CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 aprile 2019, n. 10240

Sospensione in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria – Illegittimità – Risarcimento del danno

Rilevato che

La Corte di appello di Torino accoglieva il gravame proposto da A.R. dipendente della N.H.C.M. s.p.a., e condannava al società datrice a corrispondergli il risarcimento del danno risentito per effetto dell’accertata illegittimità della sospensione in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) nel periodo dal 11 ottobre 2009 al 11 ottobre 2010.

La Corte distrettuale, nel richiamare alcuni suoi precedenti confermati dalla Corte di Cassazione, deduceva che la società era rimasta inadempiente agli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 1 comma 7 della legge n. 223 del 1991 con specifico riferimento, in sede di avvio della procedura, all’indicazione delle ragioni della sospensione, dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di quelli adottabili per la rotazione.

I criteri enunciati nella comunicazione del 17.9.2009 erano infatti talmente generici da rendere impossibile qualunque valutazione di coerenza tra il criterio indicato e la selezione del lavoratore da collocare in cassa integrazione straordinaria.

Con riferimento poi ai verbali di esame congiunto ed agli accordi, compresi quelli per il distacco, intervenuti successivamente all’inizio della procedura, la Corte territoriale ne ha escluso l’efficacia sanante degli originari vizi richiamando al riguardo alcune pronunce della Cassazione in tal senso.

Ha precisato che comunque il verbale di esame congiunto con le associazioni sindacali non è idoneo a sanare i vizi della procedura consistenti nella mancata indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere o delle modalità di rotazione. Da ultimo, ha affermato che la circostanza che la comunicazione debba essere sufficientemente precisa indicando criteri di scelta basati su elementi oggettivi e verificabile, è finalizzata al riscontro dell’effettività in concreto delle condizioni che richiedono la rotazione e della scelta dei lavoratori coinvolti.

Per la Cassazione della sentenza N.H.C.M. s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso l’intimato. La società ha depositato memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c.

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella conclusione – in data 7 ottobre 2009 e dunque prima della sospensione in CIGS dei lavoratori del 12 ottobre 2009 – con le OO.SS e la RSU (compresi i rappresentanti eletti nelle liste del sindacato cui aderiva anche il ricorrente) di un contratto collettivo aziendale per il ricorso alla integrazione salariale straordinaria. Sostiene la società che tanto sarebbe bastato per ritenere che, per effetto della sottoscrizione dell’accordo, si era pervenuti alla decisione consensuale di procedere alla sospensione dei rapporti in CIGS a far data dal 12 ottobre 2009.

Sottolinea inoltre che, sempre in data antecedente l’inizio della sospensione la determinazione concordata di procedere alla CIGS era stata confermata con la sottoscrizione dell’accordo firmato in data 8 ottobre 2009 dalle stesse RSU. Precisa infine che in tali accordi le parti avevano dato atto della necessità di ricorrere alla CIGS riservandosi di verificare l’esistenza delle condizioni per procedere ad una rotazione del personale interessato. In ogni caso, il lavoratore, per non subire gli effetti degli accordi sottoscritti con le RSU, avrebbe dovuto diffidare il sindacato dal rappresentarlo e, comunque, avrebbe dovuto tempestivamente impugnarli posto che, in caso contrario, la condotta acquiescente integra un comportamento concludente nel senso della loro accettazione.

In definitiva, secondo la Società ricorrente, la sottoscrizione dell’accordo sindacale sanerebbe gli eventuali vizi della comunicazione iniziale e la bontà di tale ricostruzione sarebbe confermata dalla scelta operata dal legislatore, con l’art. 1 comma 45 della legge n. 92 del 2012, che ha previsto che nell’ambito della mobilità (ben più rilevante quanto agli effetti sul rapporto) i vizi della procedura sono sanabili con accordo sindacale.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 12 comma 1 delle preleggi e degli artt. 1337, 1338 e 1227 c.c..

Richiamata l’efficacia sanante degli accordi intervenuti prima della collocazione in CIGS dei lavoratori, la società si duole della omessa considerazione da parte della Corte di appello delle eccezioni in tal senso sollevate nella memoria di costituzione in appello. Sotto altro profilo, poi, evidenzia che il giudice di appello avrebbe omesso di considerare che le RSU nel concludere accordi in tema di distacco dei lavoratori avevano prestato acquiescenza all’ accordo presupposto sulla sospensione in CIGS. Per conseguenza la Corte territoriale ritenendo che il lavoratore non fosse vincolato agli accordi avrebbe erroneamente applicato le disposizioni denunciate nella premessa del motivo in tema di acquiescenza. Infine rammenta che la partecipazione alle trattative sindacali da parte del rappresentante del sindacato cui aderiva il lavoratore, senza la formulazione di alcuna riserva da parte di quest’ultimo, avrebbe dovuto convincere il giudice di appello, al quale l’eccezione era stata proposta, della violazione degli artt. 1337 e 1338 c.c. ed escludere il diritto del lavoratore al chiesto risarcimento del danno.

3. Con il terzo ed il quarto motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.1 comma 7 della legge n. 223 del 1991 e degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n.3.

Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, dalla comunicazione del 17.9.2009 si evinceva che la sospensione dell’attività sarebbe stata continuativa in considerazione della grave crisi di settore ed avrebbe interessato tutti i lavoratori per dodici mesi. Eventuali rotazioni sarebbero state successivamente concordate con le organizzazioni sindacali tenuto conto della specifica professionalità dei singoli dipendenti.

La gravità della crisi, mai contestata nella sua oggettività neppure da parte del lavoratore, rendeva impossibile pronosticare in che percentuale sarebbero stati necessari lavoratori con la conseguenza che nell’interpretare le disposizioni applicabili la Corte di merito avrebbe dovuto fare riferimento a criteri più elastici e meno formalisti.

4. Le enunciate questioni sono state già esaminate da questa Corte in più occasioni, anche con specifico riferimento alla medesima procedura (v. Cass. ord., 20.12.2016 n. 26394 e arresti ivi richiamati, nonché Cass. 11.5.2017 nn.11600 e n.11601).

Dovendosi dare continuità alla soluzione ivi accolta, in assenza di motivi che determinino un ripensamento, deve ritenersi che i primi due motivi, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Va ribadito in via di premessa, richiamando le argomentazioni già formulate nei richiamati dicta, che nel procedimento per la concessione della c.i.g.s. la normativa regolamentare introdotta con il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218 non presenta profili di incompatibilità con le disposizioni della legge 23 luglio 1991 n. 223. La disciplina regolamentare si limita ad imporre all’imprenditore che intenda chiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale l’obbligo di dare tempestiva comunicazione alle organizzazioni sindacali ed attiene unicamente alla fase amministrativa di concessione dell’ integrazione stessa ma non incide sul contenuto concreto della comunicazione né detta alcuna disciplina in ordine ai criteri di scelta.

Ne consegue che restano inalterati gli obblighi di rilevanza collettiva dì cui all’art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 citata ed i criteri di scelta e le modalità della rotazione devono essere precisati sin dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di integrazione salariale e non sono stati spostati a quello, immediatamente successivo, dell’esame congiunto (cfr. Cass. 12.12.2011 n. 26587, Cass. 11.1.2016 n. 193). Diversamente opinando, il contenuto della norma di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 218, citato, sarebbe del tutto estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo, e avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con la compressione dei diritti d’informazione spettanti al sindacato, reclamando un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (Cass. ult. cit.). Va ribadito allora che in riferimento “alla possibilità di una efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta, occorre pure rammentare che essa è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione è strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali. Né può essere ammessa, con effetto retroattivo, rispetto a scelte in concreto già operate” (Cass. 11.3.2015, n. 4886, anche per richiamo di: Cass. 12.12.2011, n. 26587; Cass. 9.6.2009, n. 13240; Cass. 1.7.2009, n. 15393).

Ne segue che, anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il vizio della comunicazione di avvio della procedura non può essere sanato con un successivo accordo.

Per effetto della proposta ricostruzione rimangono assorbite le censure che attengono alla pretesa violazione dell’art.112 c.p.c. in relazione al denunciato omesso esame delle censure che investivano specificatamente l’incidenza degli accordi sopravvenuti sulla comunicazione aziendale di avvio della procedura.

5. Neppure il terzo e quarto motivo sono fondati.

Occorre anche a tale proposito ribadire che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale investe il merito in ordine al contenuto dell’atto negoziale, sicché è nella competenza esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11.3.2015, n. 4886; Cass. 6.5.2014, n. 9705; Cass. 2.10.2013, n. 22540).

Ed infatti, da esse sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 1, settimo comma I. 223/1991; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11.3.2015, n. 4886; Cass. 8.9.2014, n.  18895; Cass. 14.5.2012, n. 7459).

Con particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato (Cass. 2.10.2013, n. 22540; Cass. 7.11.2013, n. 25100) che l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che “un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma  esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (Cass. 1.7.2009 n. 15393, richiamante Cass. 23.4.2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass. s.u. 11.5.2000, n. 302). Si aggiunga poi che in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s., l’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991 nel prevedere a carico del datore di lavoro un obbligo di comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali e provinciali dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché delle modalità della rotazione prevista dal successivo comma 8 (ovvero dei criteri alternativi ove tale meccanismo non sia stato adottato per ragioni di ordine tecnico e organizzativo ritenute meritevoli di accoglimento), appresta una garanzia di natura procedimentale ed opera su un duplice piano di tutela – delle prerogative sindacali e delle garanzie individuali – assolvendo alla funzione di porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di assicurare al lavoratore, potenzialmente interessato alla sospensione, la previa individuazione dei criteri di scelta e la verificabilità dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro. Ne consegue che la violazione delle regole del procedimento incide direttamente sulla legittimità del provvedimento amministrativo di concessione dell’intervento straordinario di integrazione salariale che non può essere assentito ove non sia stato indicato e comunicato né il criterio della rotazione né altro criterio che individui, in alternativa a quest’ultimo, i lavoratori da sospendere (cfr. Cass. n. 19618 del 2011 e molte altre successive cfr. tra le tante Cass. 12089 del 2016). La ricorrente sostiene che tali criteri selettivi non sarebbero necessari a fronte della deliberata scelta di sospendere tutto il personale in servizio. Tale circostanza non emerge tuttavia dalla lettura della comunicazione né dai successivi accordi ove sempre si fa riferimento alla sospensione di “un numero massimo di 727 lavoratori occupati presso il sito di San Mauro Torinese”.

Dal tenore letterale della clausola, “un numero massimo di”, si evince proprio che il datore di lavoro non ha inteso necessariamente procedere alla sospensione di tutti i dipendenti ma si è riservato di sospenderne anche un numero inferiore con conseguente necessità di individuare criteri oggettivi per la loro individuazione.

Di tanto dà correttamente atto la Corte di appello con motivazione che non trascura nessun fatto allegato dalle parti nel giudizio tanto meno l’allegata grave crisi del settore che costituisce il presupposto della riduzione delle attività imprenditoriali.

6. In conclusione il ricorso, in quanto infondato, dev’ essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, con distrazione ex art. 93 c.p.c..

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dei difensori antistatari.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.