CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 maggio 2019, n. 12155
Tributi – IRPEF – Restituzione all’Inps di pensione percepita indebitamente – Deducibilità dal reddito complessivo del periodo di restituzione – Situazione di incapienza – Diritto al rimborso delle ritenute subite al momento dell’erogazione
Rilevato che
L.C. impugnava il provvedimento di diniego con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rigettato l’istanza di rimborso presentata in data 17 gennaio 2012 che traeva origine da un contenzioso civile dallo stesso intrapreso con l’Inps per la quantificazione della pensione, che si era concluso con sentenza di appello che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ricalcolato la pensione nella misura originaria, con conseguente richiesta, da parte dell’Inps, di restituzione di quanto indebitamente percepito a seguito della sentenza di primo grado.
Con l’istanza di rimborso il contribuente evidenziava che le somme corrisposte all’Inps erano state regolarmente assoggettate a tassazione, per effetto di ritenuta subita dall’ente erogatore, e che pertanto aveva pagato imposte superiori al reddito effettivamente percepito, ma l’Ufficio, pur riconoscendo la sussistenza del credito, aveva rigettato l’istanza di rimborso ritenendo che l’ipotesi era espressamente disciplinata dall’art. 10, comma 1, lett. d-bis, del t.u.i.r., che prevedeva la deducibilità delle somme restituite, ma non il rimborso dell’eccedenza d’imposta versata.
La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso con sentenza che veniva impugnata dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale, che, con la decisione indicata in epigrafe, accoglieva l’appello.
Rilevava che non risultavano errori nel calcolo della richiesta di rimborso, riguardante la sola quota d’imposta, e che non era contestata la circostanza della residenza in Svizzera del contribuente e la presentazione, da parte di quest’ultimo, di dichiarazione dei redditi nello Stato di residenza.
Ritenendo, altresì, sussistente una situazione di incapienza che impediva di operare la deduzione d’imposta invocata dall’Ufficio, sottolineava che «la situazione non era nemmeno prevista dal testo originario dell’art. 10», che era stato modificato ad opera del comma 174 della legge n. 147 del 2013, con la previsione espressa di poter chiedere, in alternativa alla deduzione d’imposta, il rimborso dell’imposta versata in eccesso; dichiarava, quindi, dovuto il rimborso della somma richiesta dal contribuente.
Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l’Agenzia delle Entrate, con un unico motivo.
L.C. resiste mediante controricorso.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso, la difesa erariale censura la sentenza d’appello per violazione degli artt. 10, comma 1, lett. d-bis, e 51, comma 2, lett. h), del d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
Espone che l’art. 10, comma 1, lett. d-bis, del d.P.R. n. 917/1986, nella versione applicabile ratione temporis, stabilisce espressamente che costituiscono oneri deducibili dal reddito «le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti»; per espressa previsione normativa, pertanto, il contribuente che restituisca somme assoggettate a tassazione, può soltanto beneficiare di una deduzione d’imposta, esercitabile nel periodo d’imposta di restituzione e in quelli successivi (sino alla capienza del suo reddito complessivo), mentre è esclusa la possibilità di chiedere direttamente il rimborso dell’eccedenza d’imposta.
Deduce, inoltre, che la Commissione regionale ha posto a fondamento della decisione la novella legislativa recata dalla legge n. 147 del 2013, per effetto della quale l’art. 10, comma 1, lett. d-bis), del d.P.R. n. 917/1986 prevede che il contribuente, in alternativa alla deduzione, possa «chiedere il rimborso dell’imposta corrispondente all’importo non dedotto», che può tuttavia trovare applicazione solo «a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013», ed ha poi valorizzato il dato della residenza estera del contribuente, non tenendo conto che, per effetto dell’art. 51, comma 2, lett. h) del d.P.R. n. 917/1986, non è necessario presentare la dichiarazione dei redditi per ottenere la deduzione, essendo sufficiente, per effetto dell’art. 51, comma 2, lett. h) del d.P.R. n. 917/1986, chiedere al sostituto d’imposta di dedurre dal reddito l’onere in esame.
2. La censura è infondata.
3. Risulta pacifico, in fatto, che il contribuente, in esecuzione della sentenza della Corte di Appello di Venezia pronunciata nell’ambito del contenzioso civile dallo stesso instaurato nei confronti dell’Inps, ha provveduto alla restituzione in favore dell’Ente previdenziale della somma di euro 189.119,21, in un’unica soluzione, a titolo di quanto indebitamente ricevuto dallo stesso ente in forza della sentenza n. 541/2006 del Tribunale di Verona; poiché sulle somme restituite all’Inps sono tate operate ritenute Irpef, il contribuente ha presentato istanza di rimborso ex art. 38 del d.P.R n. 602/1973 al fine di recuperare l’imposta versata in eccedenza in relazione alle annualità 2008 e 2009.
4. L’art. 10, comma 1, lett. d-bis) del d.P.R n. 917/1986, nella formulazione vigente in data antecedente alla novella normativa del 2013, prevede, per i periodi d’imposta anteriori al 2013, la facoltà di beneficiare di una deduzione d’imposta, esercitabile sia nello stesso periodo d’imposta di restituzione che in quelli successivi, sino alla capienza del reddito complessivo.
Soltanto a seguito della modifica apportata dal comma 174 della legge 147 del 2013 all’art. 10, comma 1, lett. d-bis) del d.P.R. n. 917/1986 – non invocabile al caso in esame, in ragione della irretroattività della disposizione normativa applicabile solo a decorrere dal periodo d’imposta 2013 – è stata introdotta la facoltà per il contribuente di poter chiedere, in alternativa alla deduzione d’imposta, il rimborso dell’eccedenza d’imposta.
5. Va, tuttavia, rilevato che, sebbene la norma in esame riconosca al contribuente esclusivamente la facoltà di utilizzare, nella dichiarazione dei redditi, il meccanismo della deduzione dell’onere dalla complessiva base imponibile (e cioè, in sostanza, una forma di restituzione per compensazione), il mancato esercizio di tale facoltà non preclude il ricorso all’ordinario strumento della procedura di rimborso, mediante presentazione della relativa domanda nel termine previsto a pena di decadenza (Cass. n. 25564 del 27/10/2017).
Infatti, l’azione di rimborso di somme indebitamente versate, in materia tributaria, ha portata generale e, pertanto, non può ritenersi preclusa in presenza di ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente (cfr., in tema di imposte sui redditi, in relazione alla presentazione di dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8- bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, Cass. Sez. U., n. 13378 del 2016, e, con riguardo alla richiesta di detrazione del credito d’imposta ex art. 15 del t.u.i.r., Cass. n. 21968 del 2015, nelle quali si è precisato che l’omessa utilizzazione delle indicate procedure comporta soltanto l’impossibilità di fruire, rispettivamente, degli istituti della compensazione e della detrazione in sede di dichiarazione, ma non è precluso il ricorso all’azione di rimborso).
6. Peraltro, l’impossibilità di recuperare per intero, mediante il meccanismo dell’onere deducibile, le imposte trattenute e non dovute – per incapienza del reddito di pensione percepito nell’anno di restituzione delle somme – non esclude ed anzi legittima il ricorso alla procedura di rimborso dei versamenti diretti prevista dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, atteso che il presupposto del diritto al rimborso è integrato non solo dalla inesistenza originaria dell’obbligo di versamento, ma anche dalla inesistenza sopravvenuta, sempre che sia osservato il termine di decadenza previsto dal citato art. 38 (in senso analogo, con riferimento alla inesistenza sopravvenuta dell’obbligo di versamento derivante dalla incompatibilità della norma nazionale impositiva con il diritto domunitario Cass. Sez. U, n. 13676 del 16/6/2014) (Cass. n. 13400 del 30 giugno 2016).
La sentenza impugnata, riconoscendo il diritto al rimborso della somma richiesta, va dunque esente dalla censura ad essa rivolta.
7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, in ragione della peculiarità della questione affrontata, devono essere integralmente compensate tra le parti.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, non si applica l’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Infatti, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
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