CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 aprile 2019, n. 10405
Tributi – Agevolazioni fiscali – Soggetti colpiti dal Sisma del 1990 in Sicilia – Rimborso delle imposte – Soggetto titolare di partita Iva – Esclusione – Configurazione di aiuto di Stato
Rilevato
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso una sentenza della CTR della Sicilia, sezione staccata di Catania, di rigetto dell’appello da essa proposto contro una decisione della CTP di Ragusa, la quale, accogliendo il ricorso del contribuente D.G. avverso il diniego di rimborso delle imposte dirette da lui versate negli anni 1990, 1991 e 1992 su redditi di lavoro autonomo, per essere il contribuente residente in uno dei Comuni colpiti dagli eventi sismici del dicembre 1990, aveva ritenuto che detto rimborso spettasse al contribuente ai sensi dell’art. 9 comma 17 della legge n. 289 del 2002;
Considerato
che il ricorso è affidato a due motivi;
che con il primo motivo l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 9 comma 17 della legge n. 289 del 2002; dell’art. 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014; della VIA direttiva n. 77/388/CEE, come interpretata dalla Corte di giustizia delle comunità europee con la sentenza del 17 luglio 2008 nella causa C-132/06; dell’ordinanza della sesta sezione della Corte di giustizia delle comunità europee del 15 luglio 2015 in causa C-82/14, nonché della decisione (2015) 5549 final del 14 agosto 2015 della Commissione europea, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto erroneamente la CTR aveva ritenuto come dovuto un rimborso che legittimamente era stato invece negato; che invero non era contestato che il contribuente negli anni in discussione era soggetto economico che aveva svolto attività d’impresa soggetta a regime IVA, si che il rimborso di imposte effettuato in suo favore era da qualificare come aiuto di Stato, contrario all’ordinamento dell’unione europea; che invero l’art. 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014 aveva escluso dal beneficio in esame i soggetti che svolgevano attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione era stata sospesa in attesa della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’unione europea;
che il concetto di attività d’impresa era da intendere in modo estensivo, si da ricomprendere anche i lavoratori autonomi, com’era nella specie il contribuente;
che il divieto di rimborso di cui sopra sussisteva anche con riferimento al rimborso IVA, atteso che detto beneficio era in contrasto con il principio della neutralità fiscale e non consentiva di garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta sul territorio italiano;
che con il secondo motivo l’Agenzia lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014, così come modificato dall’art. 16 octies del d.l. n. 91 del 2017, convertito dalla legge n. 123 del 2017, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto la normativa da ultimo citata era applicabile al presente giudizio, pur se la sentenza impugnata era stata depositata il 28 giugno 2017 e quindi prima dell’entrata in vigore del citato art. 16 octies del d.l. n. 91 del 2017 (13 agosto 2017); invero tale articolo era da ritenere applicabile a tutti i giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore ed era riferibile a tutte le istanze presentate, si che le somme da corrispondere erano destinate a ridursi in percentuale, qualora gli importi complessivi dovuti eccedessero le risorse stanziate in bilancio; che il contribuente non ha presentato controricorso;
che il primo motivo di ricorso è fondato;
che, come più volte ritenuto da questa Sezione (cfr. Cass. n. 29905 del 2017; Cass. n. 3070 del 2018), la nozione eurounitaria d’impresa include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento, dovendosi qualificare come economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia: 23/04/1991, Hofner & Elser; 16/11/1995, Fédération française des sociétés d’assurances; 11/12/1997, Job Centre; 16/06/1987, Commissione vs. Italia; 01/07/2008, Motoe; 26/03/2009, Selex Sistemi Integrati); che non può revocarsi in dubbio essere l’attività svolta dal contribuente qualificabile come attività d’impresa, avendo la stessa sentenza impugnata rilevato che il medesimo aveva altresì chiesto il rimborso dell’IVA versata;
che quanto sopra si raccorda sia con la normativa fiscale europea, laddove si stabilisce che è soggetto passivo d’IVA chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività (art. 9, §1, Direttiva UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva UE, n. 77/388/CE), sia con la normativa europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi (art. 1, §8, Direttiva UE, n. 2004/18/CE); che detta nozione è stata recepita dalla decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 final, § 134, della Commissione UE, nella quale è stato affermato che i soggetti che non svolgono attività economica non vanno considerati come imprese; il che implica che un’attività economica può essere svolta anche da chi esercita una libera professione regolamentata, svolgendo prestazioni che possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (v. Commissione UE, 30/01/1995, n. 95/188/CE; conf. Corte giustizia, 23/04/1991, Hoefner e 18/06/1998, Commissione vs. Italia); che, pertanto, va considerata attività d’impresa anche quella svolta da soggetti esercenti attività di lavoro autonomo; che, inoltre, in linea con i precedenti resi da questa Sezione sul medesimo argomento, va ritenuto che lo svolgimento di un’attività di impresa costituisce limite all’applicabilità del beneficio in esame, previsto dall’art. 1, comma 665, prima parte, della legge n. 190 del 2014, posto che il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10 per cento previsto dall’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in favore dei «soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’articolo 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990» è espressamente escluso per «quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea», atteso che la Corte di giustizia, con la sentenza del 17/07/2008, in causa C-132/06, aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche, di cui alla legge n. 289 del 2002, con il sistema comunitario dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, si finiva per alterare il principio della neutralità fiscale;
che, peraltro, anche con riferimento al beneficio di cui all’art. 1, comma 665, prima parte, della citata legge n. 190 del 2014, la Commissione UE, con la decisione sopra richiamata (impugnata da una società siciliana dinanzi al Tribunale di primo grado UE, che l’ha confermata con sentenza del 26 gennaio 2018 e che, pertanto, è vincolante per il giudice nazionale, tenuto a darvi attuazione anche attraverso la disapplicazione delle norme interne con essa contrastante, come da Cass. n. 15354 del 2014 e da Cass. n. 22377 del 2017), all’art. 1 ha stabilito, in via generale, che le misure di aiuto di Stato in oggetto (legge 27 dicembre 2012, n. 289, articolo 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate, che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sono incompatibili con il mercato interno, salvo che si tratti di «aiuto individuale» che, «al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014», ovvero dei regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 della decisione) o che, «al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’articolo 1 del regolamento (CE) n. 994/98 del 7 maggio 1998, sull’applicazione degli articoli 92 e 93 [ora 87 e 88] del trattato che istituisce la Comunità europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali) «o da ogni altro regime di aiuti approvato», ma «fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti» (art. 3); che è stata poi la stessa Commissione UE ad aggiungere che «una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese, oppure perché il beneficio individuale è in linea [con] il regolamento de minimis applicabile, oppure perché il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)» (p. 134 della “decisione”);
che, in definitiva, risulta chiaro come, in caso di svolgimento di un’attività economica (commerciale o professionale che sia) da parte del contribuente, il giudice di merito è tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3 dec. cit.), tenendo conto, in particolare, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1 TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza (cfr. Cass., n. 22377/2017; Cass. n. 29905/2017);
che, in difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta decisione della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibili gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (§ 150, lett. b), dec. cit.), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (§ 136 dec. cit.); il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovra-compensazione rispetto ai danni subiti dall’impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto (§ 148 dec. cit.); inoltre, per il rispetto del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (cfr. Cass. sez. lav. n. 14465 del 2017);
che la giurisprudenza di legittimità ha ancora precisato, nei precedenti appena evocati, che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, ma, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377 del 2017, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla vincolante decisione della Commissione UE (sopravvenuta nel corso del giudizio di appello) e la sua diretta incidenza sulla decisione della lite, nel determinare la cassazione della sentenza delle CTR, consentono alle parti di esibire, in sede di rinvio, quei documenti prima non ottenibili, ovvero l’accertamento di quei fatti che, in base alla precedente disciplina, non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr., in termini, Cass. n. 5224 del 1998);
che, alla stregua delle considerazioni che precedono, il motivo di ricorso in esame va accolto, non essendosi la CTR uniformata ai principi sopra enunciati;
che il secondo motivo di ricorso, concernente violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 665 della legge n. 190 del 2014, così come modificato dall’art. 16 octies del d.l. n. 91 del 2017, convertito dalla legge n. 123 del 2017, è da ritenere assorbito, in quanto i provvedimenti amministrativi, che dovranno fissare i criteri di assegnazione dei limitati fondi stanziati in bilancio, da destinare ai rimborsi anzidetti, opereranno entro i limiti delle risorse stanziate, si che le questioni connesse ai conseguenziali provvedimenti liquidatori che saranno emessi dall’Agenzia delle entrate verranno in rilievo solo nella fase esecutiva ovvero in quella di ottemperanza (cfr. Cass. n. 29906 del 2017);
che l’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata e la rimessione degli atti alla CTR della Sicilia, sezione distaccata di Catania, in diversa composizione per nuovo esame, nonché per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Sicilia, sezione distaccata di Catania, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
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