, convertito nella L. n. 248 del 2006, con norma di interpretazione autentica espressamente emanata in deroga al principio di irretroattivita’ delle norme tributarie previsto della L. n. 212 del 2000, art. 3, ha stabilito che i proventi illeciti indicati dall’art. 14, comma 4, “sono considerati comunque come redditi diversi”. La natura reddituale attribuita ex lege ai proventi delle attivita’ illecite, con la conseguente tassabilita’ quali “redditi diversi”, comporta, a maggior ragione, che venga riconosciuta natura reddituale all’attivita’ di prostituzione, di per se’ priva di profili di illiceita’ (costituendo invece illecito penale ogni attivita’ di favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione altrui a norma della L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, attivita’ parzialmente tutelata dallo stesso ordinamento civile che comprende la prestazione sessuale dietro corrispettivo nella categoria della obbligazione naturale, la quale, se non consente il diritto di azione, attribuisce alla persona che ha svolto l’attivita’ di meretricio il diritto di ritenere legittimamente le somme ricevute in pagamento della prestazione (art. 2035 c.c.).
La tassabilita’ dei proventi dell’attivita’ di prostituzione e’ stata avallata a livello comunitario dalla Corte di giustizia delle Comunita’ Europee con la sentenza del 20.11.2001, causa C-268/99, in cui ha affermato che ” la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita la quale rientra nella nozione di attivita’ economiche”, e che “spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se sussistono le condizioni per ritenere che la prostituzione sia svolto come lavoro autonomo”, ossia al di fuori di fenomeni di induzione, costrizione o sfruttamento della prostituzione altrui (i cui proventi, prima ancora che assoggettabili ad imposta, sono interamente confiscabili quali provento di reato a norma dell’art. 240 c.p., comma 1).
Nel caso in esame il giudice di merito ha accertato che la contribuente (per sua stessa dichiarazione) svolgeva liberamente ed autonomamente l’attivita’ di prostituzione, dalla quale erano derivati i proventi risultanti dai conti correnti bancari, con conseguente imponibilita’ degli stessi, trattandosi di attivita’ assimilabile al lavoro autonomo se svolto in forma abituale, ovvero rientrante nella categoria dei “redditi diversi” ai sensi D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, lett. f e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67 lett. l, se svolta, sempre autonomamente, ma in forma occasionale. (nel senso della tassabilita’ dei proventi della prostituzione, Sez. 5 n. 2528 del 2010; Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 13/05/2011, Rv. 618085).
2. Il secondo motivo e’ inammissibile nella parte in cui censura direttamente la motivazione contenuta nell’avviso di accertamento; e’ infondato nella parte in cui censura per difetto di motivazione la sentenza impugnata, la quale ha correttamente osservato che alla contribuente non e’ stato contestato un reddito di impresa, ma e’ stato contestato un maggior reddito della persona fisica a norma D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, collocato nella categoria residuale dei “redditi diversi” ed accertato mediante utilizzo della metodologia presuntiva ammessa D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 richiamato dall’art. 38, comma 3.
3. Il terzo motivo e’ inammissibile poiche’ non attiene ad un punto decisivo della controversia, atteso che: l’esercizio della attivita’ di prostituzione, abituale o occasionale che sia, genera comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, trattandosi, nel primo caso, di redditi assimilabili al lavoro autonomo, e, nel secondo caso, di redditi rientranti nella categoria residuale dei redditi diversi previsti, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, lett. f; il requisito della abitualita’ e’ invece rilevante ai diversi fini dell’assoggettamento dei proventi dell’attivita’ di prostituzione anche alla imposizione indiretta (Iva) ai sensi D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 5 (sul punto si veda la citata sentenza n. 10578 del 13/05/2011).
4. Il quarto motivo e’ inammissibile nella parte in cui svolge censure attinenti direttamente ad una asserita illegittimita’ della motivazione degli avvisi di accertamento; e’ infondato con riferimento alle censure mosse alla sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio che ha rettificato il reddito della persona fisica ai sensi D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, sulla base dei dati risultati dai versamenti sui conti correnti bancari, costituenti presunzione legale relativa di maggior reddito.
La ricorrente deve essere condannata al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro millecinquecento oltre eventuali spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate, spese prenotate a debito.
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