CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5768 del 23 marzo 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – DIPENDENTE DI BANCA – FUNZIONI ISPETTIVE – INQUADRAMENTO NELLA QUALIFICA DI FUNZIONARIO – PASSAGGIO DI QUALIFICA – VALUTAZIONE MERITOCRATICA DA PARTE DELLA BANCA
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Pavia, con sentenza non definitiva n. 7/2007 e definitiva n. 201/07, accolse parzialmente il ricorso di C.A.M. nei confronti della B.N.L s.p.a. ed accertò il diritto del medesimo all’inquadramento nella qualifica di funzionario ed in quelle succedutesi nel tempo a decorrere dall’1/1/1992, condannando la convenuta al pagamento delle differenze retributive nei limiti della prescrizione quinquennale.
Il Tribunale accertò anche il demansionamento lamentato dal ricorrente a decorrere dal 21/12/1997, condannò la banca ad adibirlo a mansioni corrispondenti alla qualifica accertata e a rideterminare il TFR, nonché la contribuzione previdenziale, ivi compresa quella integrativa. A seguito di appello principale della Banca ed incidentale del lavoratore la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 18/11/10 – 28/10/11, ha riformato parzialmente le decisioni gravate, condannando la BNL s.p.a. al risarcimento del danno non patrimoniale nella misura di € 16.410,00, mentre ha confermato nel resto le impugnate sentenze.
La Corte territoriale ha spiegato che il primo giudice non era incorso in errore nell’affermare, sulla base delle risultanze istruttorie, che esisteva una prassi aziendale per la quale il dipendente addetto a funzioni ispettive dopo un periodo di non più di sei mesi di effettivo esercizio delle stesse assumeva la qualifica di funzionario e che tale passaggio era stato il risultato di una valutazione meritrocatica da parte della banca. Né il primo giudice aveva errato nel ritenere sussistente il demansionamento in conseguenza dell’assegnazione del Campagnoli a mansioni di tipo esecutivo presso l’ufficio titoli della banca. Era, altresì, risultato che il lavoratore aveva subito, in conseguenza di ciò, sia un danno biologico temporaneo di natura psichica, valutabile nella misura del 10% per un periodo di quattro anni, sia un danno permanente, valutabile nella misura del 3%, danni il cui importo complessivo è stato determinato in misura di € 16.410,00. Infine, era da ritenere inammissibile, in quanto nuova, la contestazione dell’appellante incidentale sull’atto interruttivo della prescrizione quinquennale considerata dal primo giudice.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la B.N.L. s.p.a. con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso il C., il quale propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
1. Col primo motivo del ricorso principale della B.N.L. s.p.a., dedotto per vizio di motivazione, è censurata l’impugnata decisione nella parte in cui si è ritenuta sussistente una prassi aziendale per effetto della quale dopo un periodo di non più di sei mesi di effettivo esercizio delle funzioni ispettive vi era il riconoscimento della qualifica di funzionario. Tra l’altro, la difesa della banca mette in evidenza che la Corte d’appello ha fondato tale convincimento sulla base dei tre testimonianze, trascurando di considerare che le stesse non erano sufficienti a radicare la fondatezza della domanda ed ignorando la testimonianza di segno contrario di G.Z., per il quale solo dopo 5-6 anni poteva essere deliberata l’attribuzione della qualifica di funzionario, previa valutazione di tipo meritrocatico.
Il motivo è infondato, posto che il ricorso, da parte dei giudici d’appello, al criterio dell’uso aziendale più favorevole al lavoratore è conforme all’indirizzo interpretativo espresso al riguardo da questa Corte.
Infatti, si è statuito (Cass. Sez. Lav. n. 17481 del 28/7/2009) che “la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali – tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d’azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti individuali alla stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale.” (conf. a Cass. Sez. Un. n. 26107 del 13/12/2007; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 8342 dell’8/4/2010).
Pertanto, ferma la validità della prassi aziendale come fonte sociale, le censure della ricorrente Banca tentano di screditare il ragionamento dei giudici d’appello facendo leva su passaggi testimoniali che contrasterebbero l’affermazione della Corte. Trattasi, però, di tentativo di rivisitazione del merito istruttorio già adeguatamente scrutinato dalla Corte territoriale e come tale inammissibile nel giudizio di legittimità.
Infatti, per quel che concerne la valutazione delle argomentazioni difensive e di carattere istruttorio si osserva che questa Corte ha già avuto occasione di ribadire (Cass. Sez. Lav. n. 7394 del 26/3/2010) che “è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.” (in senso conf. v. Cass. sez. lav. n. 6064 del 6.3.2008).
Nella fattispecie la Corte di merito ha congruamente motivato il proprio convincimento sulla sussistenza del diritto all’inquadramento rivendicato dato conto, non solo della condivisa valutazione del primo giudice sull’esistenza della suddetta prassi aziendale, ma anche delle precise e concordi testimonianze sullo svolgimento, da parte dei Campagnoli, delle funzioni ispettive, aggiungendo che la lunga durata di tale attività consentiva di ritenere presuntivamente che la promozione era conseguita ad una valutazione positiva dell’operato del dipendente.
2. Col secondo motivo, dedotto per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente principale contesta che il C. abbia subito un demansionamento a partire dal 1998 in conseguenza dello svolgimento dell’attività in titoli e al riguardo evidenzia che sono state immotivatamente trascurate le dichiarazioni rese dai testi di parte convenuta, dipendenti della BNL, dalle quali emergeva che il medesimo, pur occupandosi di titoli, non svolgeva mansioni di natura meramente esecutiva, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza. Anche tale motivo è infondato.
Va, infatti, ribadito che “in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base. (Nella specie la S.C. ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso in quanto che la ricorrente si era limitata a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti).” (Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04).
Nella fattispecie, la Corte d’appello ha attentamente valutato con argomentazioni logiche e ben motivate in ordine ai riscontri eseguiti, immuni da vizi giuridici, il materiale istruttorio raccolto, per cui le doglianze appena riferite non ne scalfiscono la relativa “ratio decidendi”.
A) Col primo motivo del ricorso incidentale il Campagnoli deduce l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio dolendosi del fatto che con l’appello incidentale aveva chiesto che gli scatti di anzianità gli venissero riconosciuti a decorrere dall’1.6.1991, mentre la Corte di merito aveva ritenuto che il riconoscimento dello svolgimento delle mansioni dirigenziali assumeva carattere strumentale rispetto alle domande di differenze retributive, laddove la richiesta dei predetti scatti denotava, al contrario, secondo il suo assunto difensivo, un suo autonomo interesse a far valere il relativo diritto. Inoltre, la Corte d’appello era incorsa nel vizio di omessa motivazione laddove gli aveva respinto l’appello incidentale relativo alla prescrizione del diritto al superiore inquadramento, fondandosi sull’assunto che la prescrizione decennale del diritto all’inquadramento decorreva dalla data della raccomandata del 25.7.2000 inviata alla BNL per l’attribuzione delle mansioni equivalenti a quelle riferibili alla professionalità dell’ispettore. In definitiva, secondo il lavoratore il fatto decisivo era rappresentato dalla ricezione della lettera raccomandata che aveva rilevanza ai fini della decorrenza della rivendicata qualifica superiore dall’1/6/1991.
B) Col secondo motivo del ricorso incidentale, proposto per violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. in relazione agli artt. 2943 c.c., comma 4°, e 360 c.p.c. n. 4, il Campagnoli si duole del fatto che la Corte d’appello abbia immotivatamente disconosciuto l’efficacia interruttiva della prescrizione alla lettera raccomandata del 25.7.2000, con la conseguenza che il diritto al superiore inquadramento avrebbe dovuto essergli riconosciuto a decorrere dall’1/6/1991.
C) Col terzo motivo, dedotto per vizio di motivazione, si sostiene che la sentenza impugnata è viziata nella parte in cui non tiene conto di quegli elementi che escludevano l’intenzione del lavoratore di fare acquiescenza all’eccezione di prescrizione quinquennale, quali la richiesta, col ricorso, di pagamento delle somme a titolo di adeguamento retributivo dall’1/6/91, l’istanza del 6.10.2000 ed il verbale di mancata conciliazione del 15.11.2000.
D) Col quarto motivo, dedotto per violazione degli artt. 112, 113, 115 e 416 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., il ricorrente incidentale sostiene che la sentenza è viziata nella parte in cui configura a suo carico l’onere di contestare specificatamente anche a verbale tutte le eccezioni del convenuto, nonostante che nel ricorso introduttivo fossero esposti tutti gli elementi di fatto che consentivano di individuare l’atto di messa in mora e di determinare la decorrenza dall’1/6/1991 delle differenze retributive.
I quattro motivi del ricorso incidentale possono essere esaminati congiuntamente in quanto investono la stessa questione della prescrizione e della interruzione della stessa che il lavoratore ricollega ad atti precedenti al ricorso.
Orbene, le doglianze del ricorrente incidentale sono inammissibili. Anzitutto, per quel che concerne il secondo motivo, la relativa censura prospetta erroneamente come omessa pronunzia quello che è, in realtà, un vizio di motivazione, dal momento che il lamentato disconoscimento immotivato dell’efficacia interruttiva della prescrizione riconducibile alla lettera raccomandata 25,7.2000 attiene propriamente ad una doglianza sulla mancanza di motivazione di un provvedimento giudicato come sfavorevole e non ad una omessa pronunzia.
Per il resto le censure non superano il rilievo di novità della questione posta con riguardo alla individuazione dell’atto interruttivo della prescrizione, novità ben evidenziata dalla Corte territoriale nel momento in cui ha rilevato che non risultava che il lavoratore avesse contestato in primo grado, né nei verbali di causa, né attraverso i suoi scritti difensivi, la specifica eccezione di prescrizione sollevata in memoria di costituzione dalla BNL, eccezione, questa, che era stata accolta dal Tribunale. Risulta, pertanto, inconferente il tentativo del ricorrente di spostare con l’ultimo motivo i termini della questione, rimasta insuperata, dalla accertata novità del tema d’indagine della contestazione sull’atto interruttivo della prescrizione al supposto errore nel riparto degli oneri probatori.
In definitiva, il ricorso principale va rigettato, mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile.
La reciproca soccombenza delle parti induce la Corte a ritenere interamente compensate tra le stesse le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.