CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2020, n. 8437
Contratto di lavoro a tempo determinato – Illegittimità del termine – Sottoposizione ad amministrazione straordinaria della società datrice di lavoro – Distinzione tra domande del lavoratore – Pronunce di mero accertamento oppure costitutive – Competenza del giudice del lavoro – Domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro -Improcedibilità o improseguibilità della domanda – Difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura
Rileva che
Con sentenza n. 4047/8 – 18 maggio 2015, la Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame interposto con atto del 13 giugno 2013 di A. – L.A.I. S.p.a. in amministrazione straordinaria e confermava, per l’effetto, la decisione in data 14-12-2012, con la quale il locale giudice del lavoro aveva dichiarato l’illegittimità del termine finale (e di proroga) apposto al primo contratto di lavoro subordinato a tempo determinato stipulato, con decorrenza 4 luglio 2000 sino al tre dicembre dello stesso anno, tra la lavoratrice B. Rosalia e A.T. S.p.a. (gli altri con A. – L.A.I. S.p.a., che aveva poi incorporato A.T.), ai sensi degli artt. 23 I. n. 56/1987 e 3 del C.C.N.L. per gli assistenti di volo, donde la sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dal 4-7-2000;
la Corte ha, in primo luogo, ritenuto la competenza dell’adito giudice del lavoro, in quanto la gravata pronuncia si era limitata ad accogliere la domanda di accertamento (azione di nullità parziale ex art. 1419 c.c.), con conseguente diritto di parte attrice a vedersi riconosciuta pure la relativa anzianità di servizio). Ha quindi escluso il mutuo consenso eccepito da parte datoriale per opporre comunque l’intervenuto scioglimento del rapporto contrattuale (visto in particolare che l’ultimo contratto a tempo determinato era cessato il 31 maggio 2007, mentre la prima lettera di costituzione in mora era del 18 dicembre successivo). Ha poi ritenuto che non fosse stato provato dalla società il rispetto della percentuale massima di assunzioni a termine per l’anno 2000 indicata dall’art. 3 del contratto collettivo nella misura del 25% degli assistenti di volo a tempo indeterminato, stante la genericità e l’inammissibilità della circostanza dedotta al riguardo nella memoria difensiva di primo grado ed attesa la mancanza di documentazione che potesse comprovare quanto genericamente affermato;
avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione A. – L.A.I. S.p.a. in Amministrazione Straordinaria con quattro motivi, cui la lavoratrice ha resistito con controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa;
Considerato che
con il primo motivo viene dedotta, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 36 e 13 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e degli artt. 52 e 24 r.d. n. 267/1942, per avere la Corte respinto l’eccezione d’improcedibilità delle domande proposte dall’attrice per effetto dell’ammissione di A. – L.A.I. S.p.A. alla procedura di amministrazione straordinaria, non considerando che le domande di accertamento erano meramente strumentali al riconoscimento di automatici diritti patrimoniali; con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 23 L. n. 56/1987 e 3 del c.c.n.I. per gli assistenti di volo, in ordine alle causali legittimanti l’apposizione del termine finale ai primi due contratti a tempo determinato intervenuti con la sig.ra B.;
con il terzo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di fatti e delle allegazioni nonché delle richieste istruttorie di A. relative alla dimostrazione dei presupposti di legittimità di contratti a termine ex adverso impugnati, nonché ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione degli artt. 115 e 116 dello stesso codice di rito in ordine alla libertà dei mezzi di prova, e dell’art. 421, co. 2°, cod. proc. civ., circa i poteri istruttori del giudice del lavoro, per quanto concerne la mancata produzione di documentazione a supporto del rispetto della c.d. clausola di contingentamento;
infine, con il quanto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 244 cod. proc. civ., circa l’articolazione della prova testimoniale, riguardo ai presupposti di legittimità delle assunzioni a termine de quibus, per aver la Corte di merito ritenuto generico il mezzo istruttorio indicato da parte convenuta circa il rispetto della medesima clausola di contingentamento, nonostante la deduzione al riguardo di circostanze fattuali precise e concrete;
tanto premesso, il primo motivo è infondato e deve essere respinto, essendosi la Corte territoriale uniformata – sul rilievo della sola proposizione, da parte della lavoratrice, di domande di mero accertamento – al consolidato orientamento, per il quale “in caso di sottoposizione ad amministrazione straordinaria della società datrice di lavoro, deve distinguersi tra domande del lavoratore che mirano a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (ad esempio, domanda di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro) e domande dirette alla condanna al pagamento di somme di denaro (anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale). Per le prime va, infatti, riconosciuta la perdurante competenza del giudice del lavoro, mentre per le seconde opera (diversamente dal caso del fallimento, in cui si rinviene l’attrazione del foro fallimentare) la regola della improcedibilità o improseguibilità della domanda, per difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura, ferma restando l’assoggettabilità del provvedimento attinente allo stato passivo ad opposizione o impugnazione davanti al tribunale fallimentare” (Cass. n. 19271/2013, conformi, fra le altre, Cass. n. 13877/2004 e n. 15066/2017);
il secondo motivo risulta del tutto inconferente alla stregua della ratio decidendi dell’impugnata sentenza, la quale, dopo aver richiamato il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità circa la c.d. delega in bianco di cui all’art. 23 L. n. 56/1987 (in part. Cass. sez. un. n. 4588 del 2/3/2006) ed osservato che il contratto di lavoro a tempo determinato in esame si era limitato a richiamare, genericamente, l’art. 3 del c.c.n.l., osservava che in ogni caso, pur volendosi aderire alla tesi secondo cui la delega in bianco consentirebbe contratti a termine soltanto in base alla qualifica del lavoratore, assunto a tempo determinato, ed al rispetto di apposite percentuali, tale secondo presupposto (ossia la clausola di contingentamento) non risultava comunque dimostrato da parte datoriale (percentuale massima di assunzioni a termine per l’anno 2000 ex citato art. 3 nella misura del 25% degli assistenti di volo a tempo indeterminato);
sono, poi, infondati anche il terzo ed il quarto motivo, da trattare congiuntamente per la loro chiara connessione;
invero, non è dato riscontrare, nella sentenza impugnata, alcuna affermazione nel senso che la dimostrazione dell’osservanza del limite percentuale (dei contratti a termine in rapporto ai contratti a tempo indeterminato) potesse essere conseguita dal datore di lavoro unicamente a mezzo di produzioni documentali, visto che, conformemente a quanto opinato al riguardo dal primo giudicante, nulla risultava in effetti prodotto in primo grado da parte convenuta, che si era limitata a dedurre di aver rispettato le quote del 25% e del 15%, dichiarandosi disponibile a depositare relativa documentazione ed a chiedere l’ammissione di c.t.u. in proposito, donde la rilevata assoluta genericità di una tale allegazione, che non consentiva, quindi, nemmeno l’ammissione di prova testimoniale sul punto, né peraltro una c.t.u. di mero scopo esplorativo al fine di sopperire alla riscontrata carenza probatoria da parte resistente, pacificamente tenuta al relativo onere;
d’altra parte, secondo consolidato e risalente orientamento, l’apprezzamento del giudice di merito sulla genericità o meno dei capitoli di prova testimoniale, come pure sulla pertinenza e attitudine dimostrativa degli stessi, è da ritenersi incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 18222/2004, fra le molte conformi). Né appare incongruo l’anzidetto percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito; peraltro, nella specie risulta anche precluso ex art. 348-ter u.co. c.p.c., l’asserito vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., trattandosi di doppia conforme (sentenza di primo grado, pubblicata il 14.12.12 ed appellata con atto depositato il 13-06-2013, poi respinto con la pronuncia de qua, n. 4047/15), non avendo per giunta parte appellante dedotto una diversità di ragionamento in punto di fatto tra le due anzidette decisioni di merito; inoltre, il quarto e ultimo motivo di ricorso risulta inammissibilmente formulato ex art. 360 n. 3 c.p.c., visto che trattasi in effetti di error in procedendo (pretesa violazione dell’art. 244 c.p.c.), perciò ritualmente impugnabile ai sensi art. 360, co. I, n. 4 c.p.c., e soprattutto univocamente in termini di nullità;
dunque, il ricorso deve essere respinto, per cui le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con distrazione ex art. 93 cod. proc. civ. a favore dell’avv. C.R., antistatario.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 (duecento/00) per esborsi e in euro 5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali, oltre spese generali al 15 % e accessori di legge, di cui dispone la distrazione in favore dell’avv. C.R., procuratore anticipatario costituito per la controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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