CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 settembre 2020, n. 19243
Contratto di appalto per l’affidamento delle attività di call center – lmpugnazione della liceità dell’appalto – Cessazione del rapporto di lavoro – Cessazione della prestazione di lavoro presso la società utilizzatrice
Rilevato che
1. con sentenza n. 1075 del 6.3.2019, la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale della medesima sede che aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta da C.D.O., A.R.C., S.G., G.D.G., C.F., ex dipendenti di G. Contact s.p.a., nei confronti di P.I. s.p.a. e S.D.A. Express Courier s.p.a per intervenuta decadenza, ex art. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010, essendo decorso un termine superiore a 60 giorni tra la cessazione del rapporto di lavoro presso la società utilizzatrice SDA e l’impugnazione della liceità dell’appalto;
2. in sintesi, la Corte distrettuale rilevava che la società G. Contact s.p.a. aveva concluso, nel 2002, un contratto di appalto con SDA per l’affidamento delle attività di call center per la gestione di tutte le problematiche afferenti il recapito dei pacchi Postali, contratto cessato definitivamente il 30.6.2016 e in tale data comunicato ai lavoratori, i quali erano stati in pari data sospesi dal rapporto di lavoro da parte della G. e solo successivamente (il 29.7 o il 2.8) licenziati;
3. propongono ricorso i lavoratori affidandosi a due motivi, illustrati da memoria; la società SDA Express Courier resiste con controricorso; del pari, P.I. s.p.a. resiste con controricorso; Fallimento G. Contact s.p.a. è rimasto intimato;
4. il procuratore generale, con memoria del 27.5.2020, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia – ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010 e 39 del d.lgs. n. 81 del 2015 per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che il decorso del termine di decadenza previsto dall’art. 32 citato potesse decorrere dalla data in cui i lavoratori avevano cessato di lavorare presso le società utilizzatrici piuttosto che dalla data in cui G. Contact s.p.a. aveva comunicato il licenziamento collettivo, recesso immediatamente successivo alla perdita dell’appalto, impugnato sia nei confronti dell’appaltatore che dell’appaltante;
2. con il secondo motivo si denunzia – ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ. – nullità del procedimento e omesso esame di un fatto decisivo, avendo, la Corte distrettuale, omesso ogni pronuncia “sulla impugnativa nei 60 giorni sia dal licenziamento che dalla cessione della prestazione lavorativa nell’appalto della ricorrente D.O.”;
3. il ricorso è inammissibile in quanto non soddisfa il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., essendo carente tale esposizione non solo nella premessa (composta da una pagina) del ricorso ma altresì nello svolgimento dei motivi;
4. secondo consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per cassazione, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., è inammissibile ove dalla sua lettura non sia possibile desumere una sufficiente conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, al fine di comprendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla sentenza impugnata, come nell’ipotesi in cui non vengano adeguatamente riportate né la “ratio decidendi” della pronuncia del giudice, né le ragioni di fatto e di diritto che sostenevano le rispettive posizioni delle parti nel giudizio di merito (Cass. n. 2831 del 2009; successivamente, sempre in senso conforme, cfr. Cass. n. 17036 del 2018, con ampia ricognizione di pronunce, che ribadisce il principio secondo cui la carente esposizione dei fatti di causa può essere sanata se i fatti sono chiaramente esposti nella illustrazione dei motivi);
5. il ricorso, complessivamente considerato, è sfornito della descrizione dei fatti che hanno ingenerato la controversia, della posizione delle parti, delle difese spiegate in giudizio dalle stesse, delle statuizioni adottate dal primo giudice e delle ragioni a esse sottese, dei motivi di reclamo (questi ultimi essenziali ai fini dell’apprezzamènto della censura di omessa pronuncia dedotta col secondo motivo) e, dunque, non consente di avere cognizione né degli elementi di fatto e di diritto né delle vicende del processo né della portata delle critiche rivolte alla sentenza impugnata, creando una commistione, scarsamente comprensibile (proprio in quanto non supportata dalla descrizione del fatto sostanziale), tra licenziamento e cessazione della prestazione di lavoro presso la/le società utilizzatrice/i, con impossibilità di comprendere altresì la pertinenza dei precedenti giurisprudenziali richiamati nel primo motivo;
6. questa Corte ha, altresì, precisato che i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 cod.proc.civ. devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso (cfr. da ultimo, Cass. n. 29093 del 2018);
7. entrambi i motivi sono, inoltre, prospettati con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto della lettera di impugnazione dei lavoratori (di settembre 2016), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366, primo comma, n. 6, e dall’art. 369, secondo comma, n. 4 (Cass. n. 3224 del 2014; Cass. SU n. 5698 del 2012; Cass. SU n. 22726 del 2011), posto che la sentenza impugnata rileva che da tale lettera si evince chiaramente la consapevolezza dei lavoratori circa la interruzione del rapporto di lavoro con il committente-utilizzatore (e, dunque, la scissione temporale tra tale momento e quello, distinto e successivo, della cessazione del rapporto con il datore di lavoro formale);
8. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
9. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge a favore di ciascun controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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