CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 novembre 2020, n. 25812
Lavoratore socialmente utile – Beneficio ex art. 3, co. 5, del D.I. 21 maggio 1998 – Manifestazione dell’intento di non essere più utilizzato in progetti lsu – Assegno previsto una tantum per i lavoratori socialmente utili, soggetto alla decadenza annuale
Rilevato che
1. con sentenza n. 2452/2014, pubblicata in data 27 ottobre 2014, la Corte d’appello di Lecce confermava la decisione del Tribunale di Brindisi che aveva accolto la domanda proposta da V.L., lavoratore socialmente utile, intesa ad ottenere il beneficio previsto dall’art. 3, comma 5, del D.I. 21/5/1998 e condannato l’INPS al pagamento della relativa somma oltre accessori;
escludeva la Corte territoriale che si fosse formato il giudicato interno nei confronti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (cui il ricorso di primo grado era stato notificato e che era rimasto contumace in tale grado ma si era costituito in quello di appello) rilevando che la legittimazione passiva di tale Ministero non fosse in discussione e che lo stesso, aderendo in sede di appello agli argomenti ed alle conclusioni dell’INPS (ente erogatore), avesse chiesto la riforma della sentenza di primo grado nel merito;
riteneva che correttamente il Tribunale avesse individuato il petitum sostanziale come inteso ad ottenere il pagamento della prestazione in questione negata (ASU e incentivo) senza allegare alcunché che potesse fondare una pretesa risarcitoria;
rilevava che la richiesta del L. intesa ad ottenere l’incentivo di cui al decreto interministeriale del 21 maggio 1998 (di cui alla domanda inoltrata alla Direzione provinciale del lavoro in data 24 aprile 2007 e quindi all’INPS in data 15 ottobre 2007) avesse fatto seguito alla manifestazione del suo intento di non essere più utilizzato in progetti Isu del 26/1/2007 “in quanto aveva intenzione di autoimpiegarsi creando un’impresa individuale”;
riteneva che nessuna norma di legge imponesse la preventiva approvazione del progetto rispetto alla cessazione dell’impegno in progetti in Isu ed escludeva che la fuoriuscita dalla platea Isu fosse condizionata all’attribuzione degli incentivi (di modo che questi ultimi non potessero essere riconosciuti dopo tale fuoriuscita);
2. per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’INPS con tre motivi;
3. il Ministero del Lavoro ha resistito con controricorso e formulato ricorso incidentale con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso dell’INPS;
4. V.L. è rimasto intimato;
5. l’INPS ha depositato memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo l’INPS denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 1218 cod. civ.;
censura la sentenza impugna per aver pronunciato ultra petita e per aver riconosciuto l’incentivo a fronte di una domanda avente ad oggetto solo il risarcimento del danno;
2. analoga censura è sviluppata dal Ministero del lavoro con l’unico motivo di ricorso incidentale;
3. con il secondo motivo l’INPS denuncia la violazione dell’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 nel testo sostituito dall’art. 4, comma 1, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, conv. In I. 14 novembre 1992, n. 438 con riferimento all’art. 2968 cod. civ.;
censura la sentenza impugnata per non aver dichiarato la decadenza sostanziale dell’azione proposta a distanza di oltre tre anni dalla domanda amministrativa;
rileva che trattasi di decadenza sostanziale, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, stante la sua rilevanza pubblicistica;
4. con il terzo motivo l’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 12, commi 5, lett. b), e 8 del decreto interministeriale 21 maggio 1998 n. 7383000 pubblicato in G.U. n. 141/1998;
censura la sentenza impugnata per aver escluso che la indicata normativa preveda e condizioni la fuoriuscita da attività di Isu solo in esito all’attribuzione degli incentivi e così per aver ritenuto legittima la presentazione della domanda intesa ad ottenere il contributo una tantum successivamente alla rinuncia a proseguire nello svolgimento dei lavori socialmente utili;
5. il primo motivo del ricorso principale e l’analoga censura del ricorso incidentale sono infondati;
6. come da questa Corte già chiarito (v., tra le più recenti, Cass. 10 giugno 2020, n. 11103) la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotta come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.;
nel caso in esame, il motivo di ricorso principale, per come formulato, non consente di individuare una nullità nei termini sopra evidenziati al punto l’I.N.P.S., infatti, ha riportato dell’atto introduttivo del giudizio solo le conclusioni e non l’intero contenuto (limitandosi alle pagg. 2 e 3 del ricorso per cassazione ad una mera sintesi narrativa della esposizione del L.);
né elementi utili si ricavano dal ricorso incidentale del Ministero del lavoro che si è limitato ad affermare assiomaticamente che il petitum azionato fosse diverso da quello ritenuto nella sentenza impugnata;
7. è fondato il secondo motivo del ricorso dell’INPS (e determina l’assorbimento del terzo);
8. questa Corte ha già da tempo affermato che l’assegno previsto una tantum per i lavoratori socialmente utili ex art. 12 del d.lgs. 468/97 ed art. 3 del D.l. 21 maggio 1998 costituendo una prestazione temporanea, a carico della “Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti” di cui alla I. n. 88/1989, art. 24, al pari delle prestazioni, specificamente nominate, inerenti alla disoccupazione e alla cassa integrazione guadagni, siccome rientrante nell’ampia formula di ogni altra forma di previdenza a carattere temporaneo diversa dalle pensioni, è soggetto alla decadenza annuale, in quanto al pari di altre prestazioni, ad es. indennità di disoccupazione, viene previsto con durata limitata nel tempo, finché dura l’evento a cui viene ricollegato, a differenza delle prestazioni pensionistiche di durata illimitata nel tempo (si vedano, in tale senso Cass. 24 luglio 2007, n. 16342; Cass. 5 settembre 2011, n. 18213 – come corretta da Cass. 19 luglio 2012, n. 12598 -; Cass. 14 settembre 2016, n. 18097);
in particolare nella citata Cass. n. 16342/2007 è stato evidenziato che: “la disciplina dei lavori socialmente utili concerne la tutela del lavoro e le politiche sociali, nel contesto di particolari rapporti intersoggettivi di prestazione di attività, risultando attinente, da una parte, alla materia del collocamento in senso lato e alla formazione professionale (agevolazione dell’accesso all’occupazione), dall’altra, nella parte in cui prevede la corresponsione ai soggetti impiegati in lavori socialmente utili di somme di danaro, alla materia della previdenza sociale in senso ampio, partecipando le prestazioni della stessa natura dell’indennità di disoccupazione o di mobilità o di trattamento di integrazione salariale“;
9. le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che l’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze, individua nella “scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo” il limite oltre il quale la presentazione di un ricorso tardivo, pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria, non consente lo spostamento in avanti del “dies a quo” per l’inizio del computo del termine decadenziale (di tre anni o di un anno);
da detto principio generale hanno tratto la conseguenza che, in ragione della natura pubblica della decadenza, il termine decorre in ogni caso dalla data sopra indicata sicché non rilevano né la mancanza di un provvedimento esplicito sulla domanda dell’assicurato, né la omissione delle indicazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 47 (v. Cass., Sez. Un., 29 maggio 2009, n. 12718; Cass. , Sez. Un., 17 settembre 2009, n. 19992);
10. si aggiunga che, come pure affermato da questa Corte (v. ex multis Cass. 9 settembre 2011, n. 18528; Cass. 9 settembre 2011, n. 18528; Cass. 29 febbraio 2016, n. 3990; Cass. 9 novembre 2018, n. 28639) in tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di determinate prestazioni previdenziali, la disposizione contenuta nell’art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 (nel testo modificato dall’art. 4 del d.l. n. 384 del 1992, conv., con modif., in I. n. 438 del 1992) disciplina una decadenza sostanziale “di ordine pubblico” in quanto annoverabile tra quelle dettate a protezione dell’interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti l’erogazione di spese gravanti su conti pubblici e, pertanto, essa è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio con il solo limite del giudicato, dovendosi escludere la possibilità, per l’ente previdenziale di rinunziare alla decadenza stessa ovvero di impedirne l’efficacia riconoscendo il diritto ad essa soggetto;
11. nella specie è da escludere che si sia formato il giudicato sulla decadenza evincendosi dalla stessa sentenza impugnata che il Tribunale ha solo esaminato il merito della domanda avanzata dal L.;
12. poiché si rileva dal ricorso per cassazione (oltre che dalla sentenza della Corte territoriale) che, a fronte di una domanda amministrativa avanzata all’INPS in data 15 ottobre 2007, la domanda giurisdizionale era stata proposta con atto di citazione notificato in data 20/9/2010 (v. copia di tale atto allegata al fascicolo di primo grado dell’INPS, puntualmente richiamata alle pagg. 3 e 15 del ricorso), quando ormai erano decorsi un anno e trecento giorni e, dunque, maturato il termine decadenziale, non risultano necessari ulteriori accertamenti di fatto e, quindi, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con il rigetto della domanda;
13. resta, pertanto, assorbito il terzo motivo di ricorso, attinente alla asserita infondatezza, nel merito, della pretesa;
14. sulla scorta delle considerazioni svolte va accolto il secondo motivo del ricorso principale dell’INPS, assorbito il terzo, e rigettato il primo ed il ricorso incidentale del Ministero del lavoro;
la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., seconda parte, la causa può essere decisa nel merito con rigetto dell’azionata domanda;
15. il diverso orientamento espresso nella presente sede di legittimità rispetto a quello seguito nelle fasi del merito induce a compensare tra il L. e l’INPS le spese di primo e secondo grado, mentre esse seguono la regola generale della soccombenza per quanto attiene al giudizio di cassazione;
16. nulla va disposto per le spese nei confronti del Ministero del lavoro;
17. non può trovare applicazione nei confronti dell’Amministrazione dello Stato l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, atteso che la stessa, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778).
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo e rigetta il primo ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, respinge l’azionata domanda; compensa le spese dei gradi di merito e condanna V.L. al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.; nulla per le spese nei confronti del Ministero del lavoro.
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