CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 ottobre 2018, n. 24055
Tributi – Somma percepita a titolo di transazione per rinuncia all’azione di risoluzione del contratto per inadempienza – Qualificazione come lucro cessante – Imponibilità come redditi diversi
Ritenuto che
1. L’Agenzia delle Entrate ufficio di San Benedetto del Tronto notificava al signor S.C. un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione l’importo di euro 180.000 percepito in relazione ad un atto di transazione da lui sottoscritto nel 2004 con la società “L.S.” srl, in forza del quale veniva convenuto che ferma l’obbligazione della “L.S.” srl al pagamento del prezzo di lire 600 milioni per la vendita di un terreno, quest’ultima doveva versare al C. contestualmente alla sottoscrizione dell’atto di transazione la somma di euro 180.000 a titolo di risarcimento del danno da lui lamentato.
2. Secondo l’Agenzia delle Entrate la somma stabilita nella transazione doveva considerarsi come lucro cessante del risarcimento del danno patito dal C. a seguito dell’inadempimento della società “L.S.” s.r.l. nel pagamento del prezzo di vendita di un compendio immobiliare e, dunque, doveva concorrere alla formazione del reddito complessivo imponibile quale reddito diverso. Sulla base di tale motivazione l’Ufficio accertava una maggiore Irpef per Euro 79.268,00 una maggiore addizionale regionale per euro 7.084,00 ed una maggiore addizionale comunale per euro 900,00, erogando sanzioni per complessive Euro 87.252,00.
3. Il signor C. definiva ex articolo 17, comma 2, d. Igs. n. 472 del 1997 le sanzioni, versando l’importo nella misura ridotta ad un quarto e proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento, contestando la ripresa impositiva ivi contenuta.
In particolare il contribuente sosteneva che la somma percepita per effetto dell’atto di transazione non era stata corrisposta a titolo di lucro cessante bensì di danno emergente e, dunque, non era soggetta a plusvalenza tassabile in base all’articolo 67 TUIR.
4. La Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno accoglieva il ricorso, ritenendo che le somme percepite dal C. fossero meramente reintegrative e, quindi, non soggette a tassazione.
5. L’amministrazione finanziaria proponeva appello, rivendicando la natura reddituale delle suddette somme perché derivanti da un risarcimento del danno patito dal contribuente a titolo di lucro cessante e non di danno emergente. La Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello dell’ufficio, ritenendo corretta la qualificazione di lucro cessante della somma percepita dal C. a seguito della transazione, in quanto dovuta per compendiare i mancati i frutti della consegna del compendio immobiliare venduto dal C. e per il quale la società sosta non aveva pagato il prezzo di vendita.
La CTR evidenziava che sul terreno oggetto della compravendita, adiacente al casello autostradale, era stata costruita una vasta area attrezzata per L.S. di camion e altri veicoli con annesse strutture ricettive di ristorazione, parcheggi, stazione di riferimento e, pertanto, riteneva che il complesso immobiliare trasferito avesse una produttività potenziale anche solo come valore locativo di area di sosta tale che la società acquirente era stata disposta a pagare una somma aggiuntiva di €180.000 per consolidare il proprio acquisto e per evitare i rischi del proseguimento dei vari contenziosi civili pendenti con il C. che avrebbero potuto condurre a vanificare l’investimento effettuato.
D’altra parte nella transazione le parti avevano stabilito che rimaneva da pagare il prezzo di lire 600 milioni della vendita del compendio immobiliare, dunque l’ulteriore somma introitata dal C. non aveva la funzione di ripristinare la precedente situazione patrimoniale del danneggiato ma quella di monetizzare la rinuncia al proseguimento delle azioni giudiziarie e i conseguenti potenziali introiti derivanti dalla perdita di favorevoli occasioni contrattuali che sarebbero scaturite in considerazione della potenzialità economica del bene, come, peraltro, risultava dall’atto di citazione del C..
6. Avverso la suddetta pronuncia propone ricorso per cassazione S.C. sulla base di un motivo.
7. Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.
Considerato che
1. L’unico motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 6 del d.p.r. n. 917 del 1986, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il ricorrente premette che l’articolo 6, comma 2, sopra citato prevede che le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli di invalidità permanente da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli perduti. Ciò comporta che le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretizzatosi nella mancata percezione di redditi.
Ciò premesso secondo la parte ricorrente la natura della somma percepita dal C. a seguito della transazione sottoscritta il 12 marzo 2004 sarebbe quella di danno emergente e non di lucro cessante, essendo diretta esclusivamente a ripristinare, dopo quattro anni dalla sottoscrizione dell’atto di compravendita, il valore del patrimonio in conseguenza del mancato tempestivo pagamento del prezzo da parte della società acquirente.
D’altra parte il prezzo che avrebbe dovuto essere corrisposto dalla società acquirente fin dalla sottoscrizione del contratto di compravendita non era assoggettato a tassazione in quanto si trattava di un immobile ceduto oltre un quinquennio dall’acquisto avvenuto a titolo gratuito e, quindi, non idoneo a determinare una plusvalenza tassabile.
Inoltre, dall’atto di transazione risultava chiaramente che la somma di euro 180.000 era stata corrisposta dalla società acquirente a fronte della rinuncia da parte del C. alla prosecuzione del giudizio di risoluzione del contratto nei confronti della società “L.S.” srl, e dunque alla riacquisizione del bene.
Il risarcimento del danno derivante dalla mancata disponibilità del bene è configurabile come lucro cessante nella sola ipotesi in cui la somma versata a titolo risarcitorio si aggiunga e non si sostituisca, come nella specie, alla risoluzione del contratto e alla conseguente restituzione del bene che è diretta alla riparazione del cosiddetto danno emergente. Quando, come nel caso in esame, la risoluzione del contratto e la restituzione del bene non abbiano avuto luogo, le somme versate a titolo risarcitorio da parte dell’acquirente inadempiente non possono essere che dirette a ristorare il danno emergente non essendo configurabile alcun quid pluris rispetto alla mera reintegrazione del danno patrimoniale.
1.2 Il motivo è inammissibile oltre che infondato.
Il motivo di ricorso, infatti, al di là della eccepita violazione di legge, si risolve in realtà nella richiesta di una diversa interpretazione della clausola contrattuale con la quale la società “L.S.” srl si era impegnata a pagare la somma di 180.000 euro a fronte della rinuncia da parte del C. all’azione di risoluzione del contratto.
1.3 Ciò premesso il ricorso difetta del requisito della specificità dei motivi, in quanto secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte: «L’interpretazione della volontà delle parti in relazione al contenuto di un contratto o di una qualsiasi clausola contrattuale importa indagini e valutazioni di fatto affidate al potere discrezionale del giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità ove non risultino violati i canoni normativi di ermeneutica contrattuale e non sussista un vizio nell’attività svolta dal giudice di merito, tale da influire sulla logicità, congruità e completezza della motivazione. Peraltro, quando il ricorrente censuri l’erronea interpretazione di clausole contrattuali da parte del giudice di merito, per il principio di autosufficienza del ricorso, ha l’onere di trascriverle integralmente perché al giudice di legittimità è precluso l’esame degli atti per verificare la rilevanza e la fondatezza della censura» (Sez. 3, Sentenza n. 2560 del 06/02/2007).
Nel caso di specie il ricorrente non ha riportato il contenuto esatto dell’atto di transazione e non ha indicato quale siano le regole ermeneutiche violate da parte della Commissione tributaria regionale nell’interpretazione di tale contratto.
1.4 In ogni caso sulla base degli elementi di fatto esposti e, dunque, conoscibili da parte del collegio, non è possibile ravvisare alcuna violazione di legge.
La valutazione della natura meramente reintegrativa o di mancata percezione di redditi delle somme derivanti da un atto di transazione stipulato dal contribuente al fine della sua soggezione a imposizione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e se congruamente motivata non è sindacabile da questa Corte.
La CTR ha evidenziato che la transazione prevedeva il pagamento della somma di euro 180.000 come ristoro della mancata disponibilità del terreno e che, pertanto, la stessa dovesse essere qualificata come lucro cessante anche perché restava immutato l’obbligo della società “L.S.” srl, acquirente di pagare il prezzo del terreno.
Si tratta di motivazione esente da vizi logici e giuridici e conforme all’indirizzo consolidato secondo cui «In tema di imposte sui redditi, in base all’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo applicabile “ratione temporis”), le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa» (ex plurimis Sez. 5 – , Sentenza n. 10244 del 26/04/2017).
5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 5.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
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