CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 dicembre 2020, n. 28083
Accertamento di un rapporto di lavoro subordinato – Testimonianze raccolte – Elementi probatori utili sul tipo di attività svolta – Tardività delle prove documentali – Nuova valutazione del materiale probatorio -Inammissibilità
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Bari, con sentenza n. 939 pubblicata il 2.5.2018, ha respinto l’appello di D.S.M., confermando la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda del predetto volta all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato svolto dall’1.4.2002 al 30.12.2004 alle dipendenze di C.C., titolare dell’omonimo ristorante-pizzeria, e alla condanna di parte datoriale al pagamento delle differenze retributive;
2. la Corte territoriale ha ritenuto che le testimonianze raccolte non fornissero elementi probatori utili né sul tipo di attività svolta dall’appellante né sul destinatario della stessa (da alcune deposizioni era emerso che il predetto aveva svolto attività di guardiania a favore dell’Associazione sportiva C.S. A. presso un immobile concesso in comodato a C.M., marito della C.); in particolare, ha escluso che le prove raccolte dimostrassero un rapporto di lavoro del D.S. alle dipendenze della C.;
3. avverso tale sentenza D.S.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso C.C.;
4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale non partecipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
Considerato che
5. col primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2099, 2104 e 2106 c.c.;
6. si sostiene come dalle prove testimoniali raccolte emergessero tutti gli elementi necessari a dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della C., comproprietaria dell’immobile ove il D.S. svolgeva attività di guardiania e di cameriere;
7. col secondo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., nonché motivazione omessa, insufficiente, contraddittoria e palesemente illogica; violazione dell’art. 111 Cost. e dei principi regolatori del giusto processo;
8. si critica la sentenza d’appello per aver disatteso le risultanze istruttorie favorevoli al lavoratore poggiando la decisione sulla pretesa contraddittorietà e inattendibilità delle dichiarazioni testimoniali; inoltre, per avere la Corte di merito accolto la tesi di parte datoriale dopo aver dichiarato inutilizzabili per tardività le prove documentali da quest’ultima addotte; infine per aver spiegato in modo illogico l’impossibilità di individuare la datrice di lavoro nella C., benché la stessa fosse comproprietaria dei beni su cui era svolta l’attività lavorativa;
9. i due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono inammissibili;
10. le censure, se pure veicolate come violazioni di legge, sono unicamente volte a provocare una nuova valutazione del materiale probatorio e degli argomenti difensivi, non consentita in questa sede di legittimità, anche in ragione della disciplina di cui all’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., sulla c.d. doppia conforme;
11. in particolare, attraverso la dedotta violazione dell’art. 2094 c.c. non è censurata la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, la sola suscettibile di denuncia in sede di legittimità (cfr. Cass., n. 17009 del 2017; Cass., n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999) ma unicamente la valutazione delle risultanze processuali che costituisce, invece, accertamento di fatto non revisionabile in questa sede;
12. neppure può trovare accoglimento la censura di violazione dell’art. 115 c.p.c. che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti; parimenti è da escludere la violazione dell’art. 2697 c.c. atteso che la Corte territoriale ha respinto la domanda per mancato assolvimento dell’onere di prova di esistenza del lavoro subordinato facente capo al lavoratore ricorrente e non ha quindi invertito gli oneri probatori;
13. neanche appare configurabile un vizio di carenza assoluta di motivazione tale da integrare la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., il solo ammissibile a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., S.U. n. 8053 del 2014; S.U. n. 22232 del 2016), in quanto la decisione impugnata reca un percorso argomentativo assolutamente idoneo a rendere percepibile il fondamento della decisione;
14. per le ragioni esposte il ricorso risulta inammissibile;
15. la regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;
16. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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