CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 giugno 2018, n. 15457
Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Costi deducibili – Imputazione temporale dei componenti di reddito
Rilevato che
– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 9 dicembre 2009, di reiezione dell’appello dalla stessa proposte avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2003;
– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva provveduto alla rettifica della dichiarazione della società contribuente, non riconoscendo costi ivi esposti (rateo ferie, provvigioni e affitto box) e accertando violazioni in materia di i.v.a., con conseguente recupero a tassazione delle imposte non versate;
– il giudice di appello, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto infondata la pretesa erariale, evidenziando, quanto alle diverse voci di costo, la sussistenza dei requisiti per la deducibilità contestati dall’Ufficio, e, quanto alla violazione dell’i.v.a., la mancata dimostrazione della prova della contestata avvenuta esportazione o vendita della merce;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– la società intimata non ha spiegato alcuna attività difensiva;
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 75, primo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nella formulazione applicabile al periodo di imposta in esame, per aver la sentenza impugnata ritenuto che il costo rappresentato dalla corresponsione ai dipendenti dei ratei per ferie non godute potesse essere dedotto nell’anno in cui tale dazione era intervenuta, benché lo stesso si riferisse, in parte, a ratei relativi a ferie maturate in un anno diverso;
– il motivo è fondato;
– l’originario art. 75, primo comma, del d.P.R. n. 917 del 1986, oggi trasfuso nell’art. 109, primo comma, della medesima legge, stabilisce che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali specifiche norme non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, fatta eccezione per quelli di cui non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, che concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni;
– le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito implicano, dunque, che gli elementi reddituali derivanti da una determinata operazione siano iscritti in bilancio non già con riferimento alla data del pagamento o dell’incasso materiale del corrispettivo, ma nel momento in cui esso perviene a completa maturazione, con il solo limite della certezza di costi o ricavi non ancora determinabili (cfr. Cass. 17 novembre 2006, n. 24474);
– non è consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, atteso che le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall’art. 75, sono vincolanti sia per il contribuente che per l’erario e, per la loro inderogabilità, non richiedono, né legittimano un qualche giudizio sull’esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare decisamente irrilevante l’eventuale (anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concreto (cfr. Cass. 6 settembre 2017, n. 20805; Cass. 24 gennaio 2013, n. 1648);
– ne consegue, nel caso in esame, che il costo delle ferie non godute va rapportato all’esercizio di competenza, in quanto maturato in quell’esercizio, senza che rilevi il fatto che il contribuente fruisca delle ferie in un periodo diverso, trattandosi di un costo certo nella sua esistenza e determinabile sulla base degli elementi risultanti alla chiusura dell’esercizio, indipendentemente dall’eventuale godimento delle ferie stesse nell’esercizio (cfr., con specifico riferimento al costo per ratei di ferie, Cass. 15 gennaio 2009, n. 871; Cass. 6 giugno 2007, n. 13224);
– con il secondo motivo l’Agenzia deduce la insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo del giudizio;
– evidenzia, in particolare, che, in ordine alla ripresa avente per oggetto i costi per provvigioni, l’affermazione del giudice di appello sulla inerenza di tali costi risulta insufficientemente motivata, in quanto sarebbe argomentata unicamente con l’esistenza di pagamenti effettuati in favore di rappresentanti nazionali ed esteri, benché le relative fatture presentassero indicazioni generiche e fossero prive di documentazione di supporto;
– il motivo è infondato;
– infatti, la sentenza impugnata ha ritenuto la documentazione prodotta adeguata, aggiungendo che, ai fini della prova dell’esistenza del costo, non fosse necessaria anche la produzione del documento contrattuale relativo al contratto di agenzia o di rappresentanza;
– tale motivazione appare sufficiente poiché consente di ricostruire l’iter seguito dal giudice e di apprezzarne l’assenza di vizi di ordine logico, anche in considerazione della coerenza della stessa con l’assenza di obblighi di formalizzazione di incarichi di agenzia e/o di rappresentanza;
– sotto altro aspetto, spetta al giudice del merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, per cui non può sindacarsi la valutazione delle prova dal medesimo effettuata ;
– con l’ultimo motivo di ricorso l’Agenzia si duole della falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per aver la sentenza impugnata, in relazione alla ripresa relativa al costo per l’affitto di un box, ritenuto sussistente la contestata inerenza in ragione della mancata dimostrazione da parte dell’Ufficio della non inerenza del costo medesimo;
– il motivo è fondato, in quanto spetta al contribuente l’onere della prova dell’inerenza dei costi deducibili, non essendo sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, e non già all’Ufficio l’onere di dimostrare la non inerenza degli stessi (cfr. Cass., ord., 26 maggio 2017, n. 13300; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21184);
– il ricorso va, in conseguenza accolto, limitatamente al primo e al terzo motivo, e la sentenza cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso e respinge il motivo restante; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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