CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 24880 depositata il 21 agosto 2023

Tributi – Fittizietà oggettiva delle fatture passive – Maggiori IRES, IVA e IRAP – Operazioni oggettivamente inesistenti – Fatture rilasciate in bianco – Formazione del reddito oggetto di rettifica – Mancata tenuta della documentazione contabile – Omessa dichiarazione fiscale – Travisamento della prova – Rigetto

Rilevato che

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a R.S.D., titolare della ditta individuale “Erredi di R.S.D.”, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di imballaggi, tre avvisi di accertamento con i quali, relativamente agli anni di imposta (…), aveva contestato la fittizietà oggettiva delle fatture passive ricevute da Ri.Er., con conseguente maggiore Ires, Iva e Irap, ed irrogato le conseguenti sanzioni; avverso i suddetti atti impositivi il contribuente aveva proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati parzialmente accolti dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, avendo ritenuto che solo in parte le operazioni di cui alle fatture emesse da Ri.Er. erano da considerarsi reali, essendo invece da considerarsi soggettivamente inesistenti le operazioni indicate nelle fatture da questi rilasciate in bianco; avverso la decisione del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello principale e il contribuente appello incidentale;

la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha accolto l’appello principale dell’Agenzia delle entrate, in particolare ha ritenuto che gli elementi di prova presuntiva fatti valere dall’Agenzia delle entrate erano idonei a ritenere che le operazioni fossero da qualificarsi come oggettivamente inesistenti, mentre nessuna idonea prova aveva fornito il contribuente circa l’effettività delle operazioni;

avverso la suddetta pronuncia il contribuente ha quindi proposto ricorso per la cassazione affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Considerato che

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sulla domanda di applicazione della previsione di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 1 e 6, e del D.Lgs. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2 (ndr D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2);

evidenzia parte ricorrente di avere prospettato sia nel primo grado di giudizio che in appello che, ove fosse stata riconosciuta l’inesistenza oggettiva delle operazioni, avrebbe comunque dovuto essere applicato, in favore del contribuente, il disconoscimento dei ricavi basati su tali acquisti, dovendoli parimenti considerare, inesistenti;

il motivo è infondato;

il giudice del gravame ha accertato che non era stato possibile accertare se i pianali venduti corrispondessero a quelli a sua volta acquistati dal Ri., ritenendo, in tal modo, non specificamente provato dal contribuente che i ricavi “fittizi” da espungere fossero corrispondenti agli acquisti derivanti dalle operazioni inesistenti;

tale pronuncia si pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il d.l. n. 16 del 2012, art. 8 comma 2, ha stabilito, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Cass. civ., 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass. civ., 20 aprile 2016, n. 7896), salva l’applicazione di una sanzione;

in siffatte ipotesi grava sul contribuente l’onere di provare che i componenti positivi, che si duole abbiano concorso alla formazione del reddito, siano anch’essi fittizi, perché ricavi “correlati”, ossia direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati (Cass. civ., n. 19000/2018);

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), 4) e 5), per violazione degli artt. 2727, 2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

in particolare, lamenta parte ricorrente che: la considerazione espressa dal giudice del gravame, in ordine al fatto che i bancali ceduti dal contribuente (cessione non contestata) non fossero quelli acquistati (fittiziamente) dal Ri. ma fossero di tutt’altra provenienza, si fonda su di una non corretta regola d’esperienza consistente nel fatto che un soggetto può vendere merci che in realtà non ha mai acquistato, tenuto altresì conto del fatto che il contribuente aveva dato prova documentale che senza gli acquisti dal Ri. non avrebbe potuto effettuare le vendite della merce documentata dalle fatture e che non poteva dirsi legittimo presumere che le vendite di bancali effettuate si riferissero ad altri acquisti in nero; la mancata tenuta della documentazione contabile e la omessa dichiarazione fiscale da parte del Ri. non potevano costituire circostanze indiziarie di cui tenere conto, in quanto non riferibili al contribuente; la considerazione relativa al fatto che le fatture erano state compilate almeno in minima parte dal Ri., mentre le altre risultavano compilate da mani diverse, costituirebbe un ragionamento presuntivo basato su di una erronea valutazione delle prova e dei fatti di causa, dunque anche su di essa non poteva basarsi il ragionamento logico presuntivo; la circostanza relativa alla esistenza di un solo mezzo di trasporto non tiene conto del fatto che il contribuente aveva dato prova documentale della esistenza di un altro mezzo di trasporto, sicché sussisterebbe un vizio di omessa motivazione e di violazione dell’art. 2729 c.c.; sarebbe del tutto apodittica l’affermazione secondo cui il Ri. non aveva alcuna capacità organizzativa e, inoltre, sarebbe stato omesso l’esame delle dichiarazioni di terzi che avevano dichiarato che il Ri. scaricava materialmente i beni oggetto di fatturazione presso la ditta del contribuente; sarebbe infondata, ai fini presuntivi, l’ulteriore circostanza che l’attività del Ri. consistesse nella vendita di pianali usati mentre le fatture di vendita del contribuente riguardavano pianali nuovi, essendo la stessa errata ed in contrasto con la realtà documentale; infine, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, esisteva un interesse fiscale del Ri. ad affermare che tutte le fatture erano fittizie;

il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile;

va osservato che il giudice del gravame risulta avere compiuto, in sentenza, una complessiva analisi di tutti gli elementi di prova presuntiva fatta valere dall’amministrazione finanziaria e dal contribuente ed ha proceduto ad una valutazione degli stessi in ordine alla effettiva portata probatoria, pervenendo alla considerazione conclusiva della inesistenza oggettiva delle fatture emesse dal Ri. nei confronti del contribuente;

in particolare, nel percorso motivazionale, ha esplicitato il risultato dell’attività svolta in ordine alla valutazione e all’apprezzamento dei fatti e delle risultanze probatorie, indicando espressamente le fonti del proprio convincimento e valutando gli elementi di prova presuntiva, selezionando tra le stesse quelle ritenute più idonee a supportare le conclusioni;

in particolare, il giudice del gravame ha evidenziato che l’inesistenza oggettiva delle operazioni era evincibile da diversi elementi di prova presuntiva, quali: la mancata tenuta della contabilità da parte del Ri., l’assenza di registri Iva obbligatori e delle dichiarazioni dei redditi; la mancanza di una idonea struttura organizzativa per lo svolgimento del “notevole giro di affari”; il fatto che l’attività del Ri. consisteva unicamente nella vendita di pianali usati, mentre le fatture di vendita del contribuente riguardava unicamente pianali nuovi; la genericità delle fatture emesse dal Ri., che non consentiva di accertare se i pianali venduti dal contribuente fossero corrispondenti a quelli venduti dal contribuente; la mancanza di prova documentale da parte del contribuente che consentisse di verificare di avere effettivamente acquistato dal Ri. i bancali di cui alle fatture da quest’ultimo emesse;

in realtà, le doglianze della parte ricorrente, pur formalmente volte a denunciare la violazione delle regole di cui all’art. 2729 c.c., ovvero l’omesso esame di fatti decisivi per la controversia, investono nella sostanza il merito della lite, comportando una rivalutazione degli stessi elementi di prova presuntiva già tenuti in considerazione dal giudice del gravame, sicché le stesse tendono a rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, in contrasto con il principio secondo cui la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 5811 del 2019; Cass. n. 27899 del 2020; Cass. 18611 e 15276 del 2021);

più specificamente, con riferimento alla censura prospettata in ordine all’affermazioni del giudice del gravame secondo cui i bancali ceduti dal contribuente non fossero quelli acquistati dal Ri., va osservato che la stessa non coglie la ratio decidendi della pronuncia, poiché, in realtà, il giudice del gravame ha ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente non era idonea a provare “l’effettivo acquisto dal Ri. di tutti i bancali risultanti dalle fatture da quest’ultimo emesse”, operando, in tal modo, una valutazione della prova contraria e della sua non idoneità a dar prova dell’effettività dell’acquisto;

a tale convincimento, peraltro, il giudice perviene dopo avere accertato, in primo luogo, che l’attività del Ri. consisteva nella vendita di pianali usati mentre quella del contribuente nella vendita di pianali nuovi, e che, comunque, la genericità delle fatture emesse dal Ri. non consentiva di pervenire alla valutazione della corrispondenza tra la merce acquistata e risultante dalle fatture di acquisto e quelle di vendita da parte dello stesso contribuente;

circa il profilo di censura relativo alla non rilevanza inferenziale della mancata tenuta della documentazione contabile e della omessa dichiarazione fiscale da parte del Ri., in quanto non riferibili al contribuente, lo stesso non tiene conto che tale circostanza è stata valorizzata dal giudice del gravame al fine di ricostruire il quadro complessivo entro cui valutare la prova indiziaria prospettata dall’amministrazione finanziaria ai fini della fittizietà delle operazioni di vendita;

il suddetto elemento indiziario, in particolare, è stato valorizzato unitamente agli altri elementi di prova presuntiva prospettati dall’amministrazione finanziaria, quali la mancanza di idonea struttura organizzativa del Ri., la diversità di attività tra il soggetto acquirente e quello che aveva emesso le fatture, nonché la genericità delle fatture emesse dal Ri.;

inconferente, poi, è il riferimento al passaggio motivazionale relativo al fatto che le fatture erano state compilate, almeno in minima parte, dal Ri., mentre le altre risultavano compilate da mani diverse, posto che non è su tale circostanza che il giudice del gravame ha basato la propria decisione, ma, come detto, sugli elementi di prova presuntiva sopra specificati;

inammissibile, inoltre, è il profilo di censura che ha riguardo alla circostanza che il giudice del gravame ha accertato l’esistenza di un solo mezzo di trasporto, mentre il contribuente aveva dato prova documentale della esistenza di un altro mezzo di trasporto: tale profilo di censura, proposto sia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) che n. 5), si scontra con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame che ha accertato, con una valutazione di merito non sindacabile in questa sede, che “ad un approfondito controllo, era risultato come il Ri. disponesse di un unico autocarro con gru per caricare, trasportare e scaricare le centinaia di pianali indicati nelle fatture, senza, per di più, avere la capacità organizzativa per questo notevole giro d’affari”;

in questo quadro, parimenti si innesta la considerazione di inammissibilità dell’ulteriore profilo di censura relativo alla contestazione della pronuncia del giudice del gravame secondo cui il Ri. non aveva la capacità organizzativa, posto che, come visto, anche in questo caso il giudice ha compiuto un accertamento in fatto, essenzialmente basato sia sulla unicità del mezzo di trasporto a disposizione che del “notevole giro d’affari”;

circa, poi, la ragione di censura relativa all’omessa valutazione delle dichiarazioni rese da terzi, vanno considerati diversi profili;

in primo luogo, il giudice del gravame ha dato atto, in sede di svolgimento del processo, che il contribuente aveva fatto riferimento, al fine di confutare la valenza della prova presuntiva dell’amministrazione finanziaria, anche alla documentazione contenente le “dichiarazioni testimoniali prodotte dal ricorrente”;

pur avendo, quindi, dato atto della sussistenza di tale documentazione, il giudice del gravame ha ritenuto che “non si è avuto prova, dai documenti di causa prodotti dal ricorrente, di tale corrispondenza”, il che implica una valutazione di merito in ordine alla non rilevanza probatoria degli stessi;

d’altro lato, questa Corte ha precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. civ., n. 9253 del 2017);

la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni (Cass. n. 2431 del 2004; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 1234 del 2019), costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017);

in realtà, quel che parte ricorrente, anche con il presente profilo di censura, tende a prospettare è una diversa valutazione degli elementi di prova già tenuti in considerazione dal giudice del gravame o comunque non valutati alla luce del suo potere di individuare su quali elementi di prova intende basare il proprio convincimento;

analoghe considerazioni devono essere espresse con riferimento al profilo di censura relativo all’accertamento, compiuto dal giudice del gravame, in ordine alla circostanza che l’attività del Ri. consisteva nella vendita di pianali usati mentre le fatture di vendita del contribuente riguardavano pianali nuovi, trattandosi, anche in questo caso, di un accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame, non sindacabile in questa sede;

infine, inconferente è la ragione di censura relativa alla sussistenza o meno dell’interesse del Ri. a rendere le dichiarazioni in ordine alla fittizietà delle fatture: si tratta di un profilo cui il giudice del gravame ha fatto riferimento ma sulla quale non si è fondato al fine di accertare l’inesistenza oggettiva delle operazioni di cessioni, essendo stata accertata, invero, sulla base di diversi elementi di prova presuntiva cui in sentenza è stato fatto specifico riferimento;

sotto tale profilo, non può ragionarsi né in termini di violazione del regime delle prove presuntive di cui all’art. 2729 c.c. né di omesso esame di fatti decisivi;

inconferente, poi è il riferimento alle previsioni di cui all’art. 115 e 116 c.p.c., posto che, sul punto, questa Corte (Cass. civ., 31 marzo 2022, n. 10463) ha precisato che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento dei suddetti articoli, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal d.l. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012;

si e’, inoltre, precisato (Cass. civ., 29 marzo 2022, n. 10016) che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione; si è tuttavia già precisato come i profili di censura che attengono a censura per difetto di motivazione siano da considerarsi inammissibili, posto che involgono, piuttosto, il piano della valutazione in concreto operata dal giudice del gravame delle risultanze probatorie poste alla sua attenzione dalle parti e che, inoltre, il giudice del gravame ha compiuto una valutazione complessiva delle suddette risultanze probatorie, operando secondo il suo prudente apprezzamento al fine di pervenire alla considerazione conclusiva della inesistenza oggettiva delle operazioni;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per travisamento della prova;

in particolare, evidenzia parte ricorrente che: l’accertamento relativo al fatto che il Ri. disponesse di un unico autocarro era stato smentito dalla prova documentale che questi, in realtà, disponeva di un altro automezzo; il fatto che le fatture erano state compilate, almeno in minima parte, dal Ri., mentre le altre risultavano compilate da mani diverse, era smentito dalla documentazione prodotta, in particolare dalla perizia grafologica; la circostanza, infine, che Ri. vendeva solo pianali usati mentre le fatture di vendita del contribuente riguardavano principalmente pianali nuovi era smentita dalla documentazione da cui si evinceva che il contribuente vendeva ai propri clienti solo bancali usati;

il motivo è infondato;

questa Corte (Cass. civ., 21 dicembre 2022, n. 37382) ha precisato che il travisamento della prova, per essere censurabile in cassazione, ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (demostrandum), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (demostratum), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre. E’ inoltre necessario che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio, che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono in modo inequivoco difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito e che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di mera probabilità, ma di assoluta certezza;

nella fattispecie, non può ragionarsi in termini di travisamento della prova, posto che il giudice del gravame ha dato atto di ciò che era risultato dalla prova prodotta dall’amministrazione finanziaria in ordine alla unicità del mezzo di trasporto in ordine alla quale parte ricorrente non prospetta alcuna diversità di contenuto rispetto a quanto tenuto presente nella pronuncia; analogamente deve dirsi con riferimento alla prova relativa all’attività di vendita del Ri. e del contribuente; inoltre, il profilo relativo al contenuto della dichiarazione del Ri. non ha assunto rilevanza ai fini della decisione;

con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo, consistente nel contenuto delle dichiarazioni di Ri., nel prospetto del rapporto tra carico e scarico della merce, nella documentazione relativa alla disponibilità di altro automezzo da parte del Ri., nella mancanza di prova della monetizzazione degli assegni da parte del Ri. e della restituzione del contante da parte del ricorrente, nonché, infine, nel contenuto delle dichiarazioni di terzi;

il motivo è infondato;

va osservato, in termini generali, che, secondo questa Corte, il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi della norma sopra citata, deve essere un fatto storico vero e proprio avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall’aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass. sez. un., 7/04/2014, n. 8053; Cass. civ. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 177761), sicché non costituisce omissione censurabile, ai sensi della norma richiamata, l’omesso esame di elementi istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie, la unicità del mezzo di trasporto a disposizione del Ri.) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

inoltre, il fatto relativo ai registri di carico e scarico risulta esaminato implicitamente dal giudice del gravame, laddove ha accertato che era “risultato che l’attività del Ri. comportasse la vendita di pianali usati, mentre le fatture di vendita del R. riguardavano principalmente pianali nuovi” e che, comunque, “non era stato possibile stabilire se i pianali venduti corrispondessero ai pianali acquistati dal Ri.”;

la circostanza, poi, delle dichiarazioni del Ri. e della mancanza di prova della monetizzazione degli assegni da parte del Ri. attiene ad una questione non conferente con la ragione della decisione, non avendo il giudice del gravame fatto riferimento al contenuto della stessa al fine di individuare gli elementi di prova presuntiva per basare la legittimità della pretesa;

circa, infine, le dichiarazioni di terzi non prese in considerazione dal giudice del gravame, si ribadisce quanto già affermato in sede di esame del secondo motivo di ricorso in ordine al fatto che, in primo luogo, il giudice del gravame ha dato atto, in sede di svolgimento del processo, che il contribuente aveva fatto riferimento, al fine di confutare la valenza della prova presuntiva dell’amministrazione finanziaria, anche alla documentazione contenente le “dichiarazioni testimoniali prodotte dal ricorrente” e che, pur avendo, quindi, dato atto della sussistenza di tale documentazione, il giudice del gravame ha ritenuto che “non si è avuto prova, dai documenti di causa prodotti dal ricorrente, di tale corrispondenza”, il che implica una valutazione di merito in ordine alla non rilevanza probatoria degli stessi;

in conclusione, sono infondati il primo, terzo, quarto motivo, parzialmente infondato ed inammissibile il secondo, con conseguente rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito;

dà atto, ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.