CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 11608 depositata il 3 maggio 2023
Tributi – IVA a credito – Restituzione – Operazioni di acquisto di prodotti chimici in Italia – Reverse charge – Soggetti non residenti stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione Europea – Rimborso dell’imposta assolta sulle importazioni di beni e sugli acquisti di beni e servizi – Rappresentante fiscale e identificazione diretta – Operazioni non riconducibili alla stabile organizzazione – Accoglimento
Fatti di causa
La società contribuente impugnava il diniego di rimborso iva notificatole per l’anno 2011 con il quale l’Amministrazione negava la restituzione dell’iva a credito per il periodo d’imposta 2010, iva richiesta a rimborso per mezzo del proprio rappresentante fiscale nominato ex d.p.r. n. 633 del 1972, art. 35bis, derivata dall’aver effettuato da un lato operazioni di acquisto di prodotti chimici in Italia, per i quali aveva pagato l’iva addebitata in rivalsa dal fornitore, dall’altro cessioni a clienti italiani soggetti a reverse charge.
L’Amministrazione opponeva l’esistenza in capo alla contribuente di una posizione iva riferita alla stabile organizzazione di (…) della R.Q.S. e la conseguente impossibilità – dovendo sussistere una sola partita iva – per il soggetto non residente di essere dotato in Italia di una stabile organizzazione e anche di nominare contemporaneamente un rappresentante fiscale; ciò in quanto – secondo l’Ufficio – un soggetto che disponeva di un centro di attività stabile in Italia doveva essere considerato stabilito in detto Stato, potendo quindi chiedere la detrazione dell’iva sugli acquisti effettuati in Italia a prescindere dalla circostanza che essi fossero stati effettuati tramite il centro di attività stabile o direttamente dalla sua sede principale situata all’estero.
La CTP rigettava il ricorso; appellava la società.
Con la pronuncia qui gravata la CTR adita ha confermato la decisione di primo grado ritenendo che il soggetto non residente e con stabile organizzazione in Italia non possa identificarsi direttamente o nominare un rappresentante fiscale per effettuare gli adempimenti relativi alle operazioni effettuate dalla casa madre non residente in quanto tali operazioni debbono necessariamente, secondo il giudice dell’appello, collegarsi alla posizione iva attribuita alla stabile organizzazione operante nel territorio dello Stato. Il giudice del gravame ha anche ritenuto non necessario sottoporre la questione sotto forma di domanda pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’unione con riguarda l’interpretazione delle norme da applicarsi in tema di rimborsi; ha poi inoltre precisato che per gli acquisti effettuati in Italia il recupero dell’iva prescinde dalla circostanza che si siano perfezionati tramite il centro di attività stabile o direttamente dalla sede principale estera, con ciò valutando come irrituale la procedura utilizzata dalla società.
Ricorre a questa Corte la società contribuente R.Q.S. con atto affidato a due motivi; l’Amministrazione finanziaria resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
Il primo motivo di doglianza censura la pronuncia impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto che il rimborso iva per cui è processo potesse avvenire – quindi esser riconosciuto come dovuto – soltanto tramite la stabile organizzazione senza considerare l’assenza di operazioni attive poste in essere dalla stessa e trascurando che detta circostanza era stata all’evidenza non contestata da controparte nella propria prima difesa utile, traendo quindi la convinzione che l’accertamento del diritto al rimborso non necessitava di accertamenti e andava quindi negata la pretesa restitutoria della contribuente se il soggetto estero disponeva effettivamente di una stabile organizzazione.
Il secondo motivo, articolato in tre sub censure, si incentra sulla violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 633 del 1972, artt. 19, 30 e 38 bis, dell’art. 168 della Direttiva n. 2006-112 IVA nonché della l. n. 212 del 2000, art. 10 per avere la CTR ritenuto erroneamente legittimo il diniego per il solo fatto che il contribuente abbia presentato l’istanza in modo meramente irrituale sulla base di motivi solo formali, violando inoltre il principio di detrazione alla base del meccanismo iva come applicato dal giudice dell’unione nel ritenere – in sintesi – a questi preclusa la possibilità, quale soggetto non residente, di essere da un lato dotato di una stabile organizzazione in Italia e dall’altra di nominare un rappresentante fiscale o identificarsi direttamente ex d.p.r. n. 633 del 1972, art. 35ter.
I motivi proposti sono suscettibili di trattazione congiunta, in quanto riguardanti tutti i presupposti per il rimborso dell’IVA in favore di soggetti non residenti stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione Europea ai sensi del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 38bis, (in argomento Cass. n. 2746 del 2023) secondo il quale, nel dettato applicabile ratione temporis “i soggetti stabiliti in altri Stati membri della Comunità (ora Unione), assoggettati all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza, chiedono il rimborso dell’imposta assolta sulle importazioni di beni e sugli acquisti di beni e servizi, sempre che sia detraibile a norma degli artt. 19, 19-bis1 e 19-bis2, secondo le disposizioni del presente articolo”.
La disposizione prosegue statuendo che “il rimborso non può essere richiesto dai soggetti che nel periodo di riferimento disponevano di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato ovvero dai soggetti che hanno ivi effettuato operazioni diverse da quelle per le quali debitore dell’imposta è il committente o cessionario e da quelle non imponibili di trasporto o accessorie ai trasporti (ed ulteriori espressamente previste dalle varie disposizioni novellatrici)”.
La ragione dell’esclusione dalla possibilità di chiedere il rimborso dei soggetti dotati di stabile organizzazione è evidente: in quel caso, infatti, le operazioni effettuate “direttamente” dalla casa madre per il tramite della stabile organizzazione confluiscono tutte nella posizione ai fini dell’IVA attribuita alla stabile organizzazione medesima in quanto di per sé operante nel territorio dello Stato e sono oggetto prima di rilevazione in quelle scritture contabili, poi di ostensione – quanto alle risultanze – nella dichiarazione che ne consegue in capo a quel soggetto.
In forza del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 17 c. 3, i soggetti non dotati di stabile organizzazione su cui ricadano obblighi o diritti derivanti dall’applicazione delle norme sull’IVA li adempiono, o, rispettivamente, li esercitano, “direttamente”, ossia in quanto tali, “nei modi ordinari”, secondo la seguente alternativa: “se identificati ai sensi dell’art. 35-ter, ovvero (per il) tramite (di) un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato nelle forme previste dal d.p.r. 10 novembre 1997, n. 441, art. 1 comma 4”.
La nomina di un “rappresentante residente nel territorio dello Stato”, ossia del c.d. rappresentante fiscale di cui al d.p.r. n. 633 del 1972, art. 17 c. 2, è alternativa all’identificazione “ai sensi del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 35ter”, definita anche “identificazione diretta”, fermo restando che né l’una né l’altra comportano lo stabilimento del soggetto non residente in Italia, essendo finalizzate entrambe – come espressamente affermato dalla Corte di Giustizia in relazione alla nomina del rappresentante fiscale, con argomentazione tuttavia “a fortiori” estensibile all’identificazione diretta – allo “scopo di consentire al fisco di avere un interlocutore nazionale quando il soggetto passivo è stabilito all’estero” (CGUE, 19 febbraio 2009, in causa C-1/08, At. Dott. S.r.l., par. 34).
L’identificazione diretta, che viene in linea di conto nel presente giudizio, è disciplinata dal d.p.r. n. 633 del 1972, art. 35ter, introdotto dal d.lgs. 19 giugno 2002, n. 191, in attuazione della direttiva 2000/65/CE del Consiglio, del 17 ottobre 2000, di modifica della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, quanto alla determinazione del debitore dell’imposta sul valore aggiunto, al fine di consentire agli operatori economici di assolvere gli obblighi e di esercitare i diritti, derivanti dall’applicazione dell’IVA, direttamente in ogni singolo Stato membro.
Secondo l’art. 35-ter c. 1 surrichiamato “i soggetti non residenti nel territorio dello Stato, che, ai sensi dell’art. 17, comma 3, intendono assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di imposta sul valore aggiunto direttamente, devono farne dichiarazione all’Ufficio competente, prima dell’effettuazione delle operazioni per le quali si vuole adottare il suddetto sistema”. La previa dichiarazione è finalizzata – giusta il comma 3 del medesimo articolo – a consentire all’ufficio di attribuire “al richiedente un numero di partita IVA., in cui sia evidenziata anche la natura di soggetto non residente identificato in Italia. Il predetto numero deve essere riportato nelle dichiarazioni e in ogni altro atto, ove richiesto”.
La disposizione qui richiede in sostanza l’identificazione del rappresentante fiscale, nelle relazioni che questi intrattiene con l’Amministrazione finanziaria, ai fini del rapporto tributario.
Va ora ricordato, sul punto, che la Corte di Giustizia (CGUE, 21 ottobre 2010, in causa C-385/09, Nidera Handelscompagnie BV) – premesso che gli Stati membri possono limitare il diritto alla detrazione dell’IVA solo nei casi espressamente previsti dalla direttiva 2006-112 – afferma con chiarezza che “l’identificazione prevista all’art. 214 della direttiva 2006-112, al pari degli obblighi di cui all’art. 213 di quest’ultima (…), non è un atto costitutivo del diritto alla detrazione, che sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile, bensì rappresenta un requisito formale a fini di controllo” (par. 50), ragion per cui “non si può impedire ad un soggetto passivo IVA di esercitare il proprio diritto alla detrazione in quanto non si sarebbe registrato ai fini dell’IVA prima di utilizzare i beni acquisiti nell’ambito della sua attività imponibile” (par. 51).
Ne deriva che l’identificazione – operazione che nel diritto interno consiste nell’attribuzione della partita iva, il “numero” al quale fa riferimento la disposizione unionale di cui sopra – serve a identificare il soggetto in modo certo e inequivoco, non a fondare il diritto alla detrazione (o al rimborso, che costituisce analogo meccanismo insopprimibile diretto a tutelare la neutralità dell’IVA).
Tale principio è scolpito chiaramente in tema di detrazione dell’IVA, alla stregua, tuttavia, di argomentazioni evidentemente replicabili, proprio in quanto imperniate sulla neutralità in sé dell’imposta (che costituisce pietra angolare della relativa disciplina), anche in tema di rimborso.
Il principio riposa in definitiva sulla regola della prevalenza dei requisiti sostanziali, quand’anche il soggetto passivo si sia reso responsabile dell’inosservanza di taluni requisiti formali, a meno che questa inosservanza abbia prodotto l’effetto di impedire l’acquisizione della prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali (CGUE, 7 marzo 2018, in causa C-159/17, Întreprinderea Individuala Dobre M. Marius, par. 35; Id. 28 luglio 2016, in causa C- 332/15, Astone, parr. 45 e 46; Id. 9 luglio 2015, Radu Florin Salomie e Nicolae Vasile Oltean, parr. da 58 a 63; Id., 11 dicembre 2014, in causa C-590/13, Idexx Laboratories Italia, parr. da 36 a 40).
Vi sono due soli limiti alla prevalenza dei requisiti sostanziali:
– da un lato, il diritto alla detrazione (e, per quanto detto, al rimborso) può sempre essere negato qualora si dimostri, alla stregua di elementi oggettivi, che è invocato in modo fraudolento o abusivo (CGUE, 19 ottobre 2017, in causa C-101/16, Paper Consult, par. 43);
– dall’altro lato, a prescindere dalla considerazione che “il soggetto passivo che non rispetta i requisiti formali stabiliti dalla direttiva 2006/112 può essere punibile con una sanzione amministrativa, conformemente ai provvedimenti nazionali che traspongono tale direttiva nel diritto interno”, occorre comunque soddisfare l’esigenza fondamentale della certezza del diritto, finanche nel caso in cui “l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA non fosse soggetto ad alcun limite nel tempo”, poiché “l’obbligo per i soggetti passivi di registrarsi ai fini dell’IVA potrebbe essere svuotato di significato se gli Stati membri non avessero il diritto d’imporre un termine ragionevole a tal fine” (CGUE, 21 ottobre 2010, in causa C-385/09, Nidera Handelscompagnie BV, parr. 52 e 53, a termini della quale è stato ritenuto ragionevole essersi la contribuente registrata “prima che fossero passati sei mesi dalla realizzazione delle operazioni che da(vano) luogo a tale diritto” (par. 53).
E’ ancora la Corte dell’Unione (CGUE 16 luglio 2009, causa C-244/98, Commissione contro Itali) ad aver sancito, significativamente, proprio l’illegittimità della normativa interna italiana, che obbligava il soggetto non residente ad attivare in ogni caso la procedura del rimborso diretto ex d.p.r. n. 633 del 1972, art. 38ter in presenza di stabile organizzazione nel territorio italiano: il giudice comunitario ha limitato l’utilizzo della suddetta procedura ai soli casi in cui il soggetto richiedente non sia stabilito in Italia ovvero ivi identificato a mezzo di una propria stabile organizzazione.
Risulta superato quindi lo specifico divieto, che era stabilito dalla Ris. Min. 327/E/2008 in considerazione dell’autonomia all’epoca riconosciuta alle rispettive posizioni fiscali, e cioè da un lato non poteva utilizzare la posizione fiscale per cui aveva richiesto partita IVA mediante l’identificazione diretta per assolvere obblighi ed esercitare diritti relativi alla stabile organizzazione; dall’altro non poteva procedere alla compensazione di posizioni debitorie e creditorie riferibili a posizioni fiscali diverse.
In pratica, la modalità di recupero dell’IVA dipende dal luogo di stabilimento del soggetto estero: da un lato il rimborso è la procedura per il soggetto non stabilito in Italia; all’altro la detrazione sugli acquisti di beni e servizi è la procedura per la stabile organizzazione.
Dalla ricostruzione del quadro normativo, deriva che secondo la disciplina comunitaria, il rimborso è la modalità applicativa più appropriata per il recupero dell’IVA a credito, tenuto conto, da un lato, dell’art. 192-bis della Direttiva 2006/112/CE e, dall’altro, dell’art. 53 del Reg. (CE)282-2011.
In dettaglio, si prevede con tali disposizioni unionali che il soggetto non residente resti tale anche se possiede una stabile organizzazione in Italia quando le operazioni poste in essere non possano essere riconducibili alla stabile organizzazione (o con terminologia anglofona, branch) in forza dell’art. 192-bis) ridetto; seppure inserita nell’ambito delle disposizioni che regolano la detrazione, la norma esprime un principio di carattere generale, con effetti anche sul diritto di rimborso spettante ai soggetti non residenti.
Dispone infatti l’art. 192 bis della Direttiva, con riferimento ai soggetti passivo non stabiliti nel territorio dello Stato, nella versione ratione temporis applicabile che “ai fini della presente sezione, un soggetto passivo che dispone di una stabile organizzazione nel territorio di uno Stato membro in cui è debitore di imposta si considera soggetto passivo non stabilito nel territorio di tale Stato membro qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni:
a) egli effettua in tale paese una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile;
b) la cessione di beni o prestazione di servizi è effettuata senza la partecipazione di una sede del cedente o del prestatore di servizi situata nello Stato membro in questione”.
Tale principio è poi ulteriormente rafforzato dal Regolamento di esecuzione, nella parte in cui viene chiarito il concetto di partecipazione di una stabile organizzazione alla cessione o prestazione ai fini dell’applicazione del citato art. 192-bis: tale partecipazione richiede che i mezzi umani e tecnici della stabile organizzazione siano effettivamente utilizzati per compiere la cessione o prestazione, prima o durante l’operazione. Dal che discende che il coinvolgimento della stabile organizzazione successivamente alla cessione o prestazione costituisce un’attività sotto questo profilo autonoma, oltre che successiva a quella già effettuata.
In tal senso, il regolamento di esecuzione UE del Consiglio n. 282 del 2011 recante disposizioni di applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto prevede infatti all’art. 53 che “per l’applicazione dell’art. 192 bis della direttiva 2006/112/CE, si prende in considerazione esclusivamente una stabile organizzazione di cui dispone il soggetto passivo, qualora sia caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di effettuare la cessione di beni o la prestazione di servizi alla quale partecipa.
2. Se un soggetto passivo dispone di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato membro in cui è dovuta l’IVA, si considera che tale organizzazione non partecipa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi ai sensi dell’art. 192 bis, lettera b), della direttiva 2006/112/CE, a meno che i mezzi della cessione di tali beni o della prestazione di tali servizi imponibile effettuata in tale Stato membro, prima o durante la realizzazione di detta cessione o prestazione. Se i mezzi della stabile organizzazione sono utilizzati unicamente per funzioni di supporto amministrativo, quali la contabilità, la fatturazione e il recupero crediti, si considera che essi non siano utilizzati per la realizzazione della cessione di beni o della prestazione di servizi. Se tuttavia viene emessa una fattura con il numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro della stabile organizzazione alla stessa, si considera, salvo prova contraria, che tale stabile organizzazione abbia partecipato alla cessione di beni o alla prestazione di servizi effettuata in tale Stato membro”.
E allora, appare chiaro come la procedura di detrazione degli acquisti operati in Italia, da parte del non residente per mezzo della stabile organizzazione, costituisca alternativa legittima ed espressamente prevista – appunto in via alternativa oltre che autonoma – al rimborso dell’iva versata a fronte degli acquisti operati per mezzo del rappresentante fiscale, con l’ovvio corollario che ove il soggetto non residente operi anche per mezzo di quest’ultimo, dovrà verificarsi la partecipazione o meno della stabile organizzazione alle operazioni che hanno concorso alla formazione dell’iva chiesta a rimborso per mezzo del sunnominato rappresentante fiscale, onde evitare la illegittima duplicazione del credito; circostanza che potrebbe verificarsi ove le medesime operazioni generanti iva oggetto di detrazione per mezzo della stabile organizzazione siano attribuite, illegittimamente, anche al rappresentante fiscale che chieda poi il rimborso del tributo.
Conclusivamente, allora, nel ritenere in sé del tutto preclusa la via del ricorso al rimborso tramite rappresentante fiscale alla luce della mera esistenza della stabile organizzazione – da un lato – e nel valutare contestualmente come irrilevante, quindi non meritevole neppure di accertamento in fatto, la circostanza della partecipazione o meno della stabile organizzazione alle operazioni di acquisto perfezionate che hanno formato il credito chiesto a rimborso tramite il rappresentante fiscale, la CTR si è evidentemente disallineata rispetto ai principi, anche di diritto unionale, sopra illustrati.
In accoglimento del ricorso, allora, la sentenza è cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame del merito nel rispetto dei principi di cui si è detto in motivazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.