CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2022, n. 5098
Tributi – TIA – Esclusione – Locali inidonei a produrre rifiuti urbani – Locali stabilmente riservati ad impianti tecnologici, come celle frigorifere, cabine elettriche, silos, locali di essicazione e stagionatura senza lavorazioni
Rilevato che
A.E. e T. S.p.A. (di seguito anche solo A. S.p.A.) propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 606/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma in accoglimento del ricorso proposto da P. S.p.A. avverso avviso di accertamento TIA 2006-2008;
la società contribuente resiste con controricorso;
entrambe le parti hanno infine depositato memoria difensiva
Considerato che
1.1. con il primo mezzo si censura la sentenza lamentando omessa pronuncia relativamente al denunciato vizio di extrapetizione della sentenza di primo grado, essendosi pronunciata la Commissione Tributaria Provinciale su atto non impugnato dalla contribuente;
1.2. con il secondo motivo si lamenta violazione di norme di diritto (art. 21 D.Lgs. n. 546/1992, art. 39 c.p.c.) e mancanza di motivazione per avere la Commissione Tributaria Regionale affermato che il provvedimento di rettifica, in diminuzione, impugnato nella presente sede, aveva <<senza alcun dubbio sostituito il primo atto di recupero>>, già impugnato innanzi al Giudice tributario, ritenendo quindi tempestiva l’impugnazione del secondo atto notificato;
1.3. con il terzo motivo si lamenta violazione di norme di diritto (art. 49 D.Lgs. n. 22/1997, DPR n. 158/1999) nonché <<vizio di motivazione per difetto di analisi ed incoerenza del ragionamento>> lamentando che la Commissione Tributaria Regionale non abbia tenuto conto delle doglianze dell’appellante circa l’erroneità della superficie dichiarata dalla contribuente in quanto non comprensiva delle superfici aventi destinazione <<spogliatoio riscaldato, wc, banchina, disimpegno, … magazzini … a temperatura controllata>>, che non potevano ritenersi disciplinate dall’art. 8 del Regolamento TIA del Comune di Ciampino, che prevede come esenti da tassazione i <<locali riservati ad (i) impianti tecnologici, quali … celle frigorifere …(ii) ove non si abbia di regola presenza umana>>;
2. la prima censura è infondata atteso che, come costantemente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. nn. 25154/2018, 1876/2018, 22083/2013, 1701/2009), il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito;
3.1. il secondo motivo va parimenti disatteso;
3.2. va premesso che, a seguito dell’autoannullamento parziale con provvedimento recante n. 128/2012, impugnato con il ricorso introduttivo, l’oggetto del contendere deve essere individuato nella minor pretesa impositiva così espressa dalla società odierna ricorrente (rideterminazione dell’importo in recupero del tributo dovuto quale tariffa d’igiene ambientale (TIA) sia per riduzione delle superfici sia per abbattimento integrale delle sanzioni);
3.3. l’autoannullamento è stato dichiaratamente disposto da A. S.p.A. in seguito ad istanza di riesame da parte della contribuente riconoscendo una riduzione della pretesa impositiva;
3.4. è stata prodotta in giudizio certificazione relativa al passaggio in giudicato della pronuncia n. 4224/2018 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, relativamente all’impugnazione del primo avviso di accertamento (nr. 175/2011), emesso nei confronti di P. S.p.A., ha confermato la pronuncia di primo grado di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere sul presupposto della <<sostituzione e … annullamento dell’avviso di accertamento n. 175/2011>> dal <<successivo avviso n. 128/12>>, oggetto del presente giudizio;
3.5. in particolare, la Commissione Tributaria Regionale, con la pronuncia citata, ha espressamente affermato che <<dall’adozione da parte del Concessionario del successivo provvedimento n° 128/2012, indipendentemente da quale possa esserne la sorte all’esito dell’instaurato giudizio per cassazione, consegue che la situazione giuridica intercorrente tra le parti non risulti più disciplinata dall’atto n° 175/2011 … (i)n ordine al quale legittimamente andava quindi dichiarata l’estinzione del giudizio>>;
3.6. è diritto d’uopo dunque rilevare che questa Corte (cfr. sentenza n. 1048/2000 delle Sezioni Unite, chiamate a dirimere l’afferente contrasto) ha affermato e, di poi (cfr. Cass. nn. 4167/2020, 4714/2006, 3122/2003, 12090/2002, 11429/2002, 10977/2002, 9332/2001), ribadito che: 1) la pronuncia di cessazione della materia del contendere costituisce, in seno al rito contenzioso ordinario (privo, al riguardo, di qualsivoglia, espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale; 2) all’emanazione di una sentenza di cessazione della materia del contendere consegue, da un canto, (a) la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passati in cosa giudicata, e, dall’altro, b) la sua assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, essendo tale efficacia di giudicato limitata al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (con l’ulteriore conseguenza che il giudicato può dirsi formato solo su tale circostanza, ove la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa);
3.7. il riprodotto principio (specie per quanto concerne l’affermata inidoneità ad <<acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere>>, <<perché accerta solo il venire meno dell’interesse>>), come già rilevato da questa Corte (cfr. Cass. n. 21529/2007) non può tuttavia essere trasferito sic et simpliciter nel vigente processo tributario, non solo (e non tanto) per la, comunque significativa, espressa previsione (ricordata anche dalle SS.UU.) in tale processo (D.Lgs. n.546 del 1992, art. 46, comma 1) dell’istituto della <<cessazione della materia del contendere>> quale situazione determinativa dell’estinzione di detto processo, quanto (e soprattutto): (a) a causa del permanere della sostanziale, ineliminabile ineguaglianza delle parti del rapporto (sostanziale) tributario – la quale trova conferma nella (pacifica) natura (meramente) impugnatoria di tale processo (cfr. Cass. n. 24064/2006 nonché n. 22010/2006), con la (conseguente) inammissibilità di qualsivoglia potere del contribuente di agire in accertamento negativo della pretesa fiscale (cfr. Cass. n. 9181/2003; già, Cass., S.U. n. 10999/1193 per la quale, peraltro, <<con ciò non viene ad essere violato alcun principio costituzionale o comunitario, perché il diritto del contribuente non rimane affatto privo di tutela, ma solo questa viene assicurata nel momento utile in cui la lesione del diritto, con l’atto impositivo, si presenti concreta ed attuale>>, oltre che sent. n. 7706/1993) – nonché (b) nella non necessaria partecipazione del contribuente alla formazione di quella situazione che, determinando il <<venire meno dell’interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio>>, impone al giudice di dichiarare (anche d’ufficio) la <<cessazione della materia del contendere>>;
3.9. con riguardo alla nozione di cessazione della materia del contendere, invero, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo differenziato la specifica ipotesi così definita dal legislatore con il L. n. 1034 del 1971, art. 23, comma 7 – costituita dall’annullamento o dalla riforma dell'<<atto impugnato in modo conforme alla istanza del ricorrente>> da parte dell’amministrazione (ovverosia, si dice, in presenza di un atto nuovo, a contenuto definitivamente realizzativo di un risultato non inferiore per il ricorrente a quello ritraibile dal giudicato) – da altre situazioni caratterizzate solo dalla sopravvenuta carenza di interesse, specificando (cfr. Cons. Stato, n. 1223/2006) che questa sopravvenuta carenza può contraddistinguere, in senso più ampio, solo le fattispecie in cui l’atto impugnato abbia comunque cessato di produrre i suoi effetti (perfino nel caso in cui sia stato sostituito da altro atto identico a seguito di rinnovazione del procedimento), o, comunque, il processo non possa, per qualsiasi motivo, produrre un risultato utile per il ricorrente;
3.10. l’esposta distinzione – tenuto conto della natura di atto amministrativo propria del provvedimento di accertamento o di liquidazione delle imposte oggetto della cognizione del giudice tributario-, in considerazione della sua maggiore aderenza alla delineata struttura del processo tributario ed in carenza di qualsivoglia elemento ostativo, deve porsi anche per il processo tributario, nel quale, quindi, al di là dell’espressione conclusiva usata dal giudice tributario, deve ammettersi la possibilità di distinguere gli effetti della pronuncia di declaratoria di cessazione della materia del contendere a seconda che la stessa rispecchi l’effettivo recepimento, nell’atto dell’Ufficio che l’ha determinata, dell’<<istanza del ricorrente>> ovvero derivi dalla mera cessazione degli effetti dell’atto annullato;
3.11. in coerenza logica con le osservazioni che precedono va, quindi, affermato che la sentenza del giudice tributario dichiarativa della cessazione della materia del contendere produce effetti diversi a seconda che siffatta declaratoria discenda dall’intervenuta adozione di un atto che (come dispone la L. n. 1034 del 1971 art. 23, comma 7), realizzi l'<<istanza>> del contribuente ovvero, in via generale, dal mero riscontro del venir meno dell’atto impugnato per effetto dell’unilaterale determinazione dell’Ufficio;
3.12. l’accertamento, necessariamente insito nella declaratoria di cessazione della materia del contendere pronunciata in conseguenza dell’intervenuta definitiva realizzazione dell’interesse del contribuente, di siffatta realizzazione, costituisce accertamento di fatto anche di detta realizzazione e, quindi, implicita statuizione sulla definitività della stessa;
3.13. la relativa pronuncia del giudice tributario, pertanto, non può essere posta nel nulla unilateralmente dall’Ufficio con atto di autotutela perché il D.P.R. 27 marzo 1992, art. 68, n. 287 (poi abrogato dal D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107, art. 23), al suo primo comma, attribuiva agli <<uffici dell’Amministrazione finanziaria>> il potere (<<possono>>) di <<procedere all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell’atto>>, soltanto se non fosse <<intervenuto giudicato>>, ovverosia, se non fosse intervenuta una decisione non più impugnabile avente influenza sulla pretesa sostanziale che l’Ufficio intende annullare;
3.14. volendo estrarre, dunque, dai principi affermati da questa Corte nella sentenza citata, i loro aspetti salienti, e volendo considerare questi, per la loro essenzialità, come elementi di caratterizzazione delle nozioni esemplificate di cessazione della materia del contendere e della carenza sopravvenuta di interesse, si può quindi notare che: (a) la cessazione della materia del contendere ricorre quando viene meno l’atto della cui legittimità si discute, l’atto, cioè, lesivo di quel che deve essere ritenuto come l’interesse materiale soggettivo oggetto della tutela giurisdizionale tributaria; (b) al contrario, nella carenza sopravvenuta di interesse non viene meno l’atto impugnato, né tanto meno la sua illegittimità, ma cessa l’interesse del soggetto all’annullamento;
3.15. l’interesse che viene meno nella seconda figura non coincide affatto con l’interesse che, nella prima nozione, potrebbe essere definito come l’interesse materiale tutelato, in quanto esso è, al contrario, meramente processuale, è l’interesse ad agire propriamente detto, di cui all’art. 100 c.p.c.;
3.16. alla luce di questa impostazione, è evidente che l’interesse della cui carenza sopravvenuta si discorre non potrà mai attenere all’oggetto del giudizio, al merito del processo, ma la sua esistenza rileverà solo come un presupposto processuale;
3.17. in sintesi, la cessazione della materia del contendere impedisce il passaggio al merito del processo, la carenza sopravvenuta d’interesse elimina il merito stesso;
3.18. nel caso in esame, la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale n. 4224/2018 ha accertato, con efficacia di giudicato, che la <<situazione giuridica intercorrente tra le parti non risult(ava)… più disciplinata dall’atto n° 175/2011>>;
3.19. il collegamento della cessazione della materia del contendere col venir meno dell’oggetto del giudizio esclude, quindi, di per sé, che la pronuncia possa essere considerata come meramente processuale;
3.20. va conseguentemente disattesa la censura della ricorrente circa la dedotta tardività dell’impugnazione del primo atto impositivo e l’inammissibilità dell’impugnazione avverso il secondo atto impositivo, che si assume non aver sostituito il primo avviso di accertamento;
4.1. va respinto anche il terzo motivo;
4.2. la TARSU (ma la disciplina vale anche per la TIA) è dovuta, ai sensi dell’art. 62, comma l, del d.lgs. n. 507 del 1993, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre la regola stabilita dall’art 62 comma 3° del d. l.vo nr. 507 del 1993, che consente l’esclusione di quella parte di superficie in cui per struttura e destinazione si formano esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o non assimilati non opera in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti (cfr. da ultimo Cass. 11135/2019);
4.3. tale principio rileva anche in materia di TIA, perché codesta rappresenta – come ormai definitivamente chiarito – una mera variante della TARSU, conservando anche la relativa qualifica di tributo (cfr. C. cost. n. 238/2009; Cass. n. 300/2009 (ord.) e n. 64/2010 (ord), nonché sez. un. 14903/2010 e, da ultimo, sez. un. n. 25929/2011);
4.4. restano esclusi dalla TIA, come nel passato, i locali inidonei a produrre rifiuti urbani come i locali stabilmente riservati ad impianti tecnologici (es. celle frigorifere, cabine elettriche, silos, locali di essicazione e stagionatura senza lavorazioni), ed in tal senso espressamente dispone l’art. 8 del Regolamento TIA del Comune di Ciampino;
4.5. a fronte di una fattispecie normativa così conformata la Commissione tributaria regionale ha, dunque, correttamente ritenuto, nel caso in esame, che <<la tripartizione operata dalla società A. S.p.A. (locali magazzino a temperatura controllata; magazzini frigoriferi; celle frigorifere) non trovi riscontro nella normativa vigente>> dovendo, al contrario, ritenersi <<esclus(i) … i locali destinati a magazzino a temperatura controllata dalla società P. S.p.A. dall’applicazione del tributo, in base all’articolo 8 del regolamento T.I.A. del Comune di Ciampino, trattandosi di aree costituite da magazzini/celle frigorifere ed aree anticella, quest’ultime funzionali al mantenimento della catena del freddo dei prodotti surgelati trattati dalla predetta società>>, emergendo, con evidenza, che trattasi di aree in cui la presenza umana, rapportata all’attività che ivi si svolge, certamente risulta sporadica o occasionale;
4.6. risultano inoltre inammissibili le rimanenti censure attinenti la dedotta indebita esenzione dalla tassazione di ulteriori superfici, non menzionate dalla Commissione Tributaria Regionale, trattandosi di censure che attengono all’accertamento in fatto compiuto dalla Commissione Tributaria Regionale, senza in alcun modo indicare le prove documentali dalle quali emergerebbe la suddetta circostanza fattuale, essendosi limitata, la ricorrente, a richiamare esclusivamente le argomentazioni illustrate nell’atto di appello;
5. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;
6. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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