CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2022, n. 19327
Licenziamento per giusta causa – Grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile – Lesione del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore
Rilevato che
1. N.R. ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecce, Enel Energia s.p.a., chiedendo di dichiarare l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 13.4.2012 per avere, quale channel manager dei punti fisici Enel (esercizi commerciali in cui è svolta attività di contrattualizzazione con i clienti) dei capoluoghi di Puglia e Basilicata, prospettato a F.A., gestore di agenzia, la possibilità di aprire un punto fisico tramite un prestanome per stipulare contR., così da conseguire corrispettivi più alti, una parte dei quali avrebbe dovuto costituire un compenso “in nero” per lo stesso R.. A. aveva informato di tale proposta il suo diretto supervisore, C.L., aveva registrato il secondo colloquio con il R. e riferito l’accaduto alla direzione.
2. Il Tribunale ha accolto il ricorso, ha annullato il licenziamento e condannato la società a reintegrare il lavoratore e a risarcirgli i danni.
3. La Corte d’appello di Lecce ha accolto l’impugnativa di Enel Energia s.p.a. e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’originaria domanda del lavoratore.
4. La Corte territoriale ha giudicato attendibile la deposizione testimoniale di F.A., confermata dalla registrazione della conversazione tra il predetto e il R., registrazione già utilizzata nella fase di reclamo avverso il provvedimento ex art. 700 cod. proc. civ. e citata da entrambe le parti negli atti processuali di appello. Da tale complesso probatorio emergeva che il R., nella sua qualità di channel manager dei punti fisici aveva suggerito ad A. di aprire un punto fisico in modo non aderente alle previsioni aziendali, così da garantirsi un compenso “in nero”.
5. La sentenza impugnata ha dato atto che il licenziamento è stato intimato senza preavviso, in base all’art. 25 del c.c.n.l. degli addetti al settore elettrico (che prevede tale misura espulsiva per il lavoratore che arrechi nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto), da leggere in correlazione con i criteri previsti per le mancanze dei lavoratori dell’Enel e col codice etico a cui rinvia il c.c.n.l., nonché con l’art. 2119 cod. civ. richiamato nella lettera di licenziamento.
Ha sottolineato la rilevanza delle disposizioni del codice etico (seconda sezione) sulla eticità dei rapporti in relazione alla buona reputazione, considerata risorsa immateriale essenziale, e sul conflitto di interessi, che raccomandano ai collaboratori Enel di astenersi dall’avvantaggiarsi personalmente di opportunità di affari di cui sono venuti a conoscenza nello svolgimento delle proprie funzioni.
Ha ritenuto che, a fronte della condotta del R., il quale anziché fornire indicazioni conformi alle direttive aziendali aveva escogitato un sistema per trarre vantaggio personale, il licenziamento costituiva misura adeguata e proporzionata, considerato anche l’elevato grado di affidamento che l’azienda riponeva nel medesimo.
6. Avverso tale sentenza N.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Enel Energia s.p.a. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. cod. proc. civ.
Considerato che
7. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., dell’art. 12, l. n. 604 del 1966 e dell’art. 25 del c.c.n.l. settore elettrico del 3.3.2010, per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che le previsioni del contratto collettivo sulla giusta causa di licenziamento non vincolano il giudice, mentre nel caso di specie sono vincolanti in quanto di maggior favore.
8. Se fosse stata fatta corretta applicazione delle disposizioni richiamate, il licenziamento sarebbe risultato illegittimo in quanto l’art. 25 del c.c.n.l. (depositato in versione integrale in allegato al ricorso per cassazione) prevede la sanzione espulsiva ove il lavoratore “compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscano delitto a termini di legge” e nel caso in esame era stata disposta l’archiviazione del procedimento penale nei confronti del R., con provvedimento del giudice per le indagini preliminari del 2.11.2012, non essendo configurabile il delitto di tentata truffa.
9. Il motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
10. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la giusta causa di licenziamento, quale “fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica, e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici o giuridici (Cass. n. 13534 del 2019; n. 31155 del 2018; n. 27238 del 2018; n. 21214 del 2009; Cass. n. 8254 del 2004).
11. Nelle medesime pronunce si è precisato come l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c. non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell’individuazione e nell’applicazione dei parametri integrativi, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, e dalla disciplina particolare, anche collettiva, in cui la concreta fattispecie si colloca.
12. Dalla natura legale della nozione di giusta causa deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi abbia valenza meramente esemplificativa, che non preclude quindi un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. n. 13534 del 2019; n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 5372 del 2004; v. pure Cass. n. 27004 del 2018). In materia di licenziamento disciplinare, la scala valoriale espressa dalle previsioni del contratto collettivo costituisce, infatti, solo uno dei parametri atti a riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c., con la conseguenza che le parti potranno sottoporre la valutazione operata dal giudice di merito all’esame di questa Corte sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del contratto collettivo o del codice disciplinare (v. Cass. 13534 del 2019; n. 9396 del 2019). 13. Diverso è il regime in materia di sanzioni conservative.
Difatti, nel caso in cui le previsioni del contratto collettivo siano più favorevoli al lavoratore – nel senso che la condotta addebitata quale causa del licenziamento sia contemplata come infrazione sanzionabile con misura conservativa – il giudice non può ritenere legittimo il recesso, dovendosi attribuire prevalenza alla valutazione di minore gravità di quel peculiare comportamento, come illecito disciplinare di grado inferiore, compiuta dall’autonomia collettiva nella graduazione delle mancanze disciplinari (v. Cass. n. 13534 del 2019 cit.).
14. Nel caso in esame, la valutazione compiuta dai giudici di appello si è svolta secondo i criteri delineati dalla giurisprudenza richiamata, avendo essi attribuito alla condotta del lavoratore idoneità a ledere il vincolo fiduciario in ragione della aperta e consapevole violazione delle direttive aziendali e della finalizzazione di tale condotta al conseguimento di un vantaggio personale; il giudizio valutativo è stato svolto in coerenza, oltre che con le disposizioni del codice civile e del codice etico, con le previsioni del contratto collettivo, che consentono il licenziamento senza preavviso non solo per “azioni che costituiscono delitto a termini di legge” ma anche per condotte che provochino all’azienda “un grave nocumento morale e/o materiale”, nella cui nozione possono certamente includersi i comportamenti di chi propone o suggerisce azioni che violano le direttive aziendali e siano finalizzate ad un esclusivo tornaconto personale.
15. Le censure oggetto del motivo di ricorso in esame non denunciano un errata applicazione dei parametri integrativi della nozione di giusta causa né sostengono l’inidoneità in astratto a ledere il vincolo fiduciario di condotte come quelle ricostruite dai giudici di appello, ma si limitano a prospettare e a sollecitare una diversa ricostruzione in fatto o una differente opzione valutativa, entrambe precluse in questa sede di legittimità.
16. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2712 cod. civ., per avere la Corte d’appello utilizzato la trascrizione della registrazione della conversazione telefonica tra il R. e A., senza considerare che il R., nei verbali delle udienze del 20.6.2012 e del 5.7.2012 (depositati in allegato al ricorso per cassazione) aveva espressamene disconosciuto tale registrazione.
17. Il motivo è inammissibile in quanto, in violazione del disposto degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., non sono trascritti né depositati i verbali d’udienza da cui risulterebbe l’avvenuto disconoscimento della registrazione e non è neppure riportato il contenuto di tale disconoscimento, al fine di farne risultare le caratteristiche in termini di chiarezza, precisione e puntualità necessarie per poter elidere il valore probatorio della conversazione registrata da chi partecipa al colloquio.
18. Questa Corte ha chiarito che, in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (v. Cass. n. 12794 del 2021; n. 17526 del 2016; n. 3122 del 2015).
19. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
20. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo.
21. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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