CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 settembre 2022, n. 26390

Tributi – IRPEF – Adempimenti del sostituto d’imposta – Provvigioni erogate in favore di soggetti non residenti che non hanno nel territorio dello Stato una stabile organizzazione – Obbligo di ritenuta fiscale alla fonte – Esclusione

Fatti di causa

All’esito di verifica fiscale l’Agenzia delle entrate-Direzione provinciale di Milano ebbe a notificare alla A.I. s.r.l., per l’anno 2006, due avvisi di accertamento, uno per indebita detrazione dell’ I.V.A. (non più oggetto controverso in giudizio) e il secondo (che rileva in questa sede), con cui recuperò ritenute sui compensi e accertò, ai sensi dell’art. 41 bis del d.P.R.n.600 del 1973, la mancata effettuazione di ritenute relativamente all’anno di imposta 2006.

Con separato atto di contestazione, considerando che la Società non aveva operato la ritenuta a titolo di imposta sulle provvigioni corrisposte agli incaricati alle vendite non residenti, venne irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria.

In sintesi, l’Agenzia delle entrate ebbe a contestare alla Società di non avere operato la ritenuta a titolo di imposta su provvigioni corrisposte a incaricati alle vendite a domicilio non residenti nel territorio italiano, omettendo di indicare in dichiarazione mod.770 gli estremi dei percettori e l’entità delle ritenute.

Tali atti vennero impugnati dalla Società con distinti ricorsi che la Commissione tributaria provinciale, previa riunione, accolse integralmente.

La decisione, appellata dall’Agenzia delle Entrate, è stata parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.) che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto parzialmente l’appello dell’Ufficio, stabilendo non dovute l’IVA e le relative sanzioni e confermando, nel resto, l’accertamento.

Il Giudice di appello, per quello che qui ancora rileva, riteneva che i redditi commerciali non esercitati abitualmente dovessero essere classificati nella categoria dei “redditi diversi”, come previsto dall’art.67, c.1, lett.i), TUIR e che in considerazione del principio che le imposte si pagano nel paese dove il reddito viene prodotto, l’art.23, c.1, lett.f) TUIR stabilisce che ai fini dell’applicazione delle imposte si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi diversi derivanti da attività svolte nello territorio dello Stato.

Statuiva, pertanto e alla luce del disposto del secondo comma dell’art. 25 del d.P.R. n.600 del 1973, che i soggetti ai quali sono state corrisposte le provvigioni per attività “porta a porta” sono residenti all’estero per cui, indipendentemente dal tipo di attività (di lavoro autonomo o imprenditoriale) esercitata, il compenso erogato andava sottoposto a ritenuta.

Avverso la sentenza, la Società ha proposto ricorso su quattro motivi.

L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione alla pubblica udienza, nelle forme di cui all’art.23, comma 8 bis, della legge n.176 del 2020, in prossimità della quale il P.G. ha depositato le sue conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso, e la ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1.Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.3, 23, e 55 TUIR e 2195 cod.civ. e censura la sentenza impugnata per avere il Giudice di appello classificato nella categoria dei “redditi diversi” …le provvigioni corrisposte da A. agli incaricati.

Secondo la prospettazione difensiva, al contrario di quanto ritenuto dal Giudice di appello, non vi era dubbio che l’attività degli incaricati, che avevano operato senza alcun vincolo di subordinazione, rientrava nell’attività intermediaria nella circolazione dei beni e, quindi, tra quelle previste dall’art.2195 cod.civ. e che i redditi dell’attività dell’incaricato alla vendita, come già statuito per gli agenti di commercio, potessero essere qualificati come redditi di impresa, a prescindere da un’organizzazione. Con specifico riferimento alle provvigioni oggetto di contestazione si doveva, poi, escludere che le stesse potessero essere soggette a tassazione in Italia, in quanto i relativi percettori avevano la propria residenza in Paesi con cui l’Italia aveva già sottoscritto e ratificato con legge la Convenzione internazionale contro la doppia imposizione.

2.Con il secondo motivo -rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art.23 TUIR laddove la sentenza ha ritenuto imponibili ai sensi dell’art.23, comma 1, lettera f) del TUIR le provvigioni corrisposte in relazione ad attività non svolte dagli incaricati nel territorio dello Stato- la Società deduce che, anche qualora si volessero ritenere le provvigioni corrisposte agli incaricati alle vendite “redditi diversi”, aveva errato il Giudice di appello a considerarli imponibili in Italia ai sensi dell’invocato art.23, non avendo detti incaricati svolto attività di vendita nello territorio dello Stato, come riconosciuto dalla stessa Agenzia delle entrate che nell’avviso di accertamento aveva qualificato il corrispettivo come provvigione indiretta.

3.Con il terzo motivo, si deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.5 cod.proc.civ., l’omessa motivazione su un fatto decisivo laddove la C.T.R. non aveva considerato che le provvigioni erano state corrisposte in relazione ad attività non svolte dagli incaricati nel territorio dello Stato. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, il Giudice di appello aveva omesso di considerare la circostanza essenziale ai fini del giudizio ovvero il fatto, riconosciuto dalla stessa Agenzia delle entrate nell’avviso di accertamento, che l’incaricato alle vendite non residente svolge in Italia, per la A.I. s.r.l. un’attività senza stabile organizzazione, il cui scopo è la costituzione di una linea di vendita a lui collegata, a fronte della quale riceve unicamente la provvigione indiretta, cd. bonus.

4.Con il quarto motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione degli artt.3, 23, e 55 TUIR e degli artt.25 e 25 bis del d.P.R. n.600 del 1973 per avere il Giudice di appello ritenuto le provvigioni soggette a tassazione ai sensi dell’art.25 del d.P.R. n.600 del 1973 e non ai sensi dell’art.25 bis, stesso d.P.R. e statuire, quindi, in ossequio al sesto comma dello stesso articolo l’inapplicabilità della ritenuta di imposta alle provvigioni corrisposte agli incaricati di A. senza stabile organizzazione in Italia.

5.Appare utile premettere i dati di fatto della controversia, come emergono, pacificamente e in assenza di contestazione, dagli atti processuali e, prima ancora, dagli stessi atti impositivi impugnati.

La società A.I. s.r.l., negli anni oggetto della verifica fiscale, si avvalse dell’opera di soggetti, non residenti e privi di stabile organizzazione in Italia, incaricati alla vendita a domicilio, corrispondendo agli stessi, a titolo di provvigione indiretta per le vendite effettuate dalla linea, da loro creata e composta da ulteriori e diversi incaricati alle vendite residenti, un bonus.

5.1 Tale quadro fattuale è posto, come già detto, alla base dell’avviso di accertamento oltre che non contestato, nei gradi di merito, dall’Agenzia delle entrate.

6.Ciò posto, può accogliersi, da subito, il terzo motivo di ricorso.

Con il mezzo, infatti, la ricorrente -pur indicando in rubrica il vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.5 cod.proc.civ.- ha, nell’illustrazione, dedotto l’omesso esame ad opera della C.T.R. di un fatto decisivo.

6.1 Ne consegue l’ammissibilità del motivo di ricorso (essendo applicabile al ricorso il vigente disposto del citato num.5 per essere stata la sentenza impugnata depositata il 28 novembre 2013) che è, pure, fondato.

6.2 La C.T.R., infatti, nel ritenere che le provvigioni corrisposte costituissero redditi diversi ha del tutto omesso di esaminare il fatto, decisivo, che gli incaricati in questione non svolgevano direttamente un’attività in Italia.

7. Così ricostruiti i termini fattuali della vicenda processuale, appare, altresì, utile delineare il quadro normativo di riferimento:

a) l’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (rubricato Applicazione dell’imposta ai non residenti) considera al suo primo comma, lett. e) prodotti in Italia i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio mediante stabili organizzazioni e alla lettera f) i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio dello stesso.

b) l’art.67 del citato d.P.R. n.917 del 1986 – intitolato <<redditi diversi>>- prevede che sono redditi diversi se non sono conseguiti nell’esercizio delle arti o di professioni o di imprese commerciali ……né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:…i) i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente;

c) l’art.25 del d.P.R. n.600 del 1973, nel prevedere l’obbligo di operare la ritenuta, a titolo di acconto dell’imposta, sul reddito delle persone fisiche dei percipienti, residenti nello Stato, sui compensi comunque denominati, esclude espressamente dalla ritenuta le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese. Il secondo comma dello stesso articolo stabilisce: Salvo quanto disposto nell’ultimo comma del presente articolo, se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti deve essere operata una ritenuta a titolo di imposta del trenta per cento anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese. Ne sono esclusi i compensi …corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.;

d) con l’entrata in vigore del D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, è stato introdotto, con effetto dal 1° gennaio 1983, l’art. 25 bis nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante la disciplina della “ritenuta sulle provvigioni inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari”.

7.1 Tale ultima normativa, nel perseguire lo scopo di rendere più sicuro e certo il prelievo fiscale per la specifica tipologia di reddito conseguito dalle categorie di soggetti di cui al predetto art. 25 bis, tra i quali sono espressamente ricompresi i venditori a domicilio, ha di fatto introdotto una deroga all’ordinaria disciplina del reddito d’impresa, in quanto prevede l’assoggettamento a ritenuta di componenti positivi di reddito costituenti a tutti gli effetti ricavi tipici d’impresa. I soggetti cui si riferisce l’art. 25 bis del D.P.R. n. 600/1973, infatti, ai sensi della normativa tributaria di cui all’art. 55 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono considerati titolari di reddito d’impresa, sempreché l’attività d’intermediazione commerciale sia esercitata in modo continuativo per professione abituale. In particolare, ai sensi di quanto previsto dal primo comma del sopra citato art. 55, per esercizio di imprese commerciali si intende lo svolgimento con il carattere dell’abitualità (ancorché non in via esclusiva) delle “attività indicate nell’art. 2195 c.c., …, anche se non organizzate in forma d’impresa”. Tra le attività commerciali elencate nell’art.2195 cod.civ. rientrano, annoverate nel numero 5), quelle denominate “ausiliarie”, nel cui ambito definitorio è fatta rientrare anche l’attività promozionale delle vendite esercitata dagli agenti di commercio (con o senza rappresentanza) la quale, pertanto, configura un’attività d’impresa ed i relativi ricavi conseguiti, costituiti tipicamente dalle provvigioni, costituiscono, pertanto, componenti positivi del reddito d’impresa. Può, quindi, concludersi nel senso che la norma di cui all’art. 25 bis del D.P.R. 600/1973 non è intervenuta nell’ambito definitorio di tali redditi, la cui natura rimane quella dei redditi d’impresa, ma si è limitata ad introdurre una nuova modalità di riscossione dell’imposta che ora avviene tramite l’effettuazione della ritenuta alla fonte.

8. Così ricomposto il quadro normativo di riferimento, la tesi dell’Agenzia delle entrate secondo cui, in mancanza di stabile organizzazione in Italia, non sussiste reddito di impresa e che, per questo, qualunque sia l’attività svolta all’estero dall’agente, mancherebbe rispetto all’attività svolta in Italia, il requisito di abituabilità e professionalità dell’attività come richiesto dall’art.55 TUIR, non può essere condivisa.

8.1 Premesso che, come sopra detto, in fatto è rimasta esclusa la mera occasionalità della prestazione, deve, al contrario, ritenersi, alla luce del quadro normativo come sopra delineato, che la qualifica del reddito di impresa permane anche nei confronti degli intermediari/agenti professionali non residenti e che, in applicazione del criterio enunciato all’art.23, primo comma, lett. e) del d.P.R. n.917 del 1986, il presupposto impositivo nei confronti del soggetto non residente si verifica esclusivamente nell’ipotesi (nella fattispecie esclusa) in cui i redditi derivino da un’attività esercitata in Italia mediante una stabile organizzazione. Nel caso (quale quello in esame) in cui, invece, l’intermediario non residente non si avvalga di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, le provvigioni corrisposte dal soggetto committente non sono tassabili in Italia e, quindi, non sorgerà alcun obbligo di ritenuta.

8.2 Tale soluzione non solo trova conforto nel principio, già statuito da questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un. n. 7184 del 1983 ribadito da Cass.Sez.5 21 aprile 2011 n.9197) secondo cui <<la qualificazione di reddito di impresa dipende dal requisito soggettivo dell’esercizio dell’impresa commerciale da parte del percipiente a prescindere da qualsiasi altro diverso requisito (essendo la ricorrenza della stabile organizzazione semplice condizione di localizzazione del reddito medesimo e di sua imponibilità in Italia ed, inoltre, che, per poter scindere (e diversificare nel trattamento fiscale) le componenti del reddito d’impresa di un soggetto straniero e privo di autonoma organizzazione nel territorio dello Stato, è necessaria una specifica disposizione di legge>> ma è, altresì, conforme alle regole OCSE su business profits (art.7) e permanent estabilishment (art.5) le quali confermano che l’agente estero è imprenditore ed è soggetto di imposta nello Stato solo ove abbia lì una stabile organizzazione.

8.3 Tale regime impositivo è, peraltro, confermato anche dalla prassi (circolare 10 giugno 1983 n.24/8/8459) laddove (capitolo primo, paragrafo c) il Ministero delle finanze, a commento della normativa di cui al d.l. 30 dicembre 1982 n.953 (con cui è stato introdotto il citato art.25 bis), dopo avere ribadito l’applicabilità della ritenuta alle provvigioni corrisposte a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, ha affermato che di converso non sono assoggettabili alla ritenuta in esame le provvigioni erogate in favore di soggetti non residenti che non hanno nel territorio dello Stato una stabile organizzazione.

9.Alla stregua delle considerazioni che precedono i restanti motivi di ricorso vanno accolti non avendo la sentenza impugnata correttamente applicato alla fattispecie la normativa di riferimento come sopra interpretata.

9.1 Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la decisione della controversia nel merito con l’accoglimento del ricorso originariamente proposto dalla Società limitatamente alle ritenute a titolo di imposta e relative sanzioni, in quanto il rilievo relativo all’indetraibilità dell’IVA è già stato annullato dai giudici di merito e la relativa statuizione non ha formato oggetto di ricorso per cassazione.

10.La novità delle questioni e la peculiarità della fattispecie inducono a compensare integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e a dichiarare irrepetibili quelle del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente nei termini di cui in motivazione.

Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e dichiara irripetibili quelle del giudizio di legittimità.