CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 settembre 2018, n. 21976
Rapporto di lavoro – Agenzia assicurativa – Licenziamento – Stipula di contratti con i clienti al di fuori dei locali dell’agenzia
Rilevato
che la Corte di Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità, per inosservanza della procedura prevista dall’art. 7 I. n. 300/1970, del licenziamento intimato da C.S. a V.G.G., addetto presso l’agenzia assicurativa del C. alla stipula dei contratti e alla gestione delle pratiche assicurative con i clienti anche al di fuori dei locali dell’agenzia; condannava il C. a versare un’indennità commisurata a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre al pagamento della complessiva somma di € 32.304,95, così determinata dal c.t.u. nominato nel giudizio di secondo grado, per retribuzioni non corrisposte, indennità sostitutiva delle ferie, compenso per lavoro straordinario e indennità di preavviso; che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C. sulla base di due motivi;
che il lavoratore si è costituito con controricorso;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.,
è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;
Considerato
che con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c. c. 1 e 4, in quanto dalla motivazione non sarebbe evincibile la ratio decidendi riguardo alla richiesta di richiamo del CTU. Osserva che la Corte territoriale, a seguito delle contestazioni sollevate dal C., ha ritenuto pienamente condivisibili i calcoli del C.T.U., omettendo di motivarne l’adesione alla luce delle pertinenti contestazioni ovvero le ragioni dell’omesso richiamo;
che il motivo è inammissibile, poiché si limita a riprodurre, mediante la tecnica del ricorso assemblato, gli atti processuali concernenti l’indagine tecnica, in difetto di specifiche indicazioni riguardo alle censure, svolte con riferimento all’operato del C.T.U. e agli esiti della consulenza, che non sarebbero state esaminate dal giudice del merito, nel rispetto dei canoni previsti dall’art. 366 c.p.c., né individua le ragioni in forza delle quali non risulterebbe comprensibile la ratio della decisione circa la richiesta di richiamo del c.t.u. (sulla inammissibilità, per carenza dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., del ricorso contenente la pedissequa riproduzione degli atti processuali Cass. n. 10244 del 02/05/2013; in tema di sindacato sulla sufficienza della motivazione che aderisca alla c.t.u. espletata si veda, inoltre, Cass. n. 11482 del 03/06/2016: <In tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità>);
che con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c. c. 1 n. 4 per contrasto irriducibile tra parti della medesima. Osserva che in ragione del mandato conferito il consulente tecnico avrebbe dovuto tenere conto degli importi delle buste paga sottoscritte in atti e del bonifico per il mese di ottobre 2005, laddove egli aveva tenuto conto esclusivamente di una busta paga, pur essendo presente in atti altro cedolino illeggibile, senza esercitare i poteri conferiti dall’art. 194 c.p.c. di domandare chiarimenti alle parti. Rileva che in tal modo i conteggi del c.t.u. sono incoerenti con l’incarico conferito e la sentenza è nulla per contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili;
che anche il secondo motivo è inammissibile, poiché la censura formulata in termini di contrasto irriducibile tra parti della sentenza non trova rispondenza nelle argomentazioni a sostegno della medesima, riguardanti mancanze concernenti l’indagine tecnica e non l’impianto motivazionale della decisione;
che con il terzo motivo il ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.), osservando che l’impugnazione concerne il capo della sentenza con cui si aderisce alle indagini peritali senza verificare la correttezza dei conteggi, mediante richiamo del ctu a chiarimenti in ordine specificamente alla busta paga sottoscritta non valutata dal consulente, quest’ultima avente carattere decisivo per il giudizio circa gli importi già corrisposti al V.;
che anche il terzo motivo è inammissibile poiché non delinea l’omesso esame di un fatto decisivo, riguardando, piuttosto, le doglianze la presunta omessa valutazione di un elemento istruttorio (busta paga ritenuta illeggibile). Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite <il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso>(così Cass. n. 8053 del 07/04/2014);
che, in base alle svolte argomentazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate il complessivi € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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