CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 20855 depositata il 18 luglio 2023

Lavoro – Licenziamento – Procedura di mobilità – Reintegrazione della lavoratrice – Cessazione degli appalti di servizi – Individuazione dei lavoratori da licenziare – Comunicazione di apertura della procedura – Esigenze tecnico-produttive ed organizzative – Unità produttiva da sopprimere – Art. 5 della L. n. 223/1991 – Comunicazione scritta dei criteri di scelta applicati – Rigetto

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Catania, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado, con cui era stato annullato il licenziamento intimato a S.L.P. da parte di A.M. S.r.l., all’esito di una procedura ex lege n. 223 del 1991, con condanna della società alla reintegrazione della lavoratrice, oltre alle statuizioni economiche conseguenziali.

2. La Corte – in estrema sintesi e per quanto qui ancora rileva – ha dato atto che la procedura di mobilità era stata avviata in ragione della cessazione degli appalti di servizi di due comuni, concernenti l’assistenza domiciliare agli anziani e la gestione dei centri di incontro per anziani, con licenziamento del personale ivi addetto; ha ritenuto che della operazione, che la società affermava aver compiuto, “di comparazione di tutto il personale aziendale, accorpato per profili, tenendo conto delle mansioni prevalentemente svolte, della professionalità e delle diverse esperienze acquisite e maturate dagli addetti nei vari servizi, da cui sarebbe emersa l’infungibilità del profilo di addetto agli anziani rispetto agli altri profili professionali”, non vi era traccia nella comunicazione finale della procedura.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con quattro motivi; ha resistito con controricorso l’intimata.

4. La Procura Generale ha depositato memoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

1. I motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito.

2. Il primo denuncia: “Violazione degli artt. 1175, 1375, 1362, 1366 c.c.; artt. 4 e 5 l. n. 223 del 1991 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)”; si contesta che la società nell’appello non avesse sottoposto a gravame l’assunto del Tribunale secondo il quale, nella comunicazione di chiusura della procedura di licenziamento collettivo, A.M. Srl si fosse limitata a dichiarare che non si poneva alcun problema di scelta per essere venuti meno i servizi appaltati.

3. Col secondo motivo ancora si deduce: “Violazione degli artt. 1175, 1375, 1362, 1366 c.c.; artt. 4 e 5 l. n. 223 del 1991 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)”; si argomenta che l’espressione utilizzata nella comunicazione ex art. 4, comma 9, l. n. 223 del 1991 – “non si pongono problemi di scelta in quanto sono stati licenziati tutti gli addetti all’assistenza domiciliare” – non significava che la società non avesse “proceduto al licenziamento degli addetti al servizio, senza effettuare la comparazione con tutti gli altri lavoratori”; si sostiene che, a seguito della “incontestata cessazione del servizio di assistenza agli anziani”, la società avrebbe, nell’ordine: effettuato la comparazione su tutta l’azienda; accorpato i dipendenti per profili professionali, tenendo conto delle mansioni precedentemente svolte, delle professionalità e delle diverse esperienze acquisite dagli addetti nei vari servizi; all’esito di siffatta comparazione, “emergendo l’infungibilità del profilo dei dipendenti addetti agli anziani e degli altri profili professionali, ha proceduto ad intimare la risoluzione del licenziamento a tutti i dipendenti del servizio cessato”.

4. Le stesse violazioni di legge si denunciano con il terzo mezzo, sostenendo che, in ipotesi di cessazione di servizi presi in appalto, la scelta dei lavoratori da licenziare è “oggettivata” dal nesso causale che necessariamente lega la ragione organizzativa e produttiva posta a fondamento del recesso con la posizione lavorativa non più necessaria.

5. Con l’ultimo motivo di ricorso, oltre a denunciare le medesime violazioni di legge di cui alle censure che precedono, si lamenta anche l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; si sostiene che la Corte territoriale, nel valutare l’operato aziendale, avrebbe “esclusivamente tenuto conto della categoria/livello di inquadramento, senza valutare in alcun modo il profilo professionale; anziché giudicare la corrispondenza a principi di correttezza e buona fede della comparazione per profili prevalenti”. Ci si duole anche che la Corte di Appello abbia rigettato la prova “chiesta in primo grado e reiterata in appello”.

6. I motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente per le loro reciproche connessioni rese palesi dalle denunce delle medesime norme di diritto, non possono trovare accoglimento alla stregua di consolidati principi di legittimità che in questa sede vanno ribaditi.

7. In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, ferma la regola generale di cui al primo comma dell’art. 5, l. n. 223 del 1991, secondo cui “l’individuazione dei lavoratori da licenziare” deve avvenire avuto riguardo al “complesso aziendale” (cfr. Cass. n. 5373 del 2019), questa Corte ha sancito sì che la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale possa essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale, ma “purché il datore indichi nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti”, con la conseguenza che “qualora nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell’obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali” (Cass. n. 4678 del 2015; Cass. n. 22178 del 2018; Cass. n. 12040 del 2021).

8. La delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento è, peraltro, condizionata – come anche recentemente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 981 del 2020; Cass. n. 14800 del 2019) – agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto, non potendo rappresentare l’effetto dell’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma dovendo essere giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale adeguatamente esposte nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, onde consentire alle OO.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere (ex plurimis: Cass. n. 32387 del 2019; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 880 del 2013; Cass. n. 22825 del 2009).

9. Ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, infatti, è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991, ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze e che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (sin da Cass. n. 8474 del 2005 e, più di recente, Cass. n. 15953 del 2021; Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015; Cass. nn. 2429 e 22655 del 2012; Cass. n. 9711 del 2011), ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi (da ultimo v. Cass. n. 2390 del 2022; in precedenza: Cass. n. 13783 del 2006; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 15953 del 2021).

10. In particolare, non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 9711 del 2011; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 19105 del 2017; Cass. n. 16834 del 2019; Cass. n. 3628 del 2020).

11. Sicché, la comparazione dei lavoratori – al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità – non deve necessariamente interessare l’intero complesso aziendale, ma può avvenire (secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico – produttive) nell’ambito della singola unità produttiva, purché la predeterminazione del limitato campo di selezione sia giustificata dalle suddette esigenze tecnico-produttive ed organizzative che hanno dato luogo alla riduzione del personale; deve escludersi la sussistenza di dette esigenze ove i lavoratori da licenziare siano idonei – per acquisite esperienze e per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti o sedi (tra le recenti v. Cass. nn. 21306, 18416 e 2221 del 2020; in precedenza Cass. n. 13783 del 2006; Cass. n. 21015 del 2015).

12. In altri termini, l’individuazione della platea dei lavoratori interessati non può coincidere automaticamente con quelli addetti all’unità produttiva da sopprimere, senza una ulteriore specificazione relativa alle mansioni effettivamente svolte e alla loro comparabilità con quelle dei lavoratori degli altri settori o unità dell’impresa (cfr. Cass. n. 13953 del 2015; Cass. n. 21015 del 2015; Cass. n. 22672 del 2018; Cass. n. 21886 del 2020).

13. Ancora da ultimo si è statuito: «In tema di licenziamenti collettivi, ai fini dell’applicazione dei criteri di scelta dettati dall’art. 5 della l. n. 223 del 1991, la comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità deve avvenire nell’ambito dell’intero complesso organizzativo e produttivo ed in modo che concorrano lavoratori di analoghe professionalità (ai fini della loro fungibilità) e di similare livello, rimanendo possibile una deroga a tale principio solo in riferimento a casi specifici, ove sussista una diversa e motivata esigenza aziendale, onde evitare che il datore di lavoro finalizzi surrettiziamente detti criteri, eventualmente in collegamento con preventivi spostamenti di personale, all’espulsione di elementi non graditi, senza che questi abbiano concrete possibilità di difesa; ne consegue l’illegittimità della scelta in ragione dell’impiego dei lavoratori da porre in mobilità in un reparto soppresso o ridotto, senza tener conto del possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altri settori aziendali» (Cass. n. 33889 del 2022).

14. In considerazione dei richiamati principi può essere esaminata la fattispecie che occupa il Collegio.

15. La parte datoriale, ove avesse voluto limitare la comparazione dei lavoratori licenziabili ad un determinato settore di attività, avrebbe dovuto, sin dalla comunicazione di avvio della procedura ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, specificare le ragioni che consentissero di limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta, attraverso la necessaria correlazione tra le esigenze tecnico-produttive e organizzative indicate a fondamento del progetto di riduzione e l’individuazione dell’unità produttiva o del settore in questione, anche al fine di consentire alle organizzazioni sindacali, in sede di esame congiunto, di svolgere consapevolmente la loro fisiologica funzione di controllo.

16. In ogni caso, poiché a mente dell’art. 4, comma 9, della l. n. 223 del 1991, l’impresa deve comunicare per iscritto agli organi competenti, tra l’altro, la “puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1”, la società oggi ricorrente avrebbe dovuto specificare, in mancanza di accordo sindacale che, peraltro, imponeva che i tre criteri di scelta legale operassero “in concorso tra loro”, il modo attraverso il quale erano stati individuati i soggetti da licenziare. Non era certo sufficiente la mera indicazione dell’adibizione dei licenziati ai servizi soppressi per cessazione dell’appalto, sull’errato assunto in diritto che, in ragione di tale circostanza, non si ponessero “problemi di scelta”, senza alcuna ulteriore specificazione – nella comunicazione stessa, di modo da rendere trasparente e controllabile ex ante la selezione operata dalla società (in argomento v., da ultimo, Cass. n. 33623 del 2022) – delle capacità professionali dei lavoratori licenziati (cfr. Cass. n. 6086 del 2021) e delle ragioni che non consentivano la comparabilità con quelle dei lavoratori degli altri settori dell’impresa.

17. Tanto in ossequio alla giurisprudenza innanzi richiamata che, per l’applicazione dei criteri di scelta in ambito più ristretto, sancisce l’efficacia dirimente della infungibilità professionale rispetto al complesso dei dipendenti in forza all’impresa, mentre la sola autonomia funzionale della struttura o del servizio non è di per sé sufficiente per limitare la platea dei licenziandi ai soli lavoratori addetti all’unità soppressa.

18. In ragione di quanto precede, il ricorso deve essere complessivamente respinto, con spese regolate secondo soccombenza e liquidate come da dispositivo.

19. Occorre, altresì, dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge con distrazione in favore del Difensore della controricorrente dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.