Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’ Abruzzo, sezione 6, sentenza n. 438 depositata il 12 luglio 2022
Rimborso IVA: rappresentante fiscale e stabile organizzazione
Il diritto al rimborso IVA richiesto da soggetti domiciliati e residenti in uno Stato membro della UE, senza stabile organizzazione in Italia, non può essere negato qualora questi abbiano nominato un rappresentante fiscale, poiché la sua nomina non può essere equiparata ad un “centro di attività stabile”
Massima:
La nomina di un rappresentante fiscale non preclude al soggetto non residente la facoltà di chiedere il rimborso IVA mediante la procedura del portale elettronico, purché ne ricorrano le condizioni ed in assenza di cause ostative all’erogazione dello stesso come individuate dall’articolo 38- bis 2 del decreto IVA. Il rimborso IVA richiesto da un soggetto passivo residente in uno stato membro UE diverso dall’Italia spetta anche nel caso in cui tale soggetto abbia nel territorio italiano un rappresentante fiscale. Tale principio è stato ribadito di recente dalla Corte di Cassazione (Ordinanza n. 21684 dell’8 ottobre 2020) secondo la quale il diritto al rimborso IVA richiesto da soggetti domiciliati e residenti in uno Stato membro della UE, senza stabile organizzazione in Italia, non può essere negato qualora questi abbiano nominato un rappresentante fiscale, poiché la sua nomina non può essere equiparata ad un “centro di attività stabile” presso lo Stato ove sia avvenuta la nomina. La previsione di legge subordinando l’istanza di rimborso all’assenza di una stabile organizzazione o di un rappresentante fiscale, contrastava con la norma unionale, interpretata da ultimo dalla Corte di Giustizia (C-323/12) nel senso di non poter escludere, in capo ad un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro, che avesse effettuato cessioni a favore di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro, il suo diritto di presentare istanza di rimborso.
Testo:
Con sentenza n. 12/02/2021, pronunciata in data 15/12/2020 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, sez. 2, depositata in data 22/01/2021, veniva respinto il ricorso presentato da T. BVBA, con sede in omissis, Belgio, P.IVA omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore, C. avverso il provvedimento di diniego parziale del richiesto rimborso chiesto ai sensi dell’art. 38 bis2 D.P.R. 633 del 1972, Atto n. 22071 del 12 settembre 2019, riferimento omissis, codice pratica omissis.
La società ha proposto appello ritenendo illegittima la sentenza emessa dalla CTP deducendo i seguenti motivi.
Erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 38 bis2, del D.P.R. 633 del 1972 e violazione e falsa applicazione derivata dell’art. 170, 171 e 171 bis della Direttiva 2006/112/CE nonché dell’art. 5 della Direttiva 2008/9/CE, dal momento che non è precluso ai soggetti esteri non stabiliti in Italia, identificati direttamente o con rappresentante fiscale in Italia o in altro stato 4 estero, disporre dell’istituto del c.d. rimborso IVA “diretto” ex dell’art. 38 bis2, del D.P.R. 633 del 1972, come confermato dalle più recenti pronunce della Corte di Cassazione in accordo con l’orientamento della Corte di Giustizia UE. Con la sentenza n. 12, depositata il 22 gennaio 2021, oggetto del presente giudizio di appello, la CTP di Pescara ha rigettato il ricorso dell’appellante, proposto avverso il Provvedimento di diniego parziale di rimborso – Atto n. omissis – del 12 settembre 2019. Il giudice a quo in particolare ha ritenuto erroneamente che, la fattispecie in oggetto si trovi in violazione del precetto di cui all’art. 38 bis2 del D.P.R. 633 del 1972, in conseguenza del fatto che la società T. belga, ha acquistato merce per poi rivenderla a soggetti residenti e, che pertanto in tali casi, si renda applicabile la diversa procedura di cui all’art. 35-ter del D.P.R. 633 del 1972. In tal senso il giudice di prime cure, nelle conclusioni delle motivazioni addotte nella sentenza, motiva che “l’aver utilizzato un numero di partita Iva rilasciato a società di diritto italiano o francese per soggetti non residenti di nazionalità belga rende inammissibile l’istanza di rimborso potendosi profilare la carenza di legittimazione in capo a quest’ultima.” La sentenza impugnata, merita di essere riformata in senso favorevole alla ricorrente, con conseguente annullamento del sotteso provvedimento di diniego di rimborso, per violazione di quella stessa disposizione di cui la CTP di Pescara avrebbe dovuto fare applicazione. In primo luogo, in merito ai requisiti necessari al fine di poter richiedere il rimborso in parola, giova preliminarmente richiamare le disposizioni normative in materia di esecuzione dei rimborsi per i soggetti non residenti stabiliti in un altro Stato membro contenute nell’articolo 38 bis2, D.P.R. n. 633 del 1972, il quale dispone che il rimborso: “( ) non può essere richiesto da soggetti che nel periodo di riferimento disponevano di una stabile organizzazione nel territorio della Stato ovvero dai soggetti che hanno ivi effettuato operazioni diverse da quelle per le quali debitore dell’imposta è il committente o cessionario, da quelle non imponibili di trasporto o accessorie ai trasporti e da quelle di servizi di telecomunicazione, tele radio diffusione ed elettronici rese ai sensi dell’articolo 74 septies.” Come già ampiamente illustrato nel ricorso introduttivo, il chiaro dettato normativo sopra citato prevede espressamente le ipotesi in cui non è possibile attivare la procedura di rimborso prevista all’art. 38 bis2; tali ipotesi possono essere così riepilogate schematicamente:
1. presenza in Italia di una stabile organizzazione del soggetto non residente;
2. effettuazione in Italia di operazioni attive, ad eccezione di: o prestazioni di trasporto e delle relative operazioni accessorie non imponibili; o servizi di telecomunicazione, tele radio diffusione ed elettronici rese ai sensi dell’art. 74 septies; o operazioni per le quali l’imposta è assolta dal cessionario committente con il meccanismo del reverse charge. Sembra dunque evidente che, escludendo in primis i casi in cui vi sia una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, il divieto posto dalla norma si riferisca ai soggetti esteri che effettuano operazioni soggette a fatturazione attiva in Italia, ossia operazioni non in reverse charge, o diverse dalle prestazioni di trasporto ed altre individuate espressamente. In altri termini, le limitazioni poste dalla disposizione in parola come cause ostative alla richiesta di rimborso IVA, risultano chiare e pertanto è necessario fare riferimento unicamente ai predetti casi. Al fine di meglio intendere la ratio delle norme in commento è possibile inoltre richiamare l’evoluzione normativa avuta dalle stesse nel nostro ordinamento; il previgente art. 38 ter del D. P.R. 633 del 1972, in vigore sino al 2010 in materia di rimborso IVA per soggetti esteri, precludeva espressamente il diritto al rimborso IVA diretto oltre che nei casi di stabile organizzazione, ai soggetti non residenti identificati ai fini IVA (o con rappresentante fiscale) in Italia. A seguito delle modifiche introdotte in conseguenza alle novità intervenute a livello comunitario e della condanna subita dall’Italia all’esito di una procedura di infrazione1 aperta nei suoi confronti proprio in materia di rimborsi IVA per i soggetti non residenti, il mutato quadro normativo ha previsto l’introduzione per ciò che qui interessa, dell’articolo 38 bis2 D.P.R. 633 del 1972, come sopra richiamato, il quale non pone più il divieto espresso di rimborso diretto in caso di soggetti con identificazione diretta, ma lo esclude solo in presenza di una stabile organizzazione. Se quanto sopra esposto non bastasse inoltre, il fatto che la procedura di cui all’art. 38 bis2 dovrebbe poter essere legittimamente avviata dai soggetti non stabiliti in Italia anche se gli stessi siano identificati direttamente o abbiano nominato un rappresentante fiscale in Italia o in altro stato membro, può essere implicitamente ricavato da quanto previsto dagli articoli 170 e 171 delle Direttiva 2006/112/CE, ovvero dalla circostanze che il legislatore nazionale recependo la normativa in parola, non ha recepito la deroga facoltativamente prevista dal successivo art. 171 bis 2 , introdotto dalla Direttiva 2008/8/CE. D’altro lato, la giurisprudenza e la dottrina sono ad oggi unanimi nell’affermare che non possa essere negato il diritto al rimborso dell’IVA assolta in Italia a soggetti esteri che abbiano in Italia una identificazione ai fini IVA o un rappresentante fiscale. Come rilevato dalla recente dottrina, un’interpretazione restrittiva della procedura di rimborso IVA diretto, prevista dall’art. 38bis2, non sarebbe in linea con il dettato normativo alla luce delle più recenti interpretazioni date dalla Corte di Giustizia e dalla stessa Cassazione”
3. Difatti, la Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 21684 del 2020 ha finalmente accolto gli orientamenti dottrinali in materia e, contrariamente alla errata lettura che ne ha dato la CTP di Pescara, ha giustamente interpretato le disposizioni dell’art. 38 bis2, in accordo con gli orientamenti della Corte di Giustizia Europea, affermando che “il diritto al rimborso IVA in favore di soggetti domiciliati e residenti negli stati membri della Comunità Economica Europea senza stabile organizzazione in Italia, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 ter, nel testo ratione temporis applicabile, non può essere negato qualora i suddetti soggetti abbiano nominato un rappresentante fiscale, non potendo equipararsi la nomina del rappresentante fiscale ad un “centro di attività stabile” presso lo Stato ove sia avvenuta la nomina” (cfr. Cass. Sez. 5^, 08 ottobre 2020, n. 21684;). La Suprema Corte di Cassazione in tale pronuncia cita la sentenza del 6 febbraio 2014, causa C-323/12, della Corte di Giustizia Europea la quale in materia di interpretazione delle disposizioni dell’ottava direttiva in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri, aveva ritenuto che tali norme debbano essere interpretate nel senso che un soggetto passivo che abbia effettuato cessioni di energia elettrica a soggetti passivi-rivenditori stabiliti in un altro Stato membro, ha diritto di avvalersi dell’ottava direttiva in tale secondo Stato al fine di ottenere il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto pagata a monte. In particolare per quanto qui di rilevanza, la Corte di Giustizia ha ritenuto che “tale diritto non è escluso per il semplice fatto di aver nominato un rappresentante fiscale identificato ai fini IVA in quest’ultimo Stato”
4 . In sintesi, la giurisprudenza nazionale e sovranazionale, oltre che la dottrina, sono concordi nel ritenere che, il rimborso dell’imposta assolta da un soggetto estero in uno Stato membro dell’Unione Europea non può essere precluso se non in base al dettato normativo interpretato alla luce dei principi eurounionali. Tale impostazione è del resto stata fatta propria dalla stessa Amministrazione finanziaria la quale, con la recente risposta ad interpello dell’11 settembre 2020, n. 339, è tornata a pronunciarsi sul riconoscimento del rimborso IVA diretto, ai sensi dell’art. 38 bis2 del D.P.R. 633 del 1972 ai soggetti esteri. La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate si discosta dal precedente filone interpretativo restrittivo della norma nazionale. L’Agenzia rispondendo al quesito sottopostole da una società non residente nel territorio dello Stato, senza stabile organizzazione, ma identificata direttamente ex art. 35 ter del D.P.R. 633 del 1972, in merito alla corretta procedura da adottare per richiedere il rimborso dell’IVA assolta nello Stato, ha negato la possibilità di avvalersi della procedura di cui all’art. 38 bis2, in quanto il soggetto aveva già presentato la dichiarazione IVA con la partita IVA italiana, andando così ad operare egli stesso una scelta circa la modalità “fisiologica” di erogazione del rimborso. Pertanto, a contrariis se ne ricava che, i soggetti residenti, privi di stabile organizzazione in Italia, ma che ivi dispongono di una posizione IVA, per il tramite della quale non hanno realizzato operazioni attive, possono scegliere al fine di ottenere il rimborso dell’eccedenza dell’imposta, se ricorrere alla procedura prevista dall’art. 38 bis2 oppure presentare la dichiarazione IVA come previsto dall’art. 38bis del D.P.R. n.633 del 1972.
Venendo poi in ultimo, a commento delle ragioni espresse dall’Ufficio al fine di negare parte del rimborso dell’IVA richiesto legittimamente dalla T., si rimarca quanto ampiamente sostenuto in sede di ricorso introduttivo avverso il predetto provvedimento. Secondo le ragioni poste dall’Ufficio in merito al diniego, il rimborso IVA diretto non poteva essere richiesto dalla T. tramite la propria partiva IVA belga, in quanto sulle fatture fornite all’Agenzia delle Entrate a supporto della richiesta di rimborso, sono presenti anche numeri di partita IVA posseduti dalla T. belga in altri stati membri (in particolare i numeri di partita IVA Italiano e francese). L’Ufficio ha pertanto ritenuto che per le fatture riportati un numero di partita IVA della T. diverso dal quello belga, il rimborso IVA debba essere negato in quando il soggetto legittimato a chiedere il rimborso dell’IVA assolta in Italia sarebbe dovuto essere un altro. In particolare, l’Ufficio sostiene che le fatture oggetto di rimborso sono state emesse nei confronti di soggetti diversi dal soggetto richiedente il rimborso (i.e. diverse dalla società T. belga). L’Ufficio in tal modo ha immotivatamente ignorato le condizioni normativamente previste dall’art. 38 bis2 del D.P.R. 633 del 1972, oltre che la più recente giurisprudenza in materia e l’interpretazione data dalla stessa amministrazione finanziaria con la risposta ad interpello n. 339 del 2020, ossia tutto quanto sopra ampiamente esposto. È appena il caso di sottolineare che, il possesso di differenti numeri di partita IVA in diversi Stati membri non è elemento idoneo a determinare l’insorgenza di soggetti distinti tra loro, appunto uno per ciascun numero di partita IVA posseduto, i quali si ribadisce essere mere registrazioni ai soli fini IVA; difatti nonostante la T. sia in possesso di diversi numeri di partita IVA ottenuti al fine di adempiere, secondo le disposizioni in vigore nei singoli Stati membri dell’UE, agli obblighi normativi in materia di imposta sul valore aggiunto, il soggetto passivo d’imposta va individuato facendo riferimento al soggetto estero identificato dal numero di partita iva assegnato dal proprio stati di stabilimento.
In altri termini, l’attribuzione dei numeri di partita IVA ottenuti tramite la procedura d’identificazione diretta non è da qualificarsi come costituzione di un autonomo soggetto giuridico. Ne deriva che, unico soggetto intitolato a richiedere il rimborso resta la società T., richiesta questa da attivarsi dallo Stato Membro di stabilimento dell’odierna appellante (i.e. Belgio). Oltre ciò, si richiama l’attenzione della Commissione sul fatto che, dalla documentazione prodotta si evince chiaramente che, nonostante venga riportato il numero di partita IVA francese o italiano della T. belga, tutte le fatture risultano emesse nei confronti dello stesso soggetto, T. belga, venendo sulle stesse riportata la denominazione e la sede legale estesa della società. Infine l’Ufficio, ritenendo che il soggetto legittimato a richiedere il rimborso dell’IVA assolta in Italia sia solo il “soggetto” identificato dalla partita IVA ottenuta tramite le registrazioni nei singoli Stati Membri, obbligherebbe in tal modo soggetto estero a veicolare il credito attraverso la propria identificata quando la stessa Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello più volte in questa sede citata, ha chiaramente previsto che sia il soggetto stesso a determinare la scelta fisiologica per la richiesta del rimborso; pertanto la T. non avendo presentato dichiarazione IVA per l’anno in cui ha posto in essere le operazioni che hanno formato il credito in Italia ha legittimamente scelto di richiedere il rimborso IVA con la procedura diretta ex art. 38 bis2 D.P.R. 633 del 1972.
Ha chiesto, pertanto, la riforma dell’impugnata sentenza con vittoria di spese del giudizio.
Nel costituirsi in giudizio la difesa erariale ha sostenuto che i rilievi dei primi giudici sono corretti, sotto tutti i profili, avendo individuato alla perfezione la criticità presentata dal presente contenzioso, che rilevava in relazione alle fatture allegate all’istanza di rimborso presentata ai sensi dell’art. 38 bis 2 del D.P.R. n. 633/1972, l’emissione delle fatture oggetto del diniego parziale da parte dei fornitori italiani, nei confronti di soggetti diversi rispetto alla ditta belga T. che ha presentato l’istanza di rimborso in questione. Non è possibile, e non è previsto da alcun articolo di legge nazionale o comunitario, richiedere un rimborso in relazione a fatture emesse da fornitori italiani, nei confronti di soggetti diversi, rispetto alla ditta non residente che ha presentato l’istanza di rimborso IVA ai sensi dell’art. 38 bis 2 del D.P.R. n. 633/1972. Pertanto non si rileva alcuna violazione in relazione alle disposizioni in materia, contenute negli articoli legislativi sia italiani che comunitari. 2.Errata interpretazione e violazione dell’art. 38 bis 2 del D.P.R. 633/72 Il legislatore nazionale recependo la Direttiva 79/1072 CEE, ha puntualmente individuato i requisiti in presenza dei quali può essere concesso il rimborso, tra i quali, nel caso che qui ci interessa, il fatto che le fatture siano emesse nei confronti della ditta titolata a richiedere il rimborso. In effetti, l’imposta IVA relativa alle fatture indicate ai punti dal n. 2 al n. 19 e dal n. 21 al n. 26 nella distinta allegata all’istanza, emesse dai fornitori italiani S. SPA e U. SPA, non è rimborsabile in quanto i suddetti documenti risultano emessi nei confronti di un soggetto, la ditta francese T con identificativo IVA estero FRxxx, diverso dal soggetto richiedente il rimborso, la ditta belga T con identificativo IVA estero BEXXX, (allegato 1 alla costituzione in primo grado dell’Ufficio). Come anche l’imposta IVA relativa alle fatture indicate ai punti dal n. 28 al 34, n.36 e 37, dal 40 al 45, 47, 52 e dal 54 al 57 della distinta allegata all’istanza, emesse dal fornitore S. SRL, non è rimborsabile in quanto i suddetti documenti risultano emessi nei confronti di un soggetto, la ditta T. con Partita IVA italiana ITXXX, che nell’anno d’imposta 2013 risultava attribuita, per effetto della richiesta di identificazione diretta ai sensi dell’art. 35 Ter D.P.R. 633/72 effettuata a decorrere dal 24/04/2007, e chiusa al 31/12/2008 solo su richiesta effettuata in data 03/11/2015 dalla società non residente, diverso dalla ditta belga richiedente il rimborso T. con identificativo IVA BExxx, (allegato 2 alla costituzione in primo grado dell’Ufficio). Da interrogazioni in A.T. che si allegano, la ditta indicata sulle fatture emesse dal fornitore italiano S. SRL, come cliente del fornitore italiano, e che riporta sulle fatture la partita iva italiana n. 00xxx, risulta essere un soggetto che era fiscalmente residente in Italia, a seguito della richiesta di identificazione diretta effettuata in data 24/04/2007, sia durante il periodo d’imposta 2013, sia durante l’anno di presentazione dell’istanza di rimborso IVA (2014), e solo in seguito su richiesta effettuata dalla appellante in data 03/11/2015 risultante cessata il 31/12/2008 (allegato 3 alla costituzione in primo grado dell’Ufficio). Si segnala che, tale richiesta di cessazione dell’identificazione diretta è tardiva, rispetto alla data di effettuazione delle operazioni che hanno posto in essere la fatturazione (anno 2013), che sono comunque state fatturate nei confronti di un soggetto diverso, e per tale valida e ostativa motivazione, il rimborso delle somme relative alle fatture emesse dal fornitore S. SRL non può essere erogato.
Pertanto l’unico soggetto che era titolato a richiedere il rimborso, non era la società belga, che è un soggetto non residente in Italia, ma era la società che sia nel 2013 (anno d’imposta) era identificata in Italia, che sia nel 2014 (anno di presentazione dell’istanza di rimborso) era ancora identificata in Italia. Stesso discorso vale per le fatture emesse dai fornitori italiani S. SPA e U. SPA” nei confronti di una ditta francese, la ditta T con codice Identificativo estero FRxxx, soggetto diverso dalla ditta belga richiedente il rimborso, la ditta T con identificativo IVA estero BExxx. Per tali fatture l’unico soggetto titolato a richiedere il rimborso, non era la società belga T., con identificativo IVA estero BExxx, ma era la società francese T con identificativo IVA estero FRxxx. La ditta francese è un soggetto che risulta, dal 13/04/2007 al 31/03/2015, fiscalmente esistente e residente in Francia (allegato 4 alla costituzione in primo grado dell’Ufficio), e per le fatture emesse nei suoi confronti, solo la ditta francese T. era il soggetto titolato a richiedere il rimborso IVA. Per tali fatture solo ed esclusivamente la ditta francese T. avrebbe dovuto e potuto presentare l’istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 bis 2 del DPR n. 633/1972 al fisco italiano, tramite il portale web francese. Mentre, per le fatture emesse nei confronti della identificata, che ripetiamo era esistente con la partita IVA 00120449996 indicata nelle fatture oggetto di diniego sia nell’anno d’imposta 2013, che nel 2014, che è l’anno di scadenza per la presentazione delle istanze, tale richiesta non poteva essere effettuata, comunque, mediante la procedura prevista dall’art. 38 bis 2 del D.P.R. n. 633/1972, ma si doveva utilizzare un altro strumento previsto dal legislatore, ovvero la procedura stabilita per gli identificati in Italia ai sensi dell’art. 35 ter citato decreto, che possono effettuare richieste di rimborso presentando regolari dichiarazioni IVA in Italia, comportandosi come un regolare contribuente italiano, e portando in detrazione l’IVA assolta in Italia, mediante le dichiarazioni IVA da presentare in Italia, e rimborsabili ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972. Il rimborso doveva essere richiesto dalla società che negli anni 2013 e 2014 era ancora identificata in Italia, in sede di presentazione del modello IVA, compilando i relativi quadri. La tardiva cancellazione della partita IVA italiana, avvenuta su richiesta effettuata dalla belga T. in data 03/11/2015, non può cancellare i presupposti normativi e cronologici posti alla base del mancato adempimento della identificata, che se avesse voluto avere le somme IVA a rimborso, avrebbe dovuto esercitare un suo diritto che era vigente all’epoca dei fatti, ovvero era vigente sia nel 2013 che nel 2014. Non esercitando tale diritto, ha commesso un duplice errore, il primo richiedendo un rimborso non spettante, non essendo il soggetto titolato, il secondo non richiedendo tramite la posizione IVA italiana l’imposta in detrazione nelle dichiarazioni dei redditi, che avrebbe potuto e dovuto presentare, ma non lo ha fatto, probabilmente per timore di incorrere in controlli fiscali, che avrebbe affrontato una volta presentate le dichiarazioni IVA in Italia. In conclusione, per tutte le argomentazioni esposte, si ribadisce che non è stata effettuata in modo corretto dalla società belga la richiesta del rimborso tramite la procedura prevista dall’art. 38 bis 2 del D.P.R. 633/1972, ma la società identificata in Italia poteva ricorrere ad un’altra procedura, e poteva esercitare il diritto alla detrazione IVA sugli acquisti effettuati, in occasione delle liquidazioni periodiche e della dichiarazione annuale IVA presentata in Italia, mentre la società francese poteva chiedere il rimborso IVA con la presentazione di un’istanza di rimborso IVA tramite il portale web francese. Come noto, l’art. 21 del DPR 633/72 prevede le modalità relative alla corretta fatturazione delle operazioni. In particolare, il cliente (destinatario della cessione di beni o prestazione di servizi) va necessariamente individuato con la sua esatta e completa ragione sociale, ancorché non sia necessario che venga riportato anche il suo codice fiscale e la sua partita IVA. In altri termini, sulla fattura va indicata la denominazione con il nome della ditta (o società), denominazione o ragione sociale, residenza o domicilio dei soggetti tra cui è effettuata l’operazione. Unici soggetti a esercitare il diritto a richiedere il rimborso dell’IVA addebitata in fattura, sarebbero dovuti essere la ditta francese T. e la ditta T. identificata in Italia con partita IVA italiana omissis, e cioè i soggetti nei confronti dei quale risultano emesse fatture oggetto del diniego e allegate all’istanza di rimborso, richieste invece a rimborso da un soggetto diverso, ovvero la ditta belga T. attuale ricorrente.
Ha chiesto, pertanto, la conferma della sentenza impugnata con vittoria di spese. All’udienza di discussione la causa è stata decisa come da dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’articolo 38-bis2 del decreto IVA (che recepisce l’articolo 171 della direttiva 2006/112/CE) disciplina il rimborso ai «soggetti stabiliti in altri Stati membri della Comunità, assoggettati all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza » «dell’imposta assolta sulle importazioni di beni e sugli acquisti di beni e servizi, sempre che sia detraibile a norma degli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2», «secondo le modalità d’applicazione previste dalla direttiva 2008/9/CE», ovvero mediante il cd “portale elettronico”.
Secondo quanto disposto dal comma 1, secondo periodo, del citato articolo 38- bis2, «Il rimborso non può essere richiesto dai soggetti che nel periodo di riferimento disponevano di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato ovvero dai soggetti che hanno ivi effettuato operazioni diverse da quelle per le quali debitore dell’imposta è il committente o cessionario, da quelle non imponibili di trasporto o accessorie ai trasporti e da quelle di servizi di telecomunicazione, tele radiodiffusione ed elettronici rese ai sensi dell’articolo 74-septies». Con riferimento all’utilizzo del “portale elettronico” nell’ipotesi in cui il soggetto non residente abbia nominato in Italia un rappresentante fiscale, torna utile quanto chiarito alla Corte di giustizia con la sentenza del 6 febbraio 2014, causa C-323/12.
In tale sede, i giudici comunitari hanno precisato che «l’articolo 1 dell’ottava direttiva prevede, in sostanza, due condizioni cumulative che devono essere soddisfatte affinché un soggetto passivo possa essere considerato come non residente all’interno del paese, e dunque beneficiare del diritto al rimborso in virtù dell’art. 2 di tale direttiva.
Da un lato, il soggetto passivo in questione non deve disporre di alcun centro di attività nello Stato membro nel quale cerca di ottenere tale rimborso.
Dall’altro, non deve aver effettuato cessioni di beni o prestazioni di servizi che si considerino localizzate in tale Stato membro, ad eccezione di talune prestazioni di servizi specificate».
In particolare, secondo la Corte, «il fatto che un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro disponga di un rappresentante fiscale identificato ai fini dell’IVA in un altro Stato membro non può essere equiparato all’acquisizione di un centro di attività in tale Stato membro ai sensi dell’articolo 1 dell’ottava direttiva»; in altri termini, «la mera nomina di un rappresentante fiscale non è sufficiente a ritenere che il soggetto passivo in questione disponga di una struttura dotata di un sufficiente grado di stabilità e di un personale proprio incaricato della gestione delle proprie attività economiche», sicché, con riguardo al caso specifico esaminato, la Corte conclude che «un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro e che abbia effettuato cessioni di energia elettrica a soggetti passivi-rivenditori stabiliti in un altro Stato membro ha il diritto di avvalersi dell’ottava direttiva 79/1072 in tale secondo Stato al fine di ottenere il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto pagata a monte. Tale diritto non è escluso per il semplice fatto di avere nominato un rappresentante fiscale identificato ai fini dell’imposta sul valore aggiunto in quest’ultimo Stato».
La Corte di Cassazione si è allineata alle indicazioni della Corte di giustizia appena richiamate (cfr. ordinanza n. 21684 dell’8 ottobre 2020).
In conformità all’orientamento giurisprudenziale formatosi sul tema, sia al livello comunitario che nazionale, si ritiene, dunque, che la nomina di un rappresentante fiscale non precluda al soggetto non residente la facoltà di chiedere il rimborso IVA mediante la procedura del portale elettronico, purché ne ricorrano le condizioni ed in assenza di cause ostative all’erogazione dello stesso come individuate dall’articolo 38- bis2 del decreto IVA (in particolare, per quanto qui di rilievo, effettuazione di operazioni attive per cui si è debitori dell’imposta).
Il rimborso IVA richiesto da un soggetto passivo residente in uno stato membro UE diverso dall’Italia spetta anche nel caso in cui tale soggetto abbia nel territorio italiano un rappresentante fiscale. Tale principio è stato ribadito dalla recente ordinanza della Corte di Cassazione per la quale il diritto al rimborso IVA richiesto da soggetti domiciliati e residenti in uno Stato membro della UE, senza stabile organizzazione in Italia, non può essere negato qualora questi abbiano nominato un rappresentante fiscale, poiché la sua nomina non può essere equiparata ad un “centro di attività stabile” presso lo Stato ove sia avvenuta la nomina.
La previsione di legge subordinando l’istanza di rimborso all’assenza di una stabile organizzazione o di un rappresentante fiscale, contrastava con la norma unionale, interpretata da ultimo dalla Corte di Giustizia (C-323/12) nel senso di non poter escludere, in capo ad un soggetto passivo stabilito in uno Stato membro, che avesse effettuato cessioni a favore di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato membro, il suo diritto di presentare istanza di rimborso al fine di ottenere il rimborso dell’IVA pagata a monte. Tale diritto non è escluso per il semplice fatto di avere nominato un rappresentante fiscale identificato ai fini IVA in quest’ultimo Stato. (v. Aro Lease, C-190/95, punto 16, e Lease Plan, C-390/96, punto 24).
La mera nomina di un rappresentante fiscale non è sufficiente a ritenere che il soggetto passivo in questione disponga di una struttura dotata di un sufficiente grado di stabilità e di un personale proprio incaricato della gestione delle proprie attività economiche; di conseguenza una normativa nazionale che equipari l’esistenza di un rappresentante fiscale ad un centro di attività all’interno del paese è contraria alla disposizione unionale. Tornando al caso in esame, deve darsi atto che dalla documentazione prodotta in giudizio- e di cui pure se ne dà atto nella sentenza impugnata- le fatture sono state emesse nei confronti della società belga e non sono state oggetto di contestazione. Il giudice di prime cure ha tuttavia ritenuto equivalente alla stabile organizzazione nel territorio dello Stato (con conseguente attrazione ivi della sua complessiva posizione fiscale) con il possesso della partita IVA per l’identificazione in Italia il che, per le argomentazioni sopra esposte, non appare giuridicamente condivisibile. Secondo la giurisprudenza di legittimità, «In tema di assoggettabilità ad imposizione fiscale di soggetti non residenti nel territorio nazionale, ai fini della sussistenza del requisito della stabile organizzazione in Italia non è necessario che quest’ultima debba essere di per sé produttiva di reddito, ovvero dotata di autonomia gestionale o contabile, essendo sufficiente che vi sia una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la, sua attività» (Cass. n. 31609 de1 2019). Negli stessi termini si è pronunciata Cass. n. 32078 del 2018 che ha evidenziato, in particolare, che gli elementi assunti a prova, o a riscontro, dell’esistenza di tale condizione sono chiaramente individuabili nella nozione di stabile organizzazione di una società straniera in Italia» desunta dall’art. 5 del modello di convenzione OCSE contro la doppia imposizione e dal suo commentario, integrata con i requisiti prescritti dall’art. 9 della sesta direttiva n. 77/322/CEE, sicché, «al fine della identificazione del criterio di collegamento per la tassazione in Italia dei redditi prodotti da non residenti, gli indici di emersione della stabile organizzazione possono trovare sintesi, secondo una definizione di autorevole dottrina, nel cd. criterio della attività». Ulteriore indice della stabile organizzazione è la sussistenza nel territorio dello Stato di «una struttura dotata di risorse materiali ed umane» (Cass. n. 31609/2019 cit.) Nella sentenza n. 30033 del 2018 la Corte di Cassazione ha affermato che «Il requisito della “stabile organizzazione” di un soggetto non residente in Italia, la cui sussistenza è necessaria ai fini dell’imponibilità del reddito d’impresa, va accertato, in base ai suoi elementi costitutivi (quello materiale cd oggettivo della “sede fissa di affari” e quello dinamico dell’esercizio in tutto o in parte della sua attività), con riferimento a ciascun anno d’imposta, in ragione del possibile mutamento nel tempo di detti elementi: ne consegue che il giudicato esterno sulla sussistenza o meno di tale requisito relativamente ad uno o più anni d’imposta non può ave effetto con riferimento ad anni d’imposta diversi». Si è quindi precisato che «In materia d’IVA, il diritto al rimborso in favore di soggetti domiciliati e residenti negli Stati membri UE senza stabile organizzazione in Italia, non può essere negato qualora i suddetti soggetti abbiano nominato un rappresentate fiscale, non potendo equipararsi la nomina del rappresentante fiscale ad un “centro di attività stabile” presso lo Stato ove sia avvenuta la nomina» (Cass. n. 21684 del 2020). A ciò aggiungasi che le circostanze addotte e provate dalla società, di cui si è detto sopra, non sono state né contestate né smentite dall’Agenzia appellante che si è limitata a sostenere che la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia della società estera fosse dimostrata dall’attribuzione alla stessa della partita IVA, che, invece, secondo i suesposti principi giurisprudenziali, è mero elemento presuntivo dell’esistenza di una stabile organizzazione d’impresa, che deve cedere, come nel caso di specie, a fronte della prova dell’insussistenza di quegli elementi di ordine personale e materiale, che contrassegnano la nozione di stabile organizzazione.
L’appello deve essere accolto e deve conseguentemente essere riconosciuto alla società appellante il diritto al rimborso dell’IVA.
Ogni ulteriore motivo resta assorbito. La particolarità e complessità della vicenda processuale esaminata, anche in considerazione dei contrasti giurisprudenziali sul tema, rappresentano gravi ragioni per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di L’Aquila, Sezione distaccata di Pescara, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede:
– Accoglie l’appello;
– Compensa le spese del giudizio.
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