CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 7674 del 18 aprile 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – ATTIVITA’ GIORNALISTICA – DIRETTORE – SUSSISTENZA DELLA SUBORDINAZIONE – REQUISITI – ACCERTAMENTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, con sentenza depositata il 31.1.2011, rideterminava (riducendola) la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado a carico di C.S., e, per il resto, confermava il rigetto della domanda di accertamento della sussistenza di due rapporti di lavoro subordinato, di natura giornalistica, in qualità di redattore, a tempo pieno, in periodi sostanzialmente coincidenti, instaurati con R. s.p.a. (emittente televisiva) dal 9.1.1994 all’11.12.2000 e con R. s.p.a. (nel proseguo R., emittente radiofonica), dall’1.7.1996 ai 31.6.2000, respingendo altresì la domanda di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. nuovamente formulata da R.
Per la cassazione di tale sentenza C.S. propone ricorso affidato a tre motivi.
L’intimata R. resiste con controricorso. La società R. resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale sul capo relativo alle spese.
La lavoratrice e la società R. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la lavoratrice denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 1418 c.c. e 437 c.p.c. nonché difetto di motivazione, avendo ritenuto, la Corte territoriale, che il vincolo di subordinazione presupponesse il requisito della esclusività del rapporto di lavoro.
2. Con il secondo motivo la lavoratrice denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c. e 116 c.p.c. nonché difetto di motivazione, non avendo considerato, la Corte territoriale, con particolare riguardo al rapporto di lavoro intercorso con R., che la coincidenza tra i due rapporti si è verificata solo per una parte del periodo complessivamente preso in considerazione e non avendo motivato il giudizio di inadeguatezza delle risultanze testimoniali, essendo stato, inoltre, trascurato che la subordinazione nel lavoro giornalistico è caratterizzata da un elevato grado di autonomia professionale e può verificarsi anche in assenza di un obbligo di orario di presenza.
3. Con il terzo motivo la lavoratrice denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c. e 112 c.p.c. nonché difetto di motivazione avendo, la Corte romana omesso di pronunciare, con riguardo al rapporto di lavoro intercorso con R., sulla prima domanda del ricorso diretta ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, domanda autonoma rispetto a quelle successive concernenti la qualifica di redattore ordinario e il trattamento economico e previdenziale spettante.
4. La società R. ha proposto ricorso incidentale fondato su tre motivi, tutti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, 112 e 346 c.p.c., per avere, la Corte territoriale, rideterminato (limitandole) le spese di giudizio nonostante mancata impugnazione su tale capo di sentenza ed assenza di indicazione dei parametri presi a riferimento nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 96, comma 3, c.p.c. per aver escluso la condanna della lavoratrice per responsabilità aggravata nonostante la malafede emersa nell’aver proposto, falsati di qualche mese, due ricorsi giudiziari tesi, entrambi, al riconoscimento di un vincolo di subordinazione.
5. Preliminarmente va preso atto della riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
I motivi del ricorso vanno rigettati perché privi di fondamento.
6. In ordine al primo motivo, con riguardo al rapporto di lavoro giornalistico di natura subordinata ed alla qualifica di redattore ordinario cui ha fatto esclusivamente riferimento la C. nella prospettazione delle sue richieste nel corso del giudizio, deve affermarsi in via generale, tenuto conto dell’ampia elaborazione giurisprudenziale in materia, che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di rimarcare (vedi, ex multis, Cass. 9 novembre 2015, n. 22820, Cass. 2 aprile 2009, n. 8068) come in tema di attività giornalistica, siano configurabili gli estremi della subordinazione – tenuto conto del carattere creativo del lavoro – ove vi sia lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell’organizzazione aziendale così da poter assicurare, quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo, la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, con permanenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, della disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro. Nel lavoro giornalistico subordinato è stato pure posto in rilievo il carattere collettivo dell’opera redazionale, stante la peculiarità dell’orario di lavoro e dei vincoli posti dalla legge per la pubblicazione del giornale e la diffusione delle notizie (Cass. 9 giugno 1998 n. 5693), con la puntualizzazione che la figura professionale del redattore, implica pur essa il particolare inserimento della prestazione lavorativa nell’organizzazione necessaria per la compilazione del giornale, vale a dire in quella apposita e necessaria struttura costituita dalla redazione, caratterizzata dalla funzione di programmazione e formazione del prodotto finale e delle attività organizzate a tal fine, quali la scelta e la revisione degli articoli, la collaborazione all’impaginazione, la stesura dei testi redazionali ed altre attività connesse (vedi in motivazione, Cass. 21 ottobre 2000 n. 13945).
Alla stregua delle esposte considerazioni deve affermarsi che la pronuncia impugnata si presenta del tutto corretta sul versante giuridico, essendosi attenuta ai principi di diritto sopra richiamati laddove ha ravvisato non tanto nella esclusività del rapporto di lavoro quanto nella quotidianità delle prestazioni (consistenti nella ricerca, valutazione ed elaborazione degli avvenimenti di cronaca) e nell’inserimento stabile in una redazione, i precipui elementi distintivi della qualifica di redattore, risultando, sotto il profilo motivazionale – per quello che riguarda i complessivi accertamenti – formalmente coerente e sottraendosi pertanto a qualsiasi sindacato di legittimità. La Corte territoriale ha, pertanto, ritenuto insussistente un rapporto di lavoro a tempo pieno nei confronti sia di R. che di R. non essendo possibile integrare, alla luce degli specifici elementi dedotti dalla stessa lavoratrice (che ha dichiarato la presenza continuativa, presso ciascuna redazione, per sei giorni a settimana, dalle 8,00 alle 20,00), i caratteri fondanti la prestazione di lavoro subordinato di natura giornalistica.
7. In ordine al secondo motivo del ricorso principale, occorre rilevare un profilo di inammissibilità laddove, pur a fronte anche di concorrenti denunciati vizi di violazione di legge, la ricorrente lamenta principalmente una erronea valutazione delle deposizioni testimoniali che, se correttamente apprezzate, avrebbero dovuto condurre a riconoscere la ricorrenza della subordinazione con la società R.
Giova ricordare, sul punto dell’accertamento della controversa natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, che ai fini della qualificazione di tale rapporto come autonomo ovvero subordinato, è sindacabile, nel giudizio di Cassazione, essenzialmente la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto: mentre la valutazione delle risultanze processuali in base alle quali il giudice di merito ha ricondotto il rapporto controverso all’uno od all’altro istituto contrattuale implica un accertamento ed un apprezzamento di fatto che, come tali, non possono essere censurati in sede di legittimità se sostenuti da motivazioni ed argomenti esaurienti ed immuni da vizi logici e giuridici (da ultimo, Cass. 9 novembre 2015, n. 22820, Cass. 21 ottobre 2015, n. 21424). E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando la violazione dell’archetipo della subordinazione nonché una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (cfr. S. U., Sentenza n. 26242 del 2014; con riferimento all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro giornalistico, Cass. 21 ottobre 2000 n. 13945, Cass. 7 ottobre 2013 n. 22785, cui adde, in generale, Cass. 17 aprile 2009 n. 9256, Cass. 4 maggio 2011 n. 9808).
In realtà, la Corte territoriale ha compiutamente esposto le ragioni per cui, sulla base delle emergenze di causa, ha ritenuto l’insussistenza della subordinazione presso R., dando atto dell’assenza di riscontri univoci sia in ordine alle esatte competenze della lavoratrice presso l’emittente televisiva (“solo mansioni di speaker o anche di reperimento di notizie e di partecipazione ai confezionamento deI telegiornale”) sia con riguardo al margine di autonomia, pervenendo a ritenere – con argomentazione priva di vizi logico-giuridici – che “non è emersa la prova di un apporto di elaborativo ai contenuti dell’informazione, né dell’inserimento organico nella redazione di Perugia. La C. non partecipava alla c.d. cucina redazionale, né alle riunioni di redazione. La sua presenza in redazione era solo funzionale all’esigenza di realizzare il telegiornale serate. La qualifica di redattore richiede la compilazione di articoli di informazione e commenti o la realizzazione di servizi riguardanti particolari avvenimenti, nonché la partecipazione ad attività di programmazione e formazione del prodotto finale. Nella specie, la C. raccoglieva le notizie, che venivano sottoposte al direttore e al caporedattore, i quali indicavano quali argomenti dovevano essere trattati nel telegiornale. La sua presenza quotidiana in redazione sia di mattina che di pomeriggio – come riferito da alcuni testi – contrasta con l’assunto che la C. – come prospettato nell’altro ricorso – dovesse essere presente (almeno nel periodo luglio 1996/luglio 2000) nelle diverse località dell’Umbria per raccogliere le notizie da fornire a R. per i notiziari che nel corso della giornata l’emittente radiofonica trasmetteva”. Ha, pertanto, ritenuto, la Corte territoriale che: “Non vi è prova che la C. avesse obbligo di rimanere a disposizione tra una prestazione e l’altra (elemento costitutivo primario del “vincolo di dipendenza”): ciò deve peraltro escludersi in quanto incompatibile con la sussistenza di un analogo obbligo nei confronti della R.”.
La decisione ha fatto, dunque, corretta applicazione della legge, della logica e dell’orientamento giurisprudenziale consolidato elaborato da questa Corte e innanzi rammentato.
8. Il terzo motivo di ricorso non è fondato. La Corte territoriale, con ampia ed approfondita motivazione, ha escluso la ricorrenza sia di un rapporto di lavoro a tempo pieno come redattore ordinario (art. 1 CNLG) sia di quello di redattore corrispondente esterno (art. 5 CNLG), richiamando altresì la clausola collettiva che vieta al giornalista di stipulare più di un rapporto di lavoro a tempo pieno (art. 8 CNLG); ha, inoltre, osservato che la lavoratrice non ha richiesto il riconoscimento della mansione di corrispondente (art. 12 CNLG) e che, solo tardivamente (ossia nel corso del giudizio di appello), è stata avanzata domanda di riconoscimento della qualifica di collaboratore fisso (art. 2 CNLG), di cui, peraltro, non è stata nemmeno dedotta – dall’interessata – la ricorrenza dei requisiti tipici della figura, ossia la responsabilità di uno specifico settore o di specifici argomenti di informazione. Il giudice di merito ha, pertanto, escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica, non solo rilevando l’insussistenza degli elementi fondanti il vincolo di dipendenza della prestazione giornalistica ma anche analizzando le singole figure delineate dal contratto collettivo di categoria. E tali valutazioni resistono alle critiche di carenza di pronunzia mosse nel terzo motivo.
9. I motivi denunciati con ricorso incidentale dal controricorrente R. possono essere esaminati congiuntamente trattandosi di aspetti tra loro connessi.
La Corte territoriale, su specifica impugnazione proposta dalla lavoratrice soccombente (come indicato dal giudice di merito a pag. 16 del provvedimento), ha fornito adeguata motivazione della riduzione della nota spese prodotta da R. in primo grado ed integralmente recepita dal giudice di primo grado, ritenendo di non discostarsi eccessivamente “dalle liquidazioni generalmente adottate per cause analoghe, avuto pure riguardo alla diversa qualità delle parti”, e tenuto conto del valore della causa e delle attività processuali; né, d’altra parte, è stato rilevato che la liquidazione effettuata violi le tariffe dei compensi professionali, in relazione al principio di inderogabilità dei relativi minimi.
E’ principio consolidato quello secondo cui “In tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità” (da ultimo, Cass. 9 ottobre 2015, n. 20289).
In ordine alla condanna richiesta dalla società R. a titolo di risarcimento del danno per responsabilità aggravata, la Corte territoriale ha fornito logica e corretta motivazione circa l’insussistenza di un atteggiamento di mala fede della lavoratrice, dando atto che la C. ha promosso la causa avverso questa società prima (e di circa un anno) di quella proposta avverso la società R. (la quale, quest’ultima, nulla ha lamentato e richiesto). Risulta, pertanto, che non ricorrevano i requisiti richiesti dall’art. 96, primo comma, c.p.c. per la condanna della società soccombente al risarcimento del danno, e ciò in ossequio all’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte che ritiene come “L’accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ., dei requisiti dell’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (comma primo) ovvero del difetto della normale prudenza (comma secondo) implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se la sua motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo ed all’ “an” ed al “quantum” dei danni di cui è chiesto il risarcimento risponde ad esatti criteri logico-giuridico” (Cass. 12 gennaio 2010, n. 327).
10. Respinti entrambi i ricorsi, in ragione della soccombenza reciproca, tra le parti costituite, vanno compensate per le spese del presente giudizio di Cassazione tra la ricorrente principale e la controricorrente-ricorrente incidentale, mentre la ricorrente principale va condannata per l’intero nei confronti della controricorrente R.
P.Q.M.
Provvedendo sui ricorsi riuniti, rigetta entrambi; condanna la ricorrente principale a pagare al controricorrente R. le spese di giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 4.000,0 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge; compensa per intero le spese di giudizio tra ricorrente principale e controricorrente-ricorrente incidentale R.
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