CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 19510 depositata il 30 settembre 2016
ICI – PIATTAFORME ESTRATTIVE MARINE – TASSABILITA’
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Il Comune di Termoli propone sette motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 100/1/15 del 9 aprile 2015 con la quale la commissione tributaria regionale di Campobasso, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento notificati ad E. spa per Ici 2007/2010 (e relative sanzioni) su due piattaforme estrattive marine.
In particolare, la commissione tributaria regionale ha escluso la tassabilità Ici in oggetto posto che – oltre a non essere stata fornita prova certa dell’ubicazione delle piattaforme in tratto di mare attribuibile alla costa del Comune di Termoli, invece che di comuni limitrofi – le piattaforme medesime, in regime di concessione statuale, non erano accatastate, né accatastabili; inoltre, esse non avevano rilevanza autonoma rispetto alle strutture specificamente destinate all’attività estrattiva (pacificamente non soggette ad imposta), né erano idonee a produrre un reddito proprio, essendo tale capacità connessa e dipendente dal giacimento minerario di coltivazione.
Resiste con controricorso Edison spa.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art.378 cod.proc.civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE
§ 1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di Termoli lamenta violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ex articolo 112 cod.proc.civ.; ciò sotto il profilo dell’omessa pronuncia, da parte della commissione tributaria regionale, sulla propria eccezione di inammissibilità dell’appello proposto da Edison spa avverso la sentenza di primo grado, in quanto assistito da motivi generici, puramente ripetitivi delle tesi svolte in primo grado, e privi di reale contenuto censorio della decisione della commissione tributaria provinciale.
Il motivo è infondato.
Dalla sentenza qui impugnata emerge infatti come la commissione tributaria regionale abbia implicitamente ritenuto di disattendere l’eccezione di inammissibilità dell’appello; ravvisando nei motivi di gravame proposti dalla società contribuente – da essa individuati e ricostruiti nello svolgimento del fatto – i requisiti necessari e sufficienti a dare ingresso alla revisione della sentenza di primo grado.
Va d’altra parte richiamato, in proposito, l’orientamento secondo cui “in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito” (Cass. 1200/16, ord.); si è inoltre affermato che: “nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza” (Cass. 14908/14, ord. ed altre).
Va poi considerata – non ultimo – la natura, prevalentemente giuridico- interpretativa, delle problematiche sottese alla decisione di primo grado e, in generale, alla questione in esame; sicché la rivisitazione e censura della decisione così adottata, con l’atto di appello, mediante richiamo, sviluppo ed adattamento al decisum degli originari motivi di opposizione all’atto impositivo, anch’essi di natura prettamente tecnico-giuridica, non può di per sé costituire causa di inammissibilità del gravame per violazione dell’onere di specificità dei motivi ex articolo 53 l° co. d.lgs. 546/92.
§ 2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’avvenuta formazione del giudicato interno su taluni aspetti ravvisati dal giudice di primo grado, e non più esaminati dal giudice di secondo grado. Il quale si era limitato ad escludere l’imposizione Ici delle piattaforme in relazione al solo aspetto della loro non-accatastabilità, senza quegli altri aspetti confutare: – il possesso del fabbricato quale presupposto dirimente dell’imposta; – la accatastabilità delle piattaforme quali parti di un opificio posto anche sulla terraferma; – la soggettività passiva del concessionario demaniale in quanto titolare di un diritto reale di superficie; – la violazione dell’art. 3 Cost., in relazione alle analoghe strutture estrattive poste sulla terraferma, in ipotesi di esenzione delle piattaforme marine.
Nemmeno questo profilo può essere condiviso.
Va in tanto considerato che esso non costituisce un vero e proprio motivo di cassazione per vizio intrinseco della sentenza di appello, posto che esso non censura quest’ultima, ma si limita a far valere un effetto preclusivo (da asserito giudicato interno) che scaturirebbe a seguito e per effetto dell’assorbimento di tutta una serie di profili giuridici già vagliati dal primo giudice, e che la corte regionale non ha disatteso; non perché li abbia condivisi, ma perché ritenuti – appunto – superati dall’accoglimento (in riforma della prima decisione) della tesi in forza della quale la tassazione Ici sarebbe qui da escludersi in considerazione del solo mancato accatastamento/accatastabilità delle piattaforme estrattive. Tanto che, individuata una ratio decidendi ritenuta di per sé esaustiva nel senso della non imponibilità ICI, non vi era logica necessità di vagliare altri aspetti (ritenuti ultronei) di possibile esenzione.
La tesi qui sostenuta dal Comune di Termoli non può, tuttavia, trovare accoglimento nemmeno se qualificata – invece che come vero e proprio ‘motivò di impugnazione della sentenza di appello ex art.360 cod.proc.civ. – come mera deduzione di un giudicato interno che questa corte di legittimità dovrebbe necessariamente rilevare.
Ora, pur non essendovi dubbio sulla rilevabilità d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, del giudicato interno, va osservato come il problema appaia mal posto; proprio perché non si è qui in presenza di un giudicato tra le parti.
Gli aspetti indicati dal Comune di Termoli, su riportati, non sono stati affrontati dalla commissione tributaria regionale in termini tali che si potesse formare, su di essi, un vero e proprio capo decisorio; sicché non si verte di pronunce suscettibili di passare in giudicato (non contro né a favore della parte che tale giudicato invoca), quanto soltanto di questioni ritenute (dichiaratamente o implicitamente) assorbite dall’adozione di una diversa e dirimente ratio decidendi.
Da ciò consegue non solo che, in assenza di una statuizione sfavorevole alla parte, quest’ultima non è legittimata a proporre ricorso per cassazione in ordine alle questioni assorbite, ben potendo queste ultime essere riproposte nell’eventuale giudizio di rinvio; ma anche, e per quello che qui più conta, che su tali questioni non si forma alcun giudicato interno, nemmeno implicito.
Si è in proposito affermato che “in materia di procedimento civile, in ordine alle censure sollevate nel giudizio di merito e non riproposte in sede di legittimità all’esito della declaratoria di relativo assorbimento emessa dal giudice dell’impugnazione di merito, non si forma giudicato implicito, non potendo le questioni dichiarate “assorbite” essere proposte nel giudizio di cassazione neanche mediante ricorso condizionato, in difetto di una anche implicita statuizione sfavorevole in ordine alle medesime. Ne consegue che, poiché la forza preclusiva della sentenza di cassazione ha per oggetto soltanto le questioni che costituiscono il presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronunzia cassata, ben possono le suddette questioni essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio” (Cass. 26264/05; così Cass. 1566/11); e che “mentre il giudicato interno si forma anche sui capi della sentenza che siano stati oggetto di decisione implicita, ove la stessa non sia stata impugnata, nel caso di assorbimento c.d. improprio (il quale ricorre allorché una domanda viene rigettata in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre), sul soccombente non grava l’onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, essendo sufficiente, per evitare il giudicato interno, censurare o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa” (Cass.17219/12).
Applicando questi principi al caso in esame, va dunque concluso nel senso che sulle questioni relative al possesso del fabbricato quale presupposto dirimente dell’imposta; alla accatastabilità delle piattaforme quali parti di un opificio posto anche sulla terraferma; alla soggettività passiva del concessionario demaniale in quanto titolare di un diritto reale di superficie; alla violazione dell’art. 3 Cost., in relazione alle analoghe strutture estrattive poste sulla terraferma, in ipotesi di esenzione delle piattaforme marine, non si è formata preclusione alcuna.
§ 3.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art.360, 1A co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. – violazione degli articoli 115-116 cod.proc.civ., e 2697 cod.civ.; nonché omesso esame di elementi probatori decisivi, con conseguente difetto assoluto di motivazione. Ciò perché la commissione tributaria regionale aveva sollevato il dubbio che le piattaforme in oggetto fossero davvero ubicate nello spazio di mare più vicino, in linea retta, alla costa del Comune di Termoli; così omettendo, da un lato, la disamina della documentazione prodotta dal Comune in proposito (atti di concessione e di autorizzazione della capitaneria di porto di Termoli con indicazione dell’ubicazione in Termoli; coordinate cardinali; carta nautica attestante la linea retta di congiunzione dei manufatti con il Comune di Termoli) e, dall’altro, ritenuto invece probante una non meglio precisata diversa documentazione.
§ 3.2 Va premesso che il vizio così denunciato deve trovare inquadramento nella nuova disciplina dell’ art.360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ.; come introdotta dal d.l. 83/12 convertito con modificazioni nella legge 134/12 (sentenza di appello pubblicata dopo l’il settembre 2012); disciplina in base alla quale la sentenza può essere impugnata, in sede di legittimità, non più per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” (previgente formulazione del n. 5 dell’articolo 360 in esame), bensì nei ben più ristretti limiti dell’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
In ordine a tale nuova formulazione – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario – si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciarle in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (così, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 ed altre).
Va detto che anche sotto la vigenza del “vecchio” art.360 n.5) il vizio di motivazione veniva ancorato a ristretti limiti applicativi, volti ad evitare che, attraverso la censura motivazionale, la corte di legittimità venisse investita di una nuova valutazione del fatto (di terzo grado). Sicché era orientamento costante che la legge non attribuisse alla corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare – sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento.
Con la nuova formulazione – così come interpretata dall’indicata sentenza delle SSUU – il legislatore è intervenuto, anche in funzione deflattiva, per ridurre ulteriormente, e drasticamente, l’ambito di rilevanza del vizio di motivazione.
E ciò è stato fatto secondo le seguenti direttrici: – riconduzione di tale vizio, ex art. 12 prel., al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, nel senso che è rilevante solo quel vizio che si concreti nella violazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali ex art. 111 Cost., come attuato in via ordinaria dall’articolo 132 n.4) cod.proc.civ.; – conseguente riferibilità del vizio non più alle ipotesi di “insufficienza” della motivazione, ma soltanto a quelle di “inesistenza” della medesima, in quanto appunto rivelatrice dell’ “omesso esame” circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; in maniera tale che, nella nuova formulazione, il vizio motivazionale si restringe in quello di violazione di legge, quest’ultima individuata proprio nel suddetto articolo 132 cod.proc.civ., che impone al giudice di redigere la sentenza indicando “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”; – l’individuazione delle ipotesi di “inesistenza” della motivazione, considerate a tal punto radicali da determinare la nullità della sentenza, non soltanto in senso “fisico” o “documentale” (“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”), ma anche logico funzionale; nel senso di doversi reputare “inesistente”, ai fini in oggetto, anche la motivazione materialmente esistente, e però connotata da “mera apparenza” dal “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, da un ragionamento “perplesso ed obiettivamente incomprensibile poiché in tutte queste ipotesi la motivazione offerta viene svolta in modo talmente carente o incoerente da non poterla individuare come giustificazione o ragione del decisum e, per ciò soltanto, da risolversi in una “non-motivazione” su una quaestio facti decisiva, il cui esame viene pertanto omesso;
– l’imputazione dell’omissione ad un fatto storico (principale o secondario) la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); non può invece rilevare l’omesso esame di elementi istruttori, allorquando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia poi dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
§ 3.3 Ciò premesso, si ritiene che il motivo in esame sia fondato.
La commissione tributaria regionale, investita del problema della esatta ubicazione delle piattaforme estrattive in oggetto (se nel Comune di Termoli ovvero di altro Comune costiero limitrofo), ha osservato quanto segue: “il collegio condivide l’opinione della corte di cassazione secondo la quale la potestà amministrativa dei comuni non viene meno in relazione ad un immobile per la sola circostanza che quest’ultimo sia ubicato in acque territoriali ma, nel caso in esame, il Comune di Termoli non ha dato prova certa e concreta che le piattaforme fossero ubicate nelle acque territoriali antistanti il detto Comune. Mentre dai dati e documentazione forniti dalla ricorrente sembrerebbero altri i comuni più vicini in linea retta alle piattaforme in questione”.
Si tratta di fatto materiale chiaramente decisivo ai fini di causa, posto che l’accertata ubicazione delle piattaforme in uno spazio marino non riferibile al Comune di Termoli farebbe – per ciò solo – cadere la pretesa tributaria di quest’ultimo sotto il profilo della carenza di potestà impositiva in capo al medesimo. Proprio perché dirimente della lite, tale fatto – la geolocalizzazione delle piattaforme – deve essere ascritto, nella valutazione che ne ha reso la commissione regionale, ad una vera e propria ratio decidendi; autonoma e capace di sostenere, da sola, (ancorché qui concorrente con altre rationes individuabili nella sentenza impugnata) la decisione di annullamento degli avvisi di accertamento Ici.
Va dunque osservato che correttamente il Comune di Termoli l’ha individuata ed autonomamente impugnata unitamente a tutte le altre (ad evitare l’inammissibilità del ricorso: Cass.SSUU 7931/13; Cass. n. 12372 del 24/05/2006; Cass. 16.8.06 n.18170; Cass.29.9.05 n.19161 ed altre), proprio nel suo nucleo portante.
Rappresentato dal fatto che il Comune di Termoli non aveva dato prova certa che le piattaforme fossero ubicate in acque territoriali antistanti tale Comune; id est, non aveva dato prova della propria potestà impositiva sulle piattaforme in questione.
La motivazione in questione rientra nei su ricordati parametri di censurabilità di cui alla nuova formulazione dell’articolo 360 n.5) cit. e, segnatamente, nella tipologia della motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Va infatti considerato che essa: – non menziona gli altri comuni “più vicini in linea retta” nel cui territorio dovrebbero ricomprendersi le acque di installazione delle piattaforme; – si riferisce ad una pluralità di “altri comuni”, là dove l’individuazione del requisito di maggior vicinanza secondo il criterio geometrico della linea retta non potrebbe logicamente riferirsi che al territorio di un Comune soltanto, univocamente individuabile; – si esprime, pur nell’ambito di una materia connotata da obiettività cartografica, in termini meramente dubitativi e congetturali (“sembrerebbero”), salvo poi fondare su questi dubbi un convincimento di certa estraneità delle piattaforme al territorio del Comune di Termoli.
La motivazione in esame non dà poi minimamente conto né delle risultanze istruttorie attraverso le quali il Comune di Termoli aveva inteso fornire la prova della esatta ubicazione delle piattaforme nel proprio ambito territoriale (autorizzazione della capitaneria di porto di Termoli; atto di concessione; perizia tecnica con carta nautica del campo di coltivazione recante la localizzazione per coordinate cardinali); né dei non meglio precisati “dati e documentazione forniti dalla ricorrente” che “sembrerebbero” smentire tali risultanze.
Va precisato che – sulla base dei principi interpretativi riportati nel § che precede – l’omesso esame di elementi istruttori non rileva, nella specie, in sé; quanto come elemento meramente sintomatico e confermativo della “inesistenza” (nel senso, su indicato, della non emersione di una comprensibile e sicura ragione decisoria) della motivazione su questo fatto decisivo del giudizio; il cui esame, pur non potendosi formalmente definire ‘omessò (avendo la commissione regionale indubbiamente considerato, al fine della potestà impositiva, il problema della localizzazione delle piattaforme) è stato tuttavia illustrato e, soprattutto, deciso, in maniera a tal punto incerta e lacunosa da determinare la nullità della sentenza per assenza motivazionale ex art.132 cit..
Il giudice di merito – al quale la causa sarà rinviata – dovrà dunque farsi carico di riesaminare il fatto decisivo del giudizio rappresentato dalla esatta ubicazione territoriale delle piattaforme in questione; anche con riguardo agli altri accertamenti di fatto svoltisi, sul punto, tra le stesse parti, ed eventualmente dotati di efficacia preclusiva.
§ 4.1 Con il quarto motivo di ricorso si lamenta – ex art.360, 1A co. nn. 3, 4 e 5 cod.proc.civ. – nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 cod.proc.civ. (omesso esame e pronuncia); violazione del d.lgs. 504/92 e della 1.388/00 (finanziaria 2001); vizio di motivazione. Ciò per non aver la commissione tributaria regionale considerato che l’assoggettamento delle piattaforme estrattive ad Ici: – derivava ex lege dal possesso di fabbricati a qualsiasi uso destinati, ed anche diretti all’attività d’impresa, indipendentemente dal loro accatastamento; – operava in capo al titolare di diritto di superficie sul fabbricato nonché, nel caso di esercizio dell’attività su area demaniale, al concessionario (art.3 d.lgs. 504/92); – muoveva, come base imponibile, dal valore intrinseco del bene (art.5 d.lgs. cit.), e non necessariamente dalla rendita catastale.
Con il quinto motivo di ricorso, si deduce – ex art.360, 1^ co. n. 3 cod.proc.civ. – plurima violazione normativa: 1.68/60; rdl 652/39 conv.in 1.1249/39; d.p.r. 138/98; d.l. 62/06 conv. in l. 6/06; T.U. registro ex d.p.r. 1142/49; “principi di prassi” (circolari dell’amministrazione finanziaria). Ciò in ragione del fatto che non era nemmeno vero che le piattaforme marine non potessero esser accatastate, posto che esse erano riportate nelle carte nautiche ufficiali di Stato, da equipararsi alle carte catastali; erano connesse a stabilimenti produttivi accatastati sulla terraferma; erano assimilabili, in categoria catastale ‘D’ – e non ‘E’ – ad opifici industriali ed altri manufatti produttivi, anch’essi gestiti in regime di concessione.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta – ex art.360, 1^ co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. – violazione del d.lgs. 504/92 e della 1.388/00; nonché vizio di motivazione. Per avere la commissione tributaria regionale negato alle piattaforme in questione l’idoneità a produrre un reddito proprio, senza dare conto del fatto che si trattava di strutture finalizzate ad esigenze di attività industriale di estrazione di idrocarburi; secondo varie fasi di estrazione e lavorazione del materiale ben individuabili, e distinte rispetto a quelle demandate ad altre strutture esercenti diversi segmenti del medesimo ciclo produttivo; sicché non poteva affermarsi che la capacità reddituale delle piattaforme fosse attribuibile al giacimento minerario in quanto tale, e da questo dipendente.
Con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt.3 e 53 Cost., non apparendo razionale, né conforme ai principi di uguaglianza e capacità contributiva, escludere le piattaforme marine, in quanto asseritamente non accatastabili, dall’imposizione Ici; invece gravante su strutture del tutto similari, insediate in regime di concessione sulla terraferma.
§ 4.2 Anche questi motivi – suscettibili di trattazione unitaria per la loro intima connessione – sono fondati.
Questa corte di legittimità ha già affrontato, decidendola in senso affermativo, la questione della imponibilità Ici delle piattaforme petrolifere/estrattive; e ciò in una fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente, caratterizzata da piattaforme marine oggetto di provvedimenti statuali di concessione di coltivazione mineraria in specchio acqueo frontistante la costa e ricompreso in un determinato territorio comunale.
Ciò è avvenuto con la recente sentenza n. 3618 del 24 febbraio 2016 (Rv.Ced n.639035), la quale ha, in primo luogo, fatto applicazione del principio di diritto – che non pare confliggere con la sovranità assegnata allo Stato sulle acque territoriali dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare stipulata a Montego Bay il 10.12.’82, non escludendo quest’ultima che tale sovranità possa esprimersi, a limitati effetti amministrativi, anche mediante attribuzione di potestà impositiva ai comuni costieri – già stabilito da Cass. 13794/05, secondo cui “in tema di ICI, sono sottoposte all’imposta le piattaforme petrolifere per l’estrazione di idrocarburi di proprietà della società contribuente (nella specie, l’ENI S.p.A. quale concessionaria dello Stato) situate nel tratto di mare, facente parte del demanio statale, antistante il Comune interessato. Infatti, sull’intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, convivono e si esercitano i poteri dello Stato contestualmente ai poteri dell’Ente regione e degli Enti locali e, in assenza di un autonomo criterio di determinazione dei limiti del territorio comunale, valgono le stesse regole dettate in materia di demarcazione del territorio nazionale, atteso che non sussistono elementi che possono far ritenere che il territorio comunale sia un’entità diversa, dal punto di vista qualitativo, dal territorio nazionale”.
Ed ha affermato, in secondo luogo, la sottoposizione ad Ici delle piattaforme petrolifere in ragione della loro classificazione catastale in categoria D7 – rilevando le speciali esigenze di un’attività industriale che, per quanto produttiva di indubbi e fondamentali riflessi sull’economia generale e sulle scelte energetiche nazionali, risponde purtuttavia ai criteri tipici dell’imprenditoria privata – in base al principio per cui: “in tema d’ICI, sono sottoposte all’imposta e classificabili nella cat. D/7, attesa la loro riconducibilltà al concetto d’immobile ai fini civili e fiscali, suscettibilità di accatastamento e idoneità a produrre reddito proprio, le piattaforme petrolifere, la cui base imponibile, in mancanza di rendita catastale, è costituita, secondo i criteri stabiliti nell’art. 7, comma 3, penultimo periodo, del d.l. n. 333 del 1992, convertito in I. n. 359 del 1992, dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili”.
Orbene, quanto affermato nella sentenza in oggetto – richiamata anche in altro ricorso per cassazione tra le stesse parti (n. 25602/13) relativo a precedenti annualità Ici e chiamato alla stessa udienza del presente – dà conto di tutte le problematiche e contestazioni dedotte nei motivi in esame dal Comune di Termoli, accogliendone le tesi; con la conseguenza che si ritiene sufficiente richiamare la motivazione delle suddette sentenze nn. 13794/05 e 3618/16, da aversi qui per intero recepite.
Né le conclusioni così raggiunte risultano inficiate dagli elementi interpretativi forniti da Edison, nella memoria ex art.378 cod.proc.civ., sulla base di atti e documenti sopravvenuti all’ultima sentenza citata.
Va intanto osservato che si tratta di atti (- nota Assonime 4/2016; – interpello di Assomineraria; – circ. di risposta MEF 3/2016; – interr.parlamentari) a vario titolo rientranti nella funzione di studio, opinione e dibattito applicativo della normativa, ovvero di indirizzo amministrativo interno; e dunque, di per sé inidonei ad incidere sulla disciplina primaria di riferimento e regolamentazione del tributo. Tanto che su quest’ultima (con riguardo all’IMU) lo stesso legislatore ha recentemente ritenuto necessario un proprio intervento (attuato con la legge di stabilità 2016: 1.208/15), relativamente a macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali al processo produttivo.
Ad ogni modo, nemmeno l’analisi operata da tali atti appare in realtà destinata a sortire un esito interpretativo del tutto certo ed univoco.
Posto che, da un lato, si riconosce (Circ.Min.cit.) che le piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale presentano le caratteristiche di un immobile a destinazione speciale e particolare che le farebbero rientrare, quali impianti, in una delle categorie catastali dei gruppi D ed E (sottoposti, dal 2016, ai nuovi criteri legislativi); e, dall’altro, si pongono problemi pratici di censibilità catastale, geolocalizzazione e georeferenziazione che non prendono però in considerazione le opportunità offerte dalle nuove tecnologie GPS di suddivisione e terminazione territoriale, oltre che di ricostruzione cartografica della terraferma come del fondale marino.
§ 4.3. Ciò posto, si ritiene però opportuno – proprio in sede di richiamo e ricezione della sentenza 3618/16 cit. – ribadire anche quanto affermato nella sentenza di legittimità in esame in ordine al criterio di quantificazione del tributo; secondo cui: “L’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 504/92 prevede che la base imponibile dell’imposta è il valore degli immobili e, nel caso di fabbricati dotati di rendita, il comma 2, prevede che la base imponibile è commisurata alle “rendite risultanti in catasto”, determinando i moltiplicatori di legge. Il comma 3 del d.lgs. n. 504/92 indica i criteri per la quantificazione della base imponibile per i fabbricati non iscritti in catasto, prevedendo, nel caso in cui l’immobile sia sprovvisto di rendita: “per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato… .secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del comma 3 dell’art. 6 del d.I. 11 luglio 1992, n. 33″, cioè in base al valore” costituito dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili” (c.d. metodo stratificato). Quindi, in mancanza di rendita catastale, data la mancanza di iscrizione in catasto, la base imponibile delle piattaforme, classificabili nella cat. D, è costituita dal valore di bilancio e, quindi, non è corretta la stima degli immobili commisurata dal Comune al valore accertato mediante stima diretta”.
Con la conseguenza che, stante l’insussistenza di un valore catastale di riferimento, la base imponibile ai fini Ici dovrà dal giudice di rinvio essere quantificata sulla base del criterio di bilancio testé indicato.
Ne segue, in definitiva, il rigetto del primo e del secondo motivo di ricorso; l’accoglimento degli altri motivi, con conseguente cassazione – nei limiti dei motivi accolti – della sentenza impugnata. La causa va rinviata ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Campobasso la quale dovrà riesaminare la fattispecie alla luce dei principi qui indicati, provvedendo anche sulle spese del presente procedimento.
P.Q.M.
– Rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;
– accoglie gli altri motivi;
– cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti, e rinvia ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Campobasso, anche per le spese;
– v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
– dà atto della non-sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.