CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2019, n. 11705
Licenziamento – Superamento del periodo di comporto – Computabilità delle assenze dovute a patologie determinate dal servizio prestato – Accertamento
Rilevato
che con sentenza del 6 marzo 2017, la Corte d’appello di Roma respingeva le domande di L. F. di impugnazione del licenziamento, siccome illegittimo, intimatogli il 25 agosto 2011 da Poste Italiane s.p.a. per superamento del periodo di comporto e quelle conseguenti di condanne reintegratoria e risarcitoria: così riformando la sentenza di primo grado, che le aveva invece accolte; che avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con sei motivi, cui resisteva la società con controricorso;
che entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380 bis l c.p.c.;
Considerato
che il ricorrente deduce nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 112, 342, 434 c.p.c. e inammissibilità dell’atto di appello per violazione degli artt. 342, 434 c.p.c., per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello, espressamente formulata in memoria di costituzione (integralmente trascritta) e comunque sussistente, in difetto della sua conformazione al paradigma normativo come novellato, per l’inadeguatezza della critica argomentativa alla pronuncia, la mancata indicazione delle parti della sentenza del Tribunale oggetto di impugnazione e delle modifiche alla ricostruzione del fatto come in essa compiuta, né delle circostanze a fondamento delle violazioni di legge denunciate e della loro rilevanza (primo motivo);
nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 112, 324, 329, 342 e 434 c.p.c., per vizio di ultrapetizione della sentenza, sull’assunto della cessazione dell’assegnazione di incarichi di missione già dal 2003, in difetto di impugnazione del capo di sentenza di primo grado statuente l’assegnazione del medesimo a diversi uffici postali fino al gennaio 2005, con la conseguente formazione di giudicato, pertanto violata (secondo motivo);
violazione o falsa applicazione degli artt. 61, 115, 116, 424 c.p.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c., insufficiente e incongrua motivazione ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, per la mancata ammissione della C.t.u. medico-legale richiesta (terzo motivo);
violazione o falsa applicazione degli artt. 2110, 2087 c.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c., per il mancato riconoscimento di non computabilità delle assenze nel periodo di comporto in quanto dovute a patologie determinate dal servizio prestato (quarto motivo);
omesso esame di fatti e documenti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quali le mansioni e attività svolte dal lavoratore dopo il 2004, la circostanza del suo invio in missione solo fino al 2003, la mancata deduzione di modalità di esercizio della prestazioni in violazione dell’art. 2087 c.c. dopo il 2004 (quinto motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 c.c., 46 CCNL Poste Italiane 2007, 27 Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, anche in relazione agli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c., 1175 e 1375 c.c., per omissione da Poste Italiane s.p.a. delle misure necessarie a salvaguardia dell’integrità psico-fisica del lavoratore nonostante la conoscenza del suo stato di salute, in assenza di alcuna sua prova al riguardo (sesto motivo); che il collegio ritiene che il primo motivo sia infondato;
che la dedotta mancata pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell’art. 112 c.p.c., posto che tale vizio è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito e non già nel caso di eccezioni pregiudiziali di rito (Cass. 23 gennaio 2009, n. 1701; Cass. 26 settembre 2013, n. 22083; Cass. 25 gennaio 2018, n. 1876; Cass. 11 ottobre 2018, n. 25154);
che, quanto alla conformazione dell’atto di appello al paradigma normativo come novellato dal d.l. 83/2012 conv. con modif. dalla l. 134/2012, gli artt. 342 e 434 c.p.c. così riformulati vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. s.u. 16 novembre 2017, n. 27199);
che l’atto di appello di Poste Italiane s.p.a. denunciato di inammissibilità (neppure trascritto, in violazione del principio di specificità prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., che onera del suo adempimento anche il ricorrente che deduca un vizio di error in procedendo, che investa la Corte di cassazione del potere di esame diretto degli atti processuali: Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 17 gennaio 2014, n. 896) appare pienamente conforme al novellato paradigma normativo, per adeguatezza della sua articolazione ricostruttiva in fatto e della argomentata censura in diritto del provvedimento impugnato, evincibile dall’illustrazione e dalla confutazione critica fattane dalla sentenza d’appello, di chiara individuazione (nei punti da 1 a 3, a pgg. 2 e 3) delle parti della sentenza di primo grado devolute e idoneamente censurate; che anche il secondo motivo è infondato;
che deve essere escluso il vizio di ultrapetizione (per la denunciata pronuncia oltre quanto devoluto), in quanto esso ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868; Cass. 6 settembre 2018, n. 21720): ma non quando si tratti, come nel caso di specie, di un mero passaggio argomentativo, come tale utilizzato, in via integrativa dalla Corte territoriale (al p.to 6 di pg. 4 della sentenza: “Aggiungasi… “);
che neppure è concepibile la formazione di alcun giudicato su un passaggio argomentativo privo di una propria autonomia decisionale e che pertanto non costituisce un capo di sentenza;
che infatti, ai fini della selezione delle questioni di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e quindi di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (Cass. 4 febbraio 2016, n. 2217; Cass. 16 maggio 2017, n. 12202; Cass. 26 giugno 2018, n. 16853); che i restanti motivi (dal terzo al sesto), congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione riconducibili ed una sostanziale contestazione dell’accertamento giudiziale nel merito, sono inammissibili;
che non si configura la violazione delle norme di legge denunciate, in difetto dei requisiti suoi propri (Cass. 31 maggio 2006, n. 12984; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038), consistendo essa nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, necessariamente implicante un problema interpretativo della stessa, non mediato dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, riservata alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 12 ottobre 2017, n. 24054);
che essi consistono piuttosto in una contestazione dell’accertamento in fatto e della valutazione probatoria, con la contrapposizione di una ricostruzione del fatto e di una valutazione proprie della parte, a sollecitazione di un riesame del merito, a fronte di una più che adeguata argomentazione giustificativa della Corte territoriale (per le ragioni esposte ai p.ti da 3 a 7 di pgg. da 3 a 5 della sentenza) e quindi insindacabili in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679): a fortiori considerato il più circoscritto ambito devolutivo del vizio motivo introdotto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;
che ciò vale in particolare in riferimento alla contestazione di mancata ammissione della C.t.u., nel potere discrezionale del giudice di merito, succintamente ma adeguatamente giustificato (all’ultimo capoverso del punto sub 5 di pg. 4 della sentenza) e pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 28 febbraio 2006, n. 4407; Cass. 15 luglio 2008, n. 19458);
che non è più deducibile il vizio di insufficiente né contraddittoria motivazione, alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 21 febbraio 2018, n. 4241); che nella denunciata omissione di esame di fatti è assente il carattere della decisività proprio per la deduzione della loro pluralità, che esclude ex se la portata risolutiva di ciascuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625): pertanto con la collocazione del vizio al di fuori del nuovo paradigma normativo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;
che in via conclusiva tutti i motivi convergono in una contestazione sostanziale dell’accertamento di fatto, a sollecitazione di un tendenziale riesame del merito, insindacabile in sede di legittimità per le ragioni dette;
che pertanto il ricorso deve essere rigettato, con regolazione delle spese di giudizio, secondo il regime di soccombenza;
che ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 37947 depositata il 28 dicembre 2022 - L'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 settembre 2020, n. 18669 - L'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 7300 depositata il 19 marzo 2024 - Gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 luglio 2021, n. 21365 - Ai fini dell'ammissibilità del gravame, che l'appello contenga una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 12 luglio 2019, n. 18808 - L'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 agosto 2019, n. 20923 - Il vizio di motivazione apparente e/o perplessa e incomprensibile, "per relationem" - L'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- In caso di errori od omissioni nella dichiarazione
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10415 depos…
- Processo tributario: competenza del giudice tribut
La sentenza n. 186 depositata il 6 marzo 2024 del Tribunale Amministrativo Regio…
- Prescrizione quinquennale delle sanzioni ed intere
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 11113 depos…
- L’utilizzo dell’istituto della compens
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 17116 depositata il 2…
- IMU: no all’esenzione di abitazione principa
La Corte di Cassazione. sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9496 deposi…