CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 agosto 2022, n. 25065

Eventi calamitosi – Agevolazioni – Pagamento dell’obbligazione contributiva – Restituzione

Rilevato che

Con sentenza depositata il 29.11.2019, la Corte d’appello di Campobasso ha rigettato, in relazione alla decisione della Commissione Europea n. 5549/2015 che ha dichiarato aiuti di Stato illegittimi le misure agevolative previste dalla legge n. 2 del 2009 di conv. con modif. del d.l. n. 185/2008, l’impugnazione proposta da A.P. avverso la sentenza di primo grado che pure aveva rigettato la sua domanda tesa ad ottenere la condanna dell’INPS alla restituzione dell’importo pari al 40% della contribuzione previdenziale dal medesimo versata per intero nel periodo compreso tra il 2002 ed il 2008 (coperto dalla sospensione concessa a causa del sisma che aveva colpito il territorio in cui la parte risiedeva) in applicazione della citata normativa italiana;

avverso tale sentenza, che, confermando la sentenza del primo giudice, ha rilevato come la Decisione della Commissione avesse esplicitamente escluso che gli aiuti invocati fossero destinati ad ovviare ai danni arrecati dal sisma o da altre calamità previste dall’art. 107, paragrafo 2, lettera b) e che la parte non avesse neanche dimostrato la ricorrenza dei presupposti individuati dalla decisione per escludere la valutazione di incompatibilità dell’aiuto (riassumibili nel fatto che i benefici siano stati concessi a chi non esercita attività economica e, quindi non svolga attività d’impresa; che vi sia stato il rispetto del regolamento de minimis; che l’aiuto sia risultato conforme ad aiuto approvato o previsto da regolamento di esenzione), ricorre A. P. con un motivo;

resiste l’INPS con controricorso;

Considerato che

con l’unico motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della decisione della Commissione (UE) 2015/5549 nonché dell’art. 107, par. 1 e par. 2, lett. b) TFUE e del Regolamento CE n. 994/98 del 7 maggio 1998; deduce in particolare che la Corte, nell’esaminare la domanda di rimborso parziale degli oneri contributivi, non aveva considerato che la citata Decisione, pur reputando illegittime le agevolazioni accordate dallo Stato italiano con le leggi invocate, non aveva rimesso alle autorità nazionali competenti l’obbligo di attivare le procedure di recupero, riscontrando nel contesto fattuale e normativo nazionale una circostanza eccezionale idonea a giustificare la deroga al ripristino dello ius quo ante; pertanto, una volta appurata un’area esclusa dalla Decisione, doveva ritenersi, nei casi esclusi, la legittimità della normativa nazionale di parziale esonero dalla contribuzione con la conseguenza che la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare la sussistenza dei presupposti relativi ai casi esclusi dalla declaratoria di illegittimità che avrebbero condotto ad una diversa conclusione e si citano precedenti di questa Corte di Cassazione (Cass. n. 19032 del 2017, nonché Cass. n. 28306 del 2019 ed altre), ritenute favorevoli, a dimostrazione della fondatezza della pretesa, data la natura non imprenditoriale dell’attività di coltivatore diretto espletata ed il collegamento dell’agevolazione al sisma che aveva colpito il Molise;

in particolare, il punto 150 della Decisione escludeva dall’ordine di recupero degli aiuti incompatibili concessi dall’Italia quelli destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale, in quanto aiuti di diritto compatibili con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 2, lettera b) del TFUE ed erogati da oltre dieci anni;

il ricorso è infondato;

preliminarmente, va rilevato che il ricorrente ha agito, depositando il ricorso dinanzi al Tribunale di Larino in data 3 marzo 2017, al fine di ottenere la condanna dell’INPS alla restituzione del 60% dei contributi versati nel periodo 2002-2008 in ragione della concessione dei benefici previsti dall’art. 6, comma 4 bis, I. n. 2 del 2009 che ha convertito con modifiche il d.l. n. 185 del 2009; tale normativa aveva esteso alla popolazione del Molise colpite dal sisma del 2002 i benefici già concessi alle popolazioni di Umbria e Marche, colpite da analoghi eventi calamitosi;

ciò a seguito dell’infruttuosa presentazione della richiesta in via amministrativa, avvenuta il primo aprile 2016; il ricorrente, quindi, muove la propria pretesa dal convincimento che il diritto al rimborso si fondi anche sulla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che ha espresso il principio secondo cui la disciplina di agevolazione riguarda anche la posizione di coloro che, all’entrata in vigore della normativa recante il beneficio, avessero già ottemperato al pagamento dell’obbligazione contributiva, posto che un’interpretazione che escludesse costoro dalla possibilità di richiedere la restituzione di quanto versato in eccesso si porrebbe in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale circa l’irragionevolezza di disposizioni legislative che sopprimano o riducano la prestazione dovuta per obbligazioni pubbliche già perfezionatesi, prevedendo al contempo l’irripetibilità delle somme già versate in esecuzione del rapporto obbligatorio siccome conformato in precedenza (Cass. n. 11247 del 2010; Cass. 16046 del 2018 in motivazione);

così ricostruita la fattispecie, ad avviso del ricorrente, la decisione della Commissione Europea n. 5549/2015, che ha dichiarato aiuti di Stato illegittimi le misure agevolative previste dalla legge n. 2 del 2009 di conv. con modif. del d.l. n. 185/2008, non inciderebbe negativamente in quanto tale decisione, oltre che ribadire l’esclusione dalla valutazione di aiuti di Stato illegittimi delle ipotesi di cui all’art. 107, paragrafi 2 e 3, TFUE, avrebbe escluso del tutto l’obbligo di restituzione dei benefici fruiti in precedenza, con ciò sostanzialmente creando le premesse logiche per legittimare la permanenza delle condizioni legittimanti secondo il diritto nazionale;

va poi osservato che i precedenti di questa Corte indicati dal ricorrente ed anche altri (vd. Cass. civ. Sez. lavoro, 27-11-2017, n. 28267; Cass. civ. Sez. lavoro, 02-07-2018, n. 17249) hanno fatto applicazione dei contenuti della Decisione della Commissione (UE) 2015/5549, ma non conducono al risultato interpretativo voluto dal ricorrente;

in tali occasioni, si è affermato che la decisione n. 195/2016 che, in subiecta materia, ha adottato la Commissione Europea in data 14.8.2015 (notificata con il n. C (2015) 5549 e pubblicata in G.U.U.E. del 18.2.2016), con la quale si è ritenuto che le misure legislative che avevano istituito i benefici in questione erano state adottate in violazione dell’art. 108, par. 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e, di conseguenza le stesse costituivano aiuti di Stato incompatibili con il mercato interno (punto 133), aggiungendosi (punti 134-136); la decisione ha espressamente rilevato : a) che una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese, oppure perché il beneficio è in linea col regolamento c.d. de minimis applicabile, oppure perché è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o ad un regolamento di esenzione); b) che l’Italia è tenuta ad annullare tutti i pagamenti di aiuti in essere, con effetto alla data di adozione della decisione, e a partire dalla data della decisione nessuna delle norme in esame nel presente giudizio può essere usata come base di riferimento per la futura concessione o il futuro pagamento di aiuti; c) che, per quanto attiene agli aiuti individuali già versati prima della data di avvio della decisione e dell’ingiunzione di sospensione, il regime va considerato compatibile con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE, a condizione che possa essere stabilito un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alla calamità naturale e l’aiuto di Stato concesso, evitando i casi di sovra compensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa; inoltre, ogni compensazione relativa a tali danni, ottenuta da una qualsiasi fonte, deve essere dedotta ed è necessario escludere ogni tipo di cumulo tra gli aiuti previsti dal regime qui in esame ed eventuali aiuti previsti da altre misure per i medesimi costi; infine, la Commissione ha esentato l’Italia dall’obbligo di recuperare gli aiuti relativi a regimi illegali concessi per le calamità naturali risalenti ad oltre dieci anni prima della sua decisione, con l’unica eccezione degli aiuti fruiti da beneficiari non aventi, al momento della calamità, una sede operativa nell’area colpita; ora, le decisioni adottate dalla Commissione delle Comunità europee, nell’ambito delle funzioni ad essa conferite dal Trattato CE sull’attuazione e lo sviluppo della politica della concorrenza nell’interesse comunitario, ancorché prive dei requisiti della generalità e dell’astrattezza, costituiscono fonte di produzione di diritto comunitario, anche con specifico riguardo alla materia degli aiuti di Stato, e quindi vincolano il giudice nazionale nell’ambito dei giudizi portati alla sua cognizione, obbligandolo a dare attuazione al diritto comunitario, se necessario attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con esso (v. da ultimo Cass. n. 35984 del 2021);

deve pure negarsi che la vicenda per cui è causa configuri un’ipotesi di “aiuti individuali già versati nel quadro delle misure in esame prima della data di avvio della decisione e dell’ingiunzione di sospensione” del 17.12.2002, di cui al punto 136 della decisione della Commissione: in specie, infatti, l’Istituto previdenziale non ha effettuato alcun pagamento con animus so/vendi, ma si è limitato ad eseguire un comando giudiziale, che ha contestualmente impugnato, anche in questa sede, contestando il diritto della parte al beneficio, onde non è configurabile né un pagamento né, a fortiori, un atto di concessione di aiuti;

controvertendosi di “pagamenti di aiuti in essere”, deve trovare piena applicazione per tali aspetti la decisione della Commissione dianzi cit., restando viceversa irrilevanti le statuizioni della medesima decisione in punto di recupero di aiuti già concessi, e ciò anche nella funzione pretesa dall’odierno ricorrente, posto che qualora la Commissione Europea, disponga la sospensione di una misura di aiuto, ne dichiari l’incompatibilità o ne ordini la restituzione, ciò comporta l’invalidità o l’inefficacia delle norme di legge e degli atti amministrativi o negoziali in forza dei quali la misura di aiuto è stata erogata;

pertanto, va esclusa la possibilità di una permanente applicazione surrettizia delle disposizioni invocate dal ricorrente; infine, posto che la decisione della Commissione, pur ritenendo incompatibile sul piano generale il regime delle agevolazioni, ha lasciato ferma la legittimità dell’intervento legislativo allorquando l’aiuto individuale rientri nei limiti del regolamento c.d. de minimis applicabile (punto 115 della decisione), ovvero possa beneficiare della deroga prevista dall’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE (punto 132 della decisione), va osservato che la sentenza impugnata, alla pagina 5, ha accertato che la parte non aveva dimostrato che tali presupposti fossero presenti;

questo capo della sentenza non è stato specificamente impugnato ed anche il rilievo che il ricorrente svolga attività di coltivatore diretto e quindi sarebbe escluso dagli effetti negativi della decisione, oltre a non fungere da elemento di idoneo motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., risulta circostanza del tutto nuova ed estranea ai contenuti della sentenza impugnata e, quindi, inammissibilmente rilevata nel presente giudizio di legittimità; da ciò deriva che il capo della sentenza impugnata è ormai definitivo;

il ricorso va quindi rigettato; le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, in favore dell’INPS.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquidate in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.