CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 settembre 2022, n. 25836
Licenziamento – Trasferimento presso altra sede -Assenza ingiustificata – Fruizione permessi legge n. 104 del 1992 e ferie non autorizzate – Proporzionalità della sanzione
Rilevato che
1. S.L. ha agito in giudizio nei confronti della società datoriale, C. Italia s.p.a., per ottenere la declaratoria di illegittimità del trasferimento presso la sede di La Spezia disposto il 22.5.2009 e del successivo licenziamento intimatole il 14.7.2009.
2. La lavoratrice ha esposto di aver ricevuto il 22.5.2009 la comunicazione della società secondo cui avrebbe dovuto prendere servizio presso la sede di La Spezia entro 20 giorni; che aveva ottenuto dall’Inps il riconoscimento del diritto a beneficiare dei permessi di cui alla legge n. 104 del 1992 per prestare assistenza alla madre invalida e ne aveva dato comunicazione alla società; che il 3.7.2009 le era stata mossa una contestazione disciplinare per aver goduto di permessi di cui alla legge n. 104 del 1992 e di ferie senza previo accordo con il datore di lavoro nonché per essersi presentata al lavoro presso la sede di Roma anziché presso quella di La Spezia;
che aveva presentato giustificazioni e inoltre richiesto all’Inps di poter beneficiare di congedo straordinario; che tuttavia era stata licenziata.
3. Il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso della lavoratrice e la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione della stessa.
4. Con sentenza n. 25379 del 2013, la Corte di Cassazione ha accolto i primi due motivi di ricorso della L. ed ha cassato con rinvio la sentenza d’appello.
5. La S.C., in relazione alla questione posta dal ricorso, cioè se il diritto a non essere trasferiti sussista, ai sensi della legge n. 104 del 1992, solo in presenza della necessità di assistenza a soggetti portatori di handicap grave o anche quando la disabilità del familiare non sia grave, a meno che non vi siano esigenze aziendali effettive così urgenti da imporsi sulle contrapposte esigenze assistenziali, ha censurato l’interpretazione letterale data dai giudici di merito all’art. 33 della legge citata ed ha dato continuità al principio già affermato con la sentenza n. 9201/2012, secondo cui “la disposizione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati – alla luce dell’art. 3, secondo comma, Cost., dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata con legge n. 18 del 2009 – in funzione della tutela della persona disabile. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte“. La sentenza rescindente ha ritenuto che la Corte territoriale non avrebbe dovuto fermarsi alla mancanza di documentazione sull’invalidità grave della madre della ricorrente, ma procedere ad una valutazione della serietà e rilevanza (sotto lo specifico profilo della necessità di assistenza) dell’handicap da questa sofferta (eventualmente sulla base della documentazione disponibile) a fronte delle esigenze produttive sottese al trasferimento.
6. La Corte d’appello di Roma, giudicando in sede di rinvio, ha premesso, in adesione al principio di diritto affermato dalla S.C., che la tutela di cui all’art. 33 cit. non richiede una situazione di gravità dell’handicap del familiare assistito.
Nel merito, ha ritenuto che la lavoratrice non avesse assolto all’onere di dimostrare la serietà e rilevanza dell’handicap sotto il profilo della necessità di assistenza.
7. In particolare, i giudici di appello hanno rilevato: che i certificati medici rilasciati alla madre della lavoratrice erano in parte risalenti al 1988, cioè ad oltre dieci anni prima dei fatti oggetto di causa; che i certificati coevi ai fatti di causa, tutti rilasciati immediatamente dopo il provvedimento di trasferimento della L., attestavano una limitazione della deambulazione e della stazione eretta prolungata; che fino alla data del provvedimento di trasferimento, la ricorrente non aveva mai avanzato richiesta all’Inps di permessi, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 per assistere la madre invalida; che la lavoratrice non aveva neanche provato di essere l’unico familiare in grado di prestare assistenza continuativa alla madre.
8. La Corte di rinvio ha escluso, in base alle certificazioni prodotte, che la madre della lavoratrice si trovasse, già all’epoca del disposto trasferimento e a causa delle patologie da cui era affetta, in una condizione di riduzione dell’autonomia personale tale da rendere necessario un intervento assistenziale continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.
9. Ha accertato la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive poste a base del trasferimento e la loro idoneità a dimostrare l’esigenza datoriale di utilizzare la ricorrente presso la sede di La Spezia.
10. La sentenza impugnata ha dato atto che la società aveva sospeso il provvedimento di trasferimento del 14.11.2008, per 30 giorni, al fine di consentire alla lavoratrice di ottenere la documentazione sulla necessità di assistenza della madre invalida; che in tale periodo la lavoratrice aveva proposto domanda all’Inps ottenendo solo un permesso provvisorio ed ha poi agito in sede cautelare dinanzi al giudice del lavoro con esito negativo, anche in fase di reclamo; che con telegramma del 22.5.2009 la società aveva ribadito il trasferimento con effetto dalla scadenza del termine di 20 giorni stabilito dal c.c.n.l., invitando la L. a presentarsi, trascorso questo termine, presso la nuova sede; che la stessa non aveva ottemperato all’invito e con e.mail del 22.6.2009 aveva comunicato il godimento di permessi, ai sensi della legge n. 104 del 1992, dal 23.6.2009 al 25.6.2009 e il godimento di ferie dal 26.6.2009 al 2.7.2009, senza attendere alcun riscontro né autorizzazione da parte datoriale; che con lettera del 7.7.2009 la lavoratrice aveva comunicato che si sarebbe assentata dal giorno successivo e per quasi cinque mesi per congedo straordinario, ai sensi dell’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, quale familiare di persona affetta da handicap grave, senza fornire alcuna documentazione e senza attendere il riscontro da parte della società.
11. La Corte di rinvio ha ritenuto che i comportamenti sopra descritti e, in particolare, il godimento di ferie e permessi non autorizzati, l’assenza ingiustificata il 22.6.2009 a fronte dell’invito a prendere servizio presso la nuova sede, nonché le assenze per congedo straordinario non autorizzato integrassero la giusta causa di licenziamento, quale sanzione proporzionata. Ha quindi respinto le domande proposte dalla lavoratrice col ricorso introduttivo di primo grado.
12. Avverso tale sentenza S.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. C.I. s.p.a., ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
Considerato che
13. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, in relazione all’art. 3, comma 2, Cost., all’art. 26 della Carta di Nizza e alla Convenzione ONU del 13.12.2006 sui diritti dei disabili;
inoltre, mancata valutazione della serietà e rilevanza (sotto o specifico profilo della necessità di assistenza) dell’handicap sofferto dalla madre della ricorrente (eventualmente sulla base della documentazione disponibile) a fronte delle esigenze produttive sottese al trasferimento.
14. Si censura la sentenza d’appello per aver ritenuto non provata la serietà e rilevanza dell’handicap, e quindi la necessità di assistenza della madre, sebbene questa fosse portatrice di handicap limitante la capacità di deambulazione e di stazione eretta prolungata. Si deduce l’errata valutazione della situazione di fatto risultante dalla documentazione sanitaria prodotta.
15. Il ricorso è inammissibile per più profili.
16. La Corte di merito si è attenuta al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione in sede rescindente ed ha proceduto all’accertamento in fatto della serietà e rilevanza dell’handicap sofferto dalla madre della lavoratrice, con riferimento allo specifico profilo della necessità di assistenza, e delle contrapposte esigenze produttive sottese al trasferimento. Ha ritenuto, alla luce delle prove raccolte, che non vi fosse prova della situazione di handicap della madre della lavoratrice e del bisogno di assistenza.
17. Il motivo di ricorso in esame appare anzitutto privo dei necessari requisiti di specificità in quanto non indica quali affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata si pongano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).
18. Inoltre, sotto l’apparente denuncia di violazione di legge, il motivo di ricorso in esame critica nella sostanza la valutazione degli elementi fattuali compiuta dalla Corte di rinvio, al di fuori dei limiti posti dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014), sollecitando una revisione dell’apprezzamento delle prove e de ragionamento decisorio, non consentito in sede di legittimità.
19. Le considerazioni svolte conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
20. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza.
21. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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