CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 20783 depositata il 14 ottobre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – SOMME EROGATE A TITOLO DI INCENTIVO ALL’ESODO – IMPOSTA – ISTANZA DI RIMBORSO – TERMINE DI DECADENZA
Fatti di causa
L’Agenzia ricorre avverso una decisione della Commissione tributaria che ha riconosciuto il diritto del contribuente al rimborso della imposta pagata su una somma elargita a titolo di liquidazione di fine rapporto.
In particolare, il contribuente, dipendente di una banca privata, aveva con quest’ultima concordato una fine anticipata del rapporto di lavoro, in cambio di una contropartita in denaro, sulla quale però la banca ha trattenuto, come sostituto, l’imposta relativa.
Il contribuente, sul presupposto che la liquidazione pagata dalla banca non fosse tassabile, ha chiesto inutilmente il rimborso della somma trattenuta dal datore di lavoro. Ha impugnato il diniego di rimborso, e l’impugnazione è stata rigettata in primo grado, ma riconosciuta in secondo.
L’Agenzia propone ricorso avverso questa seconda decisione, eccependo la decadenza dal diritto al rimborso, e comunque la tassabilità della somma erogata.
Resiste con controricorso il contribuente.
Motivi della decisione
La sentenza impugnata riconosce che la somma elargita quale incentivo alla cessazione del rapporto di lavoro non è tassabile, e riconosce altresì che il termine per chiedere il rimborso dell’imposta trattenuta illegittimamente dal datore di lavoro è quello ordinario di prescrizione.
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 38 del DPR n. 602 del 1973.
Ritiene che la sentenza impugnata ha errato nel ritenere che in caso di rimborso dell’imposta sulla somma data a titolo di incentivo da un datore di lavoro privato si applichi l’ordinario termine di prescrizione anziché quello previsto dall’art. 38 (diciotto mesi dalla trattenuta), il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha fatto applicazione di una regola (art. 37 dello stesso DPR) che era relativa, ratione temporis, alle trattenute operate dallo Stato o dalle pubbliche amministrazioni, mentre per quanto riguarda quelle operate da privati in veste di sostituti di imposta si applica l’art. 38, con termine di decadenza di diciotto mesi.
E’ regola infatti affermata da questa Corte che: “in tema di rimborso delle imposte, il termine di decadenza, previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 deI 1973, ha portata generale, riferendosi a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e quindi ad errori tanto connessi ai versamenti quanto riferibili all’ “an” o al “quantum” del tributo”, (Cass. n. 16617 del 2015).
Regola poi espressa in termini specifici proprio nel caso di somme erogate a titolo di incentivo all’esodo: “in caso di ritenute alla fonte operate dal datore di lavoro (nella specie, sulle somme erogate a titolo di incentivo all’esodo), il termine di decadenza ex art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per la presentazione dell’istanza di rimborso in caso di versamenti diretti decorre dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza delle somme anticipatamente corrisposte rispetto all’ammontare del tributo complessivamente dovuto al momento del saldo ovvero alla successiva determinazione in via definitiva dell’ “an” e del “quantum” dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto ove questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poiché, in tale ipotesi, l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin dall’inizio”. (Cass. n. 27136 del 2014).
E’ pacifico che la domanda di rimborso è stata fatta nel 2002, a fronte di ritenute di acconto del 1998.
L’accoglimento del primo motivo rende assorbito l’esame del secondo.
Il ricorso va pertanto accolto, e le spese seguono la soccombenza, quanto al giudizio di legittimità, ma possono compensarsi le spese dei giudizi di merito, non essendosi ancora consolidata, quando quei giudizi si svolsero, la giurisprudenza vigente sulla questione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo. Condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessive 1800,00 euro, oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese dei giudizi di merito.
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