CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 luglio 2020, n. 14060
Accertamento – Acquisiti superiori al reddito dichiarato – Spese derivanti da liberalità – Prova a carcio del contribuente
Rilevato che
la contribuente C.A. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, a seguito di indagini bancarie, per l’anno d’imposta 2009, recuperava a tassazione una maggiore IRPEF per redditi non dichiarati pari a circa 145mila euro di cui circa 143mila a titolo di redditi diversi e circa 2mila per redditi di lavoro dipendente, dal momento che l’Ufficio aveva accertato che la contribuente aveva corrisposto per l’abitazione personale un canone di locazione superiore al reddito dichiarato, aveva acquistato azioni, un fabbricato per 250mila euro ed era titolare di conti correnti bancari intensamente movimentati;
la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso ritenendo l’avviso di accertamento in questione adeguatamente motivato;
la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello della parte contribuente rilevando che «è documentato il rapporto di convivenza della C. con tale M. il quale è stato accertato avesse, per l’anno di riferimento, grosse disponibilità di cui è plausibile abbia inteso far beneficiare anche la compagna» e ritenendo che «la pretesa tributaria de qua poggia su di un equivoco di fondo, laddove si è inteso imputare alla C. un reddito non prodotto da lei ma dal convivente, il quale ha verosimilmente intestato sui conti intestati alla compagna il frutto degli illeciti commessi ai danni della società che amministrava. Orbene, se è certamente censurabile l’atteggiamento di chi si sia prestato a tali dinamiche, l’Ufficio avrebbe confuso il ruolo della C., che non ha voluto rinunciare ad indubbie convenienze, con quello del convivente che, invece, ha direttamente ed attivamente agito per il loro conseguimento»;
che l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato a tre motivi di impugnazione mentre la contribuente si costituiva con controricorso.
Ragioni della decisione
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 in quanto le singole affermazioni contenute nella sentenza della CTR sono apodittiche e irrazionali;
considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2697 e 2727-2729 c.c. in quanto anche ad ammettere che i versamenti alla C. siano di provenienza del M. la CTR erra laddove ritiene che tali somme siano prive di rilevanza ai fini dell’imposizione fiscale;
considerato che con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 in quanto la sentenza della CTR nel suo complesso contiene una motivazione meramente apparente;
considerato che il primo ed il terzo motivo, per la loro omogeneità e per la loro stretta connessione logica e giuridica, possono essere trattati congiuntamente;
considerato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940); considerato che, alla luce di suddetto principio, il primo e il terzo motivo di impugnazione sono infondati in quanto una motivazione sia pure estremamente stringata e di non facile comprensione è presente e consiste sostanzialmente nell’affermazione che i redditi della C. non sarebbero soggetti ad imposizione fiscale in quanto provenienti dal suo convivente;
considerato invece, quanto al secondo motivo, che esso è fondato in quanto secondo questa Corte:
la mera “prassi familiare” di erogazione di liberalità da parte dei genitori a favore dei figli costituisce un fatto solo probabile e, quindi, non integra un fatto notorio (nella specie, relativa ad accertamento IRPEF, la Cassazione ha cassato la decisione impugnata che aveva ritenuto la gratuità della cessione di una quota di società da parte del padre alla figlia argomentando solo dal rapporto di parentela tra i titolari del rapporto: Cass. n. 14063 del 2014);
in tema di accertamento sintetico del reddito, ai sensi dell’art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973, ove il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l’impiego di detti redditi per l’effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica (Cass. n. 7757 del 2018; Cass. n. 1510 del 2017);
in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi dell’art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973,(applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento (Cass. n. 1332 del 2016);
il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili (Cass. 3 maggio 2018, n. 10480), senza che assuma alcuna rilevanza la sua qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore, dato che la presunzione legale relativa alla prima parte del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 (consistente nel fatto che i “dati” e gli “elementi” acquisiti attraverso le indagini bancarie possono essere posti a base degli accertamenti e rettifiche, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38-41, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55 per l’IVA, se il contribuente non dimostra di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta, o che essi non hanno rilevanza allo stesso fine), trova applicazione anche a soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi in virtù della portata generale del disposto normativo (Cass. 2 luglio 2014, n. 15050);
considerato che la CTR non si è attenuta ai suddetti principi laddove non ha considerato che, una volta rilevato che i redditi della contribuente provenivano dal di lei convivente sarebbe comunque spettato a lei la dimostrazione che tali redditi non fossero suscettibili di imposizione fiscale, non essendo stato neppure da lei allegato che su tali redditi erano state già pagate le imposte o che per qualsiasi altro motivo tali imposte non avrebbero dovute essere pagate;
ritenuti pertanto infondati il primo ed il terzo motivo di impugnazione e fondato il secondo, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo e il terzo motivo di impugnazione, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.