CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 maggio 2019, n. 13020
Cartelle esattoriali – Omissione contributiva – Esonero dal pagamento delle pretese contributive – Presupposti
Ritenuto che
la Corte d’appello Milano, giudicando su sei procedimenti d’appello riuniti avverso plurime sentenze del Tribunale di Milano aventi ad oggetto diverse opposizioni a cartelle proposte da A. s.r.l. nei riguardi dell’INPS anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a, proposti sia dalla società che dall’INPS, con sentenza n. 358 del 2013, ha riformato in parte le sentenze nn. 694/2010 e 307/2011 laddove non avevano riconosciuto la società A. s.r.l. esonerata dall’obbligo contributivo per i contributi CIG, CIGS e mobilità non riconoscendo la natura di impresa industriale di un ente pubblico e confermato le altre statuizioni impugnate;
la Corte territoriale ha premesso che le diverse opposizioni avevano avuto ad oggetto le cartelle esattoriale notificate alla società su istanza dell’Inps in ragione di pretese contributive rivendicate a titolo di contributi per CIG, CIGS, mobilità di cui all’art. 3 d.lgs. C.P.S. n. 869 del 1947, per disoccupazione involontaria e per contributi IVS e che i giudici di primo grado, con motivazioni sovrapponibili e decidendo ciascuna per quanto oggetto della relativa opposizione, avevano ritenuto – per quanto qui di interesse in ragione della parziale impugnazione in esame – che non sussistessero i presupposti per ritenere l’esonero dal pagamento delle pretese contributive rivendicate a titolo di contributi per CIG, CIGS, mobilità di cui all’art. 3 d.lgs. CPS n. 869 del 1947, non potendosi la società considerare impresa industriale di ente pubblico e che con le sentenze nn. 2597/2010 e 5160/2010, invece, il Tribunale aveva accolto parzialmente le opposizioni limitatamente ai contributi CIG e CIGS e mobilità attesa la natura di impresa pubblica della società opponente trattandosi di impresa industriale di ente pubblico;
la sentenza qui impugnata, per quanto di attuale interesse, ha ritenuto quanto ai contributi CIG, CIGS e mobilità di richiamare il proprio precedente n. 456 del 2012 e di affermare la natura di impresa industriale di ente pubblico di A. s.r.l. per cui doveva escludersi l’obbligo di pagamento dei cd. contributi per gli ammortizzatori sociali;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’INPS sulla base di un unico motivo relativo ai contributi per c.i.g, c.i.g.s e mobilità;
resiste A. s.r.l. con controricorso;
Considerato che
con l’unico articolato motivo di ricorso, si deduce violazione e o falsa applicazione degli artt. 1 e 3 d.lgs. capo provvisorio dello Stato n. 869 del 1947, ratificato dalla I. n. 498 del 1951, dell’art. 4 I. 270/1988, art. 116, commi 1 e 2, I. n. 223 del 1991, dell’art. 2,comma 1 lett. b, d.lgs. 333 del 2003, dell’art. 2903 cod. civ., art. 22 I. 142 del 1990, I. n. 498 del 1992, d.p.r. 533/1996, art. 113 d.lgs. 267/2000 come modificato dall’art. 14 d.l. 269 del 2009 conv. in I. 326/2003 e dell’art. 1, I. 308/2004; sarebbe errata, ad avviso dell’Istituto ricorrente, la esclusione dall’obbligo contributivo per c.i.g c.i.g.s e mobilità adottata quale conseguenza della natura di impresa pubblica della società posto che la partecipazione societaria non è interamente in mano pubblica e la scelta di operare in forma societaria ha determinato l’accettazione delle regole di diritto privato; la sentenza impugnata avrebbe violato il disposto delle norme indicate in rubrica dal momento che ha considerato la società A. s.r.l. impresa pubblica a tutti gli effetti in quanto società il cui capitale è interamente in mano ad ente pubblico in quanto, come documentalmente provato, il capitale sociale di A. s.r.l., società incorporante CAP Gestioni s.p.a., è interamente posseduto da enti locali (dal dicembre 2002 il 98% per cento delle azioni è stato detenuto dalla neo costituita C.H. spa a sua volta interamente posseduta dagli enti locali facenti parte della compagine di CAP Gestione e per la quota restante ai Comuni di Milano, Trezzano sul Naviglio e Somaglia);
il motivo è fondato e va accolto in continuità con i precedenti di questa Suprema Corte (vd. da ultimo Cass. n. 25354 dell’ 11 ottobre 2018; n. 27225 del 2017; Cass. n. 4274 del 4 marzo 2016; Cass. n. 27513 del 10 dicembre 2013 e molte altre conformi) secondo i quali <In materia di contributi previdenziali, la gestione di servizi pubblici mediante società partecipate, anche in quota maggioritaria, dagli enti pubblici locali non può beneficiare dell’esonero del versamento dei contributi per cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, disoccupazione e mobilità, in quanto la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. Ne consegue che la finalizzazione della società per azioni, partecipata da ente pubblico locale, alla gestione di un servizio pubblico mediante affidamento cd “in house” (ossia ad un soggetto che, giuridicamente distinto dall’ente pubblico conferente, sia legato allo stesso da una relazione organica) rileva ai fini della tutela del mercato e della concorrenza ma non ha alcun effetto ai fini dell’esonero del versamento dei contributi previdenziali per il finanziamento della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, la disoccupazione e la mobilità>>;
al richiamato orientamento questa Corte intende dare continuità; resta da aggiungere, con Cass. n. 24437 del 4/5/2017, che <<le suesposte conclusioni non possono essere scalfite né dall’art. 10, d.lgs. n. 148/2015, il quale – per quanto qui interessa – ha espressamente previsto l’assoggettamento alla cassa integrazione (e alla relativa contribuzione) delle imprese industriali aventi ad oggetto la «produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas», dal momento che la sua natura innovativa rispetto al quadro ordinamentale già esistente è già stata espressamente disconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in tal senso Cass. nn. 9816 del 2016, 26016 e 26202 del 2015), né a fortiori dall’art. 1, comma 309, I. n. 208/2015, il quale, nel far salvo dal novero delle abrogazioni previste dall’art. 46, d.lgs. n. 148/2015, l’art. 3, d.I.C.p.S. n. 869/1947 (a norma del quale «sono escluse dall’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai dell’industria […] le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato»), ha semmai confermato la voluntas legis di escludere dall’area di operatività delle disposizioni concernenti l’integrazione salariale soltanto quei soggetti che possano qualificarsi come “imprese industriali dello Stato o di altri enti pubblici”, tra le quali, per le ragioni anzidette, non possono figurare le imprese gestite in forma di società a partecipazione pubblica (così Cass. nn. 7332 e 8704 del 2017, dove il richiamo a Cass. S. U. nn. 26283 del 2013 e 5491 del 2014);
pertanto, accolto il motivo di ricorso la causa va rinviata alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione al fine di proseguire il giudizio relativo alla determinazione della contribuzione dovuta;
il giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
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