CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8586 del 02 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – PREVIDENZA – ENASARCO – MINISTERO DEL LAVORO – CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE – POTERE MINISTERIALE DI INDIVIDUAZIONE DELLE CONFEDERAZIONI DATORIALI LEGITTIMATE A DESIGNARE RAPPRESENTANTI
Considerato in fatto
Confcooperative ha impugnato dinanzi al Tar del Lazio la nota del 4 giugno 2007 con la quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, giusta la previsione dell’art. 8 della statuto della Fondazione Enasarco, individuava, ai fini della ricostituzione del Consiglio di Amministrazione di quest’ultima, le confederazioni maggiormente rappresentative legittimate a designare i quattro rappresentanti datoriali nel consiglio da rinnovare, con pretermissione della ricorrente, nonché la deliberazione di convalida delle nomine adottata dal C.d.A. della Fondazione medesima per il quadriennio 2007/2011. Il TAR adito ha dichiarato inammissibili per carenza di interesse e difetto di giurisdizione sia il ricorso che i motivi aggiunti.
Il C.d.S. ha annullato con rinvio la sentenza del Tar affermando che l’attività ministeriale di individuazione delle associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale è da ricondurre ad un procedimento amministrativo espressione di un potere pubblicistico volto a garantire la corretta applicazione delle norme relative alla maggiore rappresentatività delle associazioni datoriali, con la conseguenza che la funzione del Ministero, esterna all’ente, non è attratta nel fascio delle attività private inerenti l’attività propria della Fondazione e dei suoi organi e resta soggetta alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Per la cassazione di questa sentenza ricorrono, rispettivamente con ricorso principale e con ricorso incidentale adesivo, Confesercenti nazionale e Fondazione Enasarco. Con corrispondenti controricorsi resistono Confcooperative nonché il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Confesercenti ha depositato memoria illustrativa.
Ritenuto in diritto
Con un unico motivo Confesercenti, rilevato che ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione occorre guardare al petitum sostanziale – che nella specie si identifica nella pretesa di attribuzione di un posto in seno al C.d.A. di una fondazione privata – sostiene che la pretesa di Confcooperative attiene ad un rapporto giuridico tra privati e che l’intervento ministeriale di cui si discute non costituisce espressione di un potere autoritativo né è caratterizzato da discrezionalità amministrativa, onde nella specie dovrebbe ritenersi la sussistenza la giurisdizione del giudice ordinario.
Con l’unico motivo della propria impugnazione incidentale adesiva a quella proposta da Confesercenti, anche la Fondazione Enasarco, sostanzialmente sulla base delle medesime ragioni espresse nell’impugnazione principale, chiede che venga cassata la sentenza impugnata e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
Le censure esposte in entrambi i ricorsi in esame sono infondate.
Occorre premettere che l’Enasarco, inizialmente istituito come ente previdenziale, con il d.lgs. n. 509 del 1994 è stato privatizzato ed attualmente è un soggetto di diritto privato che si occupa della previdenza integrativa a contribuzione obbligatoria degli associati.
L’Ente, scegliendo la forma giuridica della fondazione di diritto privato, si è dato uno Statuto che (nel testo in vigore all’epoca dei fatti) all’art. 8 detta la disciplina per la composizione del Consiglio di amministrazione ed in particolare, per quanto qui di rilievo, prevede tra l’altro la presenza, nel suddetto C.d.A., di otto rappresentanti degli agenti e rappresentanti di commercio, di un rappresentante del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale da questi designato nonché di quattro rappresentanti dei preponenti, designati dalle confederazioni datoriali firmatarie degli accordi economici collettivi e maggiormente rappresentative a carattere nazionale.
La norma in esame prevede altresì che sei mesi prima della scadenza del C.d.A. il Presidente chiede al Ministero di individuare le associazioni maggiormente rappresentative su base nazionale di cui al comma precedente, e, ricevuta la relativa comunicazione, invita le suddette siccome individuate a designare i membri di propria competenza nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della richiesta; la norma prevede infine che, ove il termine predetto trascorra inutilmente, il Presidente chiede al Ministero di indicare direttamente i membri delle associazioni che non abbiano provveduto alla designazione.
Come risulta evidente da quanto sopra esposto, il Ministero del Lavoro assume un rilievo notevole nella disciplina dettata per la composizione del C.d.A. di un ente che, pur soggetto di diritto privato, persegue tuttavia finalità di pubblico interesse in quanto si occupa della previdenza integrativa a contribuzione obbligatoria degli associati, dovendo considerarsi che la Corte costituzionale ha più volte ribadito che il processo di privatizzazione degli enti previdenziali ha inciso esclusivamente sugli strumenti gestionali volti al perseguimento di un fine previdenziale ed assistenziale rimasto inalterato, come immutata resta l’evidenza pubblicistica dell’attività svolta (v. C. cost. sentenze nn. 214 del 1999, 16 del 1999 e 248 del 1997).
In questo contesto è difficile ipotizzare che l’intervento del Ministero nell’ambito della composizione del C.d.A. della Fondazione Enasarco non abbia valenza pubblicistica.
In particolare, con riguardo al compito di individuazione delle associazioni maggiormente rappresentative attribuito al Ministero dallo Statuto in esame, l’affermazione della ricorrente Confesercenti -secondo la quale il nesso tra l’intervento ministeriale ed i successivi atti di nomina non sarebbe conseguenza della natura autoritativa dell’attività ministeriale ma esclusivo effetto della volontà negoziale della Fondazione che avrebbe liberamente scelto di affidare al Ministero l’individuazione delle associazioni maggiormente rappresentative così vincolandosi all’esito dell’attività istruttoria demandata- trascura di considerare che il Ministero non è un consulente al quale un qualsiasi privato nell’ambito della propria autonomia negoziale possa decidere di demandare un’attività istruttoria e pertanto non può essere rappresentato come {secondo la prospettazione ricorrente) il “collaboratore” di un “organo privatistico” che di esso si “avvale” per il solo fatto che questa possibilità è prevista da un atto negoziale come lo Statuto. E ciò non foss’altro perché il Ministero costituisce la struttura dell’amministrazione dello Stato e non può assumere da privati ” incarichi” di “collaborazione” di tipo privatistico sulla base di un atto unilaterale di autonomia negoziale di provenienza privatistica.
Va dunque confermata la sentenza impugnata laddove esclude la possibilità che il Ministero, ad onta della sua natura e della responsabilità gravante sui suoi organi, partecipi attivamente in funzione ancillare ad una procedura privata di nomina nonché laddove ravvisa nella previsione statutaria in esame un procedimento per la scelta dei rappresentanti datoriali di stretta competenza ministeriale e caratterizzato da autonomia e specialità, nell’ambito del quale l’attività ministeriale non può dirsi libera come in relazione alle manifestazioni di volontà e di giudizio riferibili ai privati ma deve essere ancorata al fine pubblico in funzione del quale l’attività risulta attribuita in rapporto alle funzioni previdenziali di un ente che, pur operando in regime di autonomia gestionale privatistica, persegue comunque finalità pubblicistiche.
Deve pertanto concludersi che nell’ambito del percorso tracciato dalla norma statutaria in esame la funzione “istruttoria” del Ministero non può che configurarsi come espressione pubblicistica propria di un’attività autoritativa esterna all’ente, estranea alle logiche privatistiche ed incidente in maniera diretta e necessaria sull’atto di nomina, atteso che l’atto successivo all’intervento ministeriale discende direttamente da quest’ultimo senza che siano previste ulteriori valutazioni in capo ad altri soggetti, fatte salve quelle relative alla indicazione del nominativo prescelto dall’ associazione oggetto di individuazione ministeriale.
I ricorsi devono essere pertanto respinti. In mancanza di precedenti specifici di questa Corte regolatrice si ritiene la sussistenza delle condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
Poiché i ricorsi sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono respinti, sussistono i presupposti per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.p.r. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
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