CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2019, n. 6210
Accertamento – Immobili – Rendita catastale – Classamento – Modifica – Procedura DOCFA
Fatti e ragioni della decisione
La CTR della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava la decisione di primo grado che aveva ritenuto legittimo l’avviso di accertamento notificato a C.A.P., C.R., C.G., C.F., C.G., C.R. relativo alla variazione di classamento di un immobile sito nel comune di Pomigliano d’Arco. Secondo il giudice di appello l’atto non era affetto da deficit di motivazione, essendosi l’Ufficio basato sui medesimi fatti indicati dai contribuenti nella richiesta di modifica dell’originario classamento ed operando unicamente una loro diversa valutazione tecnica relativa al valore economico.
I contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.
I ricorrenti hanno altresì depositato memoria.
Il primo motivo di ricorso, con il quale si prospetta la violazione degli artt. 3 I. n. 241/1990 e 7 I. n. 212/2000, è infondato.
Ed invero, questa Corte, con ordinanza Cass. 6 febbraio 2014 n. 2709, ha ritenuto che l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato deve contenere una adeguata – anche solo sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria. Ciò è reso tanto più necessario in considerazione delle incertezze proprie del sistema catastale italiano che si riflettono sull’atto (classamento) con cui l’amministrazione colloca ogni singola unità immobiliare in una determinata categoria, in una determinata classe di merito e le attribuisce una “rendita”.
Analogamente, Cass. n. 3394/2014 ha espresso il principio per il quale in caso di mancato recepimento delle indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato l’atto deve contenere una adeguata – ancorché sommaria- motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria.
Sul punto, si è poi aggiunto che in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dall’art. 2 del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 1993, n. 75, e dal d.m. 19 aprile 1994, n. 701 (cosiddetta procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso – Cass. n. 23237/2014.
Si tratta di un orientamento ormai stratificato nella giurisprudenza di questa Corte, ove si è anche di recente ribadito che in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dall’art. 2 del d.l. n. 16 del 1993, convertito in I. n. 75 del 1993, e dal d.m. n. 701 del 1994 (cd. procedura DOCFA), l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso– Cass. n. 12497/2016.
Orbene, a tali principi la CTR si è pienamente conformata, evidenziando specificamente, senza che sul punto vi sia stata censura alcuna da parte dei ricorrenti, che la diversa classificazione e determinazione di rendita operata dall’Ufficio in esito alla domanda DOCFA dei contribuenti si era basata esclusivamente sulla diversa valutazione dei medesimi fatti esposti nella denunzia.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale si prospetta tanto il vizio di motivazione apparente che la violazione dell’art. 2697 c.c., è infondato.
Come si è visto esaminando il primo motivo di ricorso non si ravvisa alcun vizio della motivazione della sentenza impugnata, nella quale si è dato atto delle ragioni che hanno indotto a ritenere pienamente motivato l’atto di riclassamento dell’Ufficio in seguito a procedura DOCFA.
Né la CTR risulta avere addossato sui contribuenti l’onere di fornire la prova contraria a quella spettante all’Ufficio, avendo il giudice di merito, avendo anzi il giudice di merito affermato che la rideterminazione esposta dall’Agenzia era giustificata anche dalla documentazione prodotta, in ciò non potendosi ravvisare alcuna violazione in tema di onere della prova.
Il terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione degli artt. 24 e 57 d. Igs. n. 546/1992, è inammissibile. I ricorrenti prospettano che l’Agenzia avrebbe introdotto nel corso del giudizio di appello elementi documentali nuovi per chiarire la valutazione a sostegno dell’omessa motivazione dell’atto di appello.
In realtà, nulla impediva all’Agenzia di produrre nel corso del giudizio elementi documentali nuovi rispetto a quello già allegati per chiarire il contenuto di un atto processuale, non avendo con tale censura i ricorrenti ipotizzato che l’ufficio abbia ex post integrato le ragioni giustificative dell’atto emesso nei confronti del contribuente, essendo com’è noto tale possibilità esclusa radicalmente da questa Corte – cfr. Cass. n. 25037/2017, Cass. n. 16724/2010.
Né, ancora, risulta che quanto riportato in stralcio dai ricorrenti a pag.12 abbia avuto decisiva rilevanza rispetto alla decisione assunta dalla CTR.
Il quarto motivo di ricorso, con il quale si prospetta il vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, è inammissibile. I ricorrenti, in realtà, come confermato dai rilievi difensivi esposti in memoria sul punto, ipotizzano sotto la forma del vizio di omessa pronunzia un error iuris del giudice di merito che avrebbe omesso di considerare la necessità del sopralluogo in contraddittorio al fine della classificazione degli immobili. Censura che è stata dunque erroneamente formulata ed avrebbe, in ogni caso, richiesto la formulazione di uno specifico motivo di appello che gli stessi ricorrenti non hanno mai affermato di avere proposto.
Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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