CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 novembre 2019, n. 29630

Mansioni – Differenze retributive – Variabili di posizione – CCNL enti pubblici economici

Ritenuto che

la Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa città, ha riconosciuto il diritto di P. M., dipendente INPS, alle differenze retributive per lo svolgimento, tra il 2002 ed il 31.12.2006 di mansioni da riportare all’Area C posizione 1, in luogo del formale inquadramento in Area B posizione Bl;

la Corte, premesso che la differenza tra Area B ed Area C consistesse nello svolgimento di solo alcune fasi o fasce di attività (area B) o dell’intero processo produttivo (area C) e ritenendo non specificamente contestate le relative deduzioni fattuali, osservava come la ricorrente avesse svolto l’intero procedimento preordinato al riconoscimento o al diniego delle prestazioni economiche per gli invalidi civili, dall’acquisizione delle domande, alla loro istruttoria, valutazione, fino alla predisposizione del provvedimento finale, sottoscritto quale operatore, oltre all’attività di consulenza verso l’esterno ed al procedimento di sospensione o eliminazione delle prestazioni;

la necessità di valutare le variabili di ogni posizione escludeva potersi parlare di attività sulla base di procedure rigide e non decisiva era ritenuta la necessità della sottoscrizione del responsabile per la rilevanza esterna di quanto svolto, atteso che la declaratoria di Area C comprendeva responsabilità di diversa ampiezza;

per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’INPS prospettando due motivi di ricorso, resistiti con controricorso dalla lavoratrice, che in prossimità dell’adunanza camerale ha anche depositato memoria;

Considerato che

con il primo motivo l’I.N.P.S. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché degli artt. 115, co. 1 e 416, co. 3, c.p.c.; l’ente critica la sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto che non vi fosse stata contestazione sull’attività svolta, così indebitamente sollevando la ricorrente dai propri oneri probatori;

la sentenza di appello ha fatto riferimento alla narrativa della ricorrente in quanto riguardante fatti storici non contestati attinenti all’attività lavorativa da lei svolta: acquisizione domande inerenti l’invalidità civile; svolgimento istruttoria; valutazione sui presupposti per il riconoscimento della prestazione; consulenza; predisposizione del provvedimento finale di accoglimento o reiezione con sottoscrizione in qualità di operatrice di processo; gestione del procedimento di eliminazione o sospensione della erogazione delle prestazione;

lo stesso motivo di ricorso per cassazione, nel sostenere che vi era stata contestazione, non fa riferimento alla negazione di fatti storici, censurando piuttosto la valutazione giuridica di essi quale impostata nel ricorso introduttivo (sostenendosi che «già dalla stessa descrizione contenuta nel ricorso non appare possibile ricondurre l’attività lavorativa della ricorrente alla Area C») o, più in generale, richiamando caratteristiche che impedirebbero il riconoscimento della pretesa (operatività routinaria ed a carattere compilativo sulla base di procedura informatiche e standard prefissati; mera redazione del provvedimento finale senza assunzione di responsabilità esterna);

non si tratta dunque di profili di rilievo fattuale, ma giuridico, sicché il motivo, incentrato sulla censura all’assunto secondo cui l’INPS non aveva contestato le mansioni quali indicate nel ricorso introduttivo, è infondato;

da altro punto di vista, ma nel corpo del medesimo motivo, l’INPS sostiene che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che lo svolgimento di un “sottoprocesso produttivo” potesse integrare la competenza sull’ “intero processo produttivo” quale richiesta dalla contrattazione collettiva per l’inquadramento in Area C, ma di ciò si dirà nell’ambito della disamina del secondo motivo di ricorso in cui parimenti è affrontata tale tematica;

con il secondo motivo di ricorso, a parte quanto già detto, è prospettata la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 13, 16 e 24 del CCNL 1998/2001, dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 e succ. mod. dall’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, ora art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001; dell’art. 1362 cod. civ., con riferimento alla interpretazione delle declaratorie contrattuali delle aree, allegato A al CCNL 1998-2001.

l’INPS da un primo punto di vista critica la statuizione della Corte d’Appello secondo cui per il riconoscimento delle mansioni superiori non è necessario l’effettivo svolgimento di tutte le fasi del processo produttivo e che il dipendente assuma la responsabilità dell’attività svolta, essendo sufficiente che le stesse vengano in concreto svolte rispetto ad una sola funzione, purché con modalità da configurare i requisiti per il livello Cl; l’INPS ricorda il processo di riorganizzazione della propria attività e della gestione del personale, in modo da prevedere la completa gestione di un servizio da parte di unità di processo, incaricate di processi primari ed esternazione dei provvedimenti e non più la rigida divisione di compiti tra diversi settori;

pertanto la connotazione essenziale per rivendicare lo svolgimento di mansioni afferenti al profilo C) è proprio l’assunzione di responsabilità all’esterno della volontà provvedimentale dell’Ente, che nella specie era mancata, così come lo svolgimento di tutte le fasi del procedimento;

la censura non è fondata.

l’interpretazione delle declaratorie contrattuali Area B e area C, del CCNL enti pubblici economici del 1999, di cui si duole il ricorrente, ha costituito già oggetto di esame da parte di questa Corte, in relazione a fattispecie che analogamente a quella in esame, attenevano, sia pure con riguardo ad un diverso Ente (INAIL), all’attribuzione di differenze retributive per mansioni superiori;

nella sentenza n. 8683 del 2018 (cui adde, Cass. sentenza n. 14204 del 2018) si è affermato che il CCNL 16 febbraio 1999 per i dipendenti del comparto enti pubblici non economici inserisce nell’area B il personale «strutturalmente inserito nel processo produttivo» che svolge «fasi o fasce di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate attraverso la gestione delle strumentazioni tecnologiche», valuta i casi concreti, interpreta le istruzioni operative e «risponde dei risultati secondo la posizione rivestita»-, all’area C appartiene, invece, il personale «competente a svolgere tutte le fasi del processo» che opera «a livelli di responsabilità di diversa ampiezza secondo lo sviluppo del curriculum», e, quindi, differenziata in ragione della pluralità di ruoli organizzativi, di tipo sia gestionale (operatore di processo, facilitatore di processo, responsabile di processo, responsabile di struttura) che professionale (esperti di progettazione, specialisti di organizzazione); nella declaratoria generale dell’area si precisa che il personale nella stessa inserito «costituisce garanzia di qualità dei risultati, della qualità, di circolarità delle comunicazioni interne, di integrazione delle procedure, di consulenza specialistica»;

la posizione CI presuppone «conoscenze ed esperienze idonee ad assicurare la capacità di gestire regolare i processi di produzione; attitudini al problem solving rapportate al particolare livello di responsabilità; capacità di operare orientando il proprio contributo all’ottimizzazione del sistema, contribuendo al monitoraggio della qualità; capacità di gestire le varianza del processo in funzione del cliente»;

si è, quindi, affermato nella sentenza 8683 del 2018, che l’area C, quindi, si caratterizza rispetto a quella inferiore, oltre che per il diverso livello di conoscenze richiesto al dipendente, per la capacità di quest’ultimo di svolgere tutte le fasi del processo, garantendo la qualità del risultato e con assunzione di responsabilità che, seppure graduata con riferimento allo sviluppo professionale all’interno dell’area stessa, è elemento richiamato in tutti i profili;

al contrario il personale dell’area B, il quale esegue fasi di attività nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, si limita a «rispondere dei risultati secondo la posizione rivestita», circoscritta alla singola fase, nell’ambito della quale è tenuto solo ad «orientare il contributo professionale ai risultati complessivi del gruppo».

venendo infine alle critiche mosse dall’INPS rispetto alla nozione di processo produttivo si osserva che il giudice di appello ha individuato il senso di essa come inerente alla gestione dell’ «intero procedimento preordinato al riconoscimento ovvero al diniego delle prestazioni economiche previste in favore degli invalidi civili»:

rispetto a tale compiuta e delineata nozione di processo produttivo, i motivi di ricorso non sono concludenti in senso critico, limitandosi ad addurre apoditticamente la necessità che per processo si intenda una (in realtà impalpabile) maggiore dimensione dell’attività aziendale interessata dalle lavorazioni;

non diversamente, non appare decisivo, a fronte di quanto posto a fondamento della decisione, il fatto che le fasi rispondessero a maggiori o minori gradi di automatismo, avendo la Corte territoriale sottolineato come di dovessero comunque «esaminare le variabili di ogni posizione» e comunque valorizzato il fatto in sé che vi fosse stato il loro svolgimento per l’intera filiera del procedimento interessato;

così come, per quanto riguarda l’assunzione della responsabilità, il giudice di appello ha posto l’accento sulla variegata ampiezza che essa assume all’interno dell’Area C, sicché non si deve obbligatoriamente trattare di responsabilità verso l’esterno e dunque essendo sufficiente anche solo la necessità di rispondere in via diretta del proprio operato al dirigente e ciò in coerenza con i precedenti specifici di questa Corte (Cass 21 maggio 2013, n. 12407; Cass. 28 aprile 2014, n. 9344);

in definitiva la sentenza di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di cui sopra, interpretando correttamente le disposizioni contrattuali laddove ha appunto distinto tra fasi del processo e processo nella sua integralità ed ha quindi ritenuto, sulla base di una coerente nozione di processo produttivo, che la lavoratrice avesse appunto svolto l’intera filiera del profilo produttivo ad essa affidato.

il ricorso va quindi rigettato.

le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis.