CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 aprile 2018, n. 9141
Ricalcolo della posizione contributiva – Natura subordinata del rapporto di lavoro – Denuncia di error in procedendo – Eccezione di prescrizione estintiva – Inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio – Determinazione della durata dell’inerzia – Mera “quaestio juris” la cui identificazione spetta al potere-dovere del giudice
Rilevato
che con sentenza depositata il 29.5.2012 la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda di C.C. proposta nei confronti dell’Inps per il ricalcolo della posizione contributiva in considerazione della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con C.A. s.p.a. nel periodo 22.12.1972-1.12.1975, ritenendo maturata la prescrizione decennale;
che avverso detta sentenza il C. propone ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria, e l’Inps oppone difese con controricorso;
Considerato
che con il primo motivo il ricorrente denuncia error in procedendo e nullità della sentenza avendo, la Corte distrettuale, qualificato come eccezione di prescrizione una difesa in realtà mai sollevata o irritualmente sollevata dall’Inps;
che con i successivi due motivi il ricorrente denuncia vizio di motivazione per aver erroneamente interpretato i documenti versati in atti (parzialmente riportati per estratto, compreso il doc. 15 di cui si lamenta la mancata valutazione) e diretti a provare la conoscenza, da parte dell’Istituto previdenziale, della decorrenza del rapporto di lavoro intercorrente tra il C. e la società C.A. sin dal 1972;
che il primo motivo di ricorso – oltre a presentare profili di inammissibilità per carenza assoluta di indicazione della norma violata idonea a chiarire il contenuto della censura formulata nonché per prospettazione della censura mediante modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione (non essendo indicati specificamente, né depositati, gli atti richiamati in ricorso) – è infondato, avendo, la Corte distrettuale, correttamente proceduto a qualificare l’eccezione “di prescrizione” avanzata dall’Inps sin dal primo grado come eccezione di prescrizione del diritto fatto valere sulla base del dedotto fatto costitutivo esposto consistente nella retrodatazione della sussistenza di un rapporto di lavoro (subordinato) all’anno 1972 e nella mancata operatività dell’obbligo contributivo e del corrispondente credito sino al momento dell’azione giudiziaria dell’interessato;
che, invero, la Corte distrettuale ha correttamente richiamato il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui in tema di prescrizione estintiva, l’elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio e la manifestazione della volontà di profittare dell’effetto ad essa ricollegato dall’ordinamento, mentre la determinazione della durata della predetta inerzia, al pari delle norme che la disciplinano, rappresenta una mera “quaestio juris”, la cui identificazione spetta al potere-dovere del giudice, previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione (cfr. Cass. n. 21752 del 2010; da ultimo, Cass. n. 1064 del 2014);
che gli altri motivi di ricorso sono inammissibilmente formulati, proponendo una nuova valutazione delle risultanze probatorie, che – al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione – involge un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, non sussistendo alcuna anomalia motivazionale della sentenza impugnata che ha precisato come la documentazione acquisita non era idonea a dimostrare un riconoscimento del diritto da parte del debitore né un esercizio del diritto da parte dell’Istituto previdenziale creditore, posto che i verbali ispettivi non riportavano la posizione del C., che non risultava avanzata alcuna denuncia all’Inps da parte del lavoratore, che gli esiti di azioni giudiziarie promosse nei soli confronti del datore di lavoro non potevano valere nei confronti dell’Istituto previdenziale;
che il ricorso va, pertanto, rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge
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