CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4633 del 9 marzo 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTO – SPACCIO DI DROGA – GRAVITA’ DELL’ADDEBITO PENALE – ARRESTO – FALSO CERTIFICATO MEDICO – VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI CORRETTEZZA E BUONA FEDE
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Napoli con la sentenza n. 7174 depositata il 27 dicembre 2012, confermava la sentenza del Tribunale di Nola che aveva rigettato l’impugnativa proposta da P.A. avverso il licenziamento intimatogli in data 29 novembre 2007 da F.A. s.p.a., poi F.G.A. s.p.a., a seguito di contestazione disciplinare con la quale gli veniva addebitato il coinvolgimento nella commissione del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti (34 g. di cocaina) e di avere sottaciuto la sua sottoposizione agli arresti domiciliari nel periodo nel quale egli risultava assente per malattia.
Per la cassazione della sentenza P.A. ha proposto ricorso, affidato a due motivi; F.G.A. s.p.a. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. con la nuova denominazione di F.C.A. I. s.p.a.
Motivi della decisione
1. Come primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2119 e 2106 del codice civile.
Premette che ai fini di ritenere l’idoneità del fatto extra lavorativo a incidere sulla relazione fiduciaria, è necessario valutare la natura e qualità dello specifico rapporto di lavoro dedotto nella specie, la posizione delle parti, il grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, l’organizzazione dell’impresa. Nel caso, i giudici d’appello non avrebbero considerato che il ricorrente è un modesto operaio addetto alle mansioni di carrellista nell’ambito del reparto montaggio A 147 della società e quindi svolgeva mansioni prive di particolare delicatezza, né implicanti il contatto con il pubblico. Inoltre, l’addebito contestato non era avvenuto nel luogo di lavoro e non vi erano altri precedenti disciplinari a suo carico, sicché il giudizio prognostico doveva condurre ad una conclusione di futura regolare esecuzione della prestazione lavorativa.
2. Come secondo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della L. n. 604 del 1966 e dell’art. 7 della L. n. 300 del 1970, nonché la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. e sostiene che la Corte territoriale si sarebbe avvalsa di argomentazioni apodittiche, laddove ha ritenuto che la condotta fosse idonea a compromettere la salubrità e sicurezza dei luoghi di lavoro per il rischio che egli potesse commettere reati della stessa natura all’interno di essi, in assenza nella contestazione disciplinare di qualunque riferimento alle conseguenze negative che il comportamento addebitato avrebbe potuto avere sulla prestazione lavorativa. Inoltre, non era in discussione la veridicità dello stato morboso in cui versava I’ Ascione in concomitanza con la custodia cautelare, comprovato da certificato medico.
3. I due motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.
3.1. Preliminarmente, occorre rilevare profili di inammissibilità del secondo motivo, laddove non specifica in che cosa sarebbe consistita la violazione dell’art. 7 della L. n. 300 del 1970 e dell’art. 112 c.p.c.
Sulle questioni proposte si rileva comunque che la problematica dell’idoneità di condotte extralavorative a costituire giusta causa di licenziamento è stata reiteratamente affrontata da questa Corte, che ancora di recente ha ribadito che anche una condotta illecita, estranea all’esercizio delle mansioni del lavoratore subordinato, può avere un rilievo disciplinare poiché il lavoratore è assoggettato non solo all’obbligo di rendere la prestazione, bensì anche all’ obbligazione accessoria di tenere un comportamento extralavorativo che sia tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di durata.
Detta condotta illecita comporta la sanzione espulsiva se presenti caratteri di gravità, che debbono essere apprezzati, tra l’altro, in relazione alla natura dell’attività svolta dall’impresa datrice di lavoro ed all’ attività in cui s’inserisce la prestazione resa dal lavoratore subordinato (Cass. Sez. L, n. 776 del 2015). Gli artt. 2104 e 2105 cod. civ., richiamati dalla disposizione dell’art. 2106 relativa alle sanzioni disciplinari, non vanno infatti interpretati restrittivamente e non escludono che il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si riferisca anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto obbligatorio di durata, e si estenda a comportamenti che per la loro natura e per le loro conseguenze appaiano in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa (Cass. n. 3822 del 2011, n. 2550 del 2015).
Con riferimento in particolare all’addebito che qui rileva, si è poi affermato (Cass. n. 16524 del 06/08/2015) che la detenzione, in ambito extralavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti (nella specie, si trattava di duecento grammi di hashish) a fine di spaccio è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario. Posti tali principi in via generale, spetta poi al giudice di merito apprezzare se e in che misura tale condotta extralavorativa abbia leso il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto di lavoro.
3.2. Tale valutazione è stata puntualmente compiuta dalla Corte territoriale, che ha affermato che la perdita della fiducia del datore di lavoro era stata correttamente collegata dal Tribunale al notevole quantitativo di droga trovato in possesso dell’Ascione, che in ragione del suo valore di mercato induceva a ritenere sia l’abitualità dell’attività delittuosa sia l’incompatibilità con i suoi redditi da lavoro dipendente, e quindi rendeva concreto il pericolo che il lavoratore potesse commettere reati della stessa natura anche all’interno del luogo di lavoro.
3.3. Occorre peraltro aggiungere che il giudizio prognostico negativo circa la correttezza del futuro adempimento risultava nella valutazione datoriale, avallata dalla Corte territoriale, anche dalla considerazione che il lavoratore aveva realizzato un’ulteriore condotta in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede: egli infatti aveva taciuto di essere stato tratto in arresto il 10 novembre 2007 e di essere in detenzione domiciliare dal 11 novembre 2007, ed aveva inoltrato un certificato medico con prognosi decorrente dal 12 novembre, così dimostrando, pur a prescindere dall’effettività della malattia, di voler fornire una giustificazione dell’assenza che impedisse l’emergere della situazione che già rendeva assolutamente inesigibile la prestazione.
Ne risulta ulteriormente confermato che la valutazione della Corte territoriale, che ha correttamente applicato i principi di diritto sopra enunciati, neppure soffre delle lacune motivazionali addebitatele, essendo giustificata dalla completa valutazione di tutte le emergenze processuali.
4. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.
In considerazione della data di notifica del ricorso, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 3.500,00 per compensi professionali, oltre ad e 100,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’ art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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