CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15913
Inpgi – Giornalisti – Omissioni contributive – Sussistenza degli elementi propri del rapporto di lavoro subordinato – Stabile inserimento nell’organizzazione aziendale
Rilevato
che il Tribunale di Roma accoglieva l’opposizione proposta dalla Editrice L.S. s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo n. 1047/2010 – con il quale le era stato ingiunto il pagamento in favore dell’INPGI della somma di euro 229.161,00 per omissioni contributive relative alle posizioni dei giornalisti B., L., M. e F. in riferimento al periodo dal febbraio 2003 all’aprile 2008 – revocandolo;
che tale decisione veniva riformata, con sentenza del 26 luglio 2016, dalla Corte di Appello capitolina che, in accoglimento del gravame proposto dall’INPGI, condannava la Editrice L.S. s.p.a. al pagamento in favore dell’istituto delle seguenti somme: euro 45.852,00 per G.L.F.; euro 18.503,00 per M.C.M., euro 64.306,00 per R.L. ed euro 100.500,00 per D.B., oltre accessori come per legge;
che, ad avviso della Corte territoriale, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice:
– dalla valutazione delle prove testimoniali emergeva la sussistenza degli elementi propri del rapporto di lavoro subordinato ovvero lo stabile inserimento della prestazione resa dai giornalisti nell’organizzazione aziendale e la disponibilità degli stessi, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, alle esigenze del datore di lavoro;
– con riferimento alle singole posizioni, la B. ed il L. rientravano nella figura del collaboratore fisso ex art. 2, del CNLG, mentre il F. e la M. in quella del corrispondente di cui all’art. 12 del CNLG;
– dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata era stato calcolato il quantum dovuto dalla società;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la I. Editrice s.p.a. (succeduta a seguito di fusione per incorporazione ad Editrice L.S. s.p.a.) affidato a due motivi cui resiste con controricorso l’INPGI;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti,
unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che l’INPGI ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. con la quale dissente in parte dalla proposta del relatore evidenziando che il riferimento contenuto nella impugnata sentenza ad una CTU è un mero refuso;
Considerato
che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 2094, 2222 e 2697 cod. civ., 115, primo comma, 116, primo comma, 1 e 2 CNLG (in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) per avere la Corte di merito affermato la sussistenza di rapporti di lavoro subordinato: prescindendo dall’accertamento della soggezione del prestatore di lavoro al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro elemento questo che, nel caso in esame, era del tutto assente essendo i collaboratori in questione svincolati da qualsivoglia potere direttivo e disciplinare della Editrice L.S. avendo, come dichiarato dai testi escussi, ognuno di essi occupazioni parallele e diverse e strutturate, non avendo alcun obbligo di concordare assenze e ferie, né di fornire con cadenza concordata alcun articolo, né responsabilità di alcun settore ma solo un ambito di informazione cui riferirsi e di cui riferire, né vi era alcuna partecipazione alla cd “cucina giornalistica” o “cucina redazionale” né obblighi derivanti da direttive; senza tenere in alcun conto della qualificazione formale dei rapporti de quo come emergente dai vari accordi succedutisi nel tempo;
– con il secondo motivo viene dedotta nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n.4, cod. proc. civ. e 156 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello determinato il quantum, cioè l’ammontare del dovuto alla INPGI facendo riferimento ad una consulenza tecnica d’ufficio contabile mai espletata e, dunque, fornendo una motivazione meramente apparente ed incomprensibile;
che il primo motivo è inammissibile in quanto – nonostante il richiamo a violazioni di legge contenuto nell’intestazione – tende ad una rivisitazione del merito non consentita in questa sede. Invero le denunciate violazioni di legge postulano l’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2012; Cass. n. 12984/2006). Ed allora il motivo che pretenda di desumere tale violazione dall’erronea valutazione del materiale probatorio è già in contrasto con le suddette indicazioni. Peraltro, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160). A ciò si aggiunga che, come è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);
che, invece, fondato e da accogliere è il secondo motivo avendo l’impugnata sentenza determinato l’ammontare del dovuto dalla I. all’INPGI facendo riferimento ad una consulenza tecnica d’ufficio contabile mai espletata così finendo con fornire una motivazione del tutto apparente ed incomprensibile;
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, va accolto il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, l’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
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