CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2022, n. 5128
Credito professionale – Componente del collegio sindacale – Ammissione al passivo fallimentare – Onere della prova – Esatta esecuzione della prestazione professionale
Rilevato che
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Napoli – decidendo sul ricorso in opposizione allo stato passivo presentato da D.V.S. nei confronti del Fallimento società C.S. s.p.a. in liquidazione, avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al passivo di un credito professionale maturato nella qualità di componente del collegio sindacale – ha confermato il decreto di rigetto del g.d., respingendo in tal modo la così avanzata opposizione.
Il Tribunale ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che – nonostante dovesse ritenersi pacifica e non contestata la qualità di sindaco rivestita dal D.V. nel periodo dal 25.6.2009 al 17.7.2012, in virtù dell’incarico conferito con delibera del consiglio di amministrazione in data 25.6.2009 – il relativo credito professionale maturato nella predetta qualità non potesse essere ammesso al passivo fallimentare, in quanto il creditore istante non aveva fornito la prova dell’esatto adempimento, come era suo onere; ha infatti evidenziato che, a fronte dell’eccezione tempestivamente sollevata da parte della curatela dell’inadempimento della prestazione di componente del collegio sindacale, l’opponente non aveva dimostrato l’esatta esecuzione della prestazione, non avendo depositato i verbali delle verifiche trimestrali né delle assemblee alle quali avrebbe partecipato né le revisioni dei conti ovvero qualsiasi altro verbale degli organi sociali dai quali poter dimostrare l’esecuzione della prestazione professionale in relazione alla quale aveva avanzato istanza di insinuazione e non potendo ritenersi utile a tal fine neanche l’articolata prova testimoniale in quanto prova tardivamente presentata e comunque genericamente formulata.
2. Il decreto, pubblicato il 20.11.2015, è stato impugnato da D.V.S. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Fallimento società C.S. s.p.a. in liquidazione ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, la Curatela però oltre il termine prescritto dall’art.380 bis.1.
Considerato che
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 98 e 99 l. fall. e degli artt. 36, 99 e 112 cod. proc. civ. nonché omesso esame di questione rilevabile d’ufficio. Osserva il ricorrente che l’eccezione di inadempimento sollevata dal g.d. in sede di verifica e ripresa dal curatore era inammissibile e avrebbe dovuto essere dichiarata tale anche d’ufficio da parte del tribunale in sede di giudizio di opposizione allo stato passivo. Si evidenzia che la predetta eccezione rientrava nella categoria delle eccezioni riconvenzionali e che, come tale, era inammissibile nel giudizio ex art. 99 l. fall., al pari delle domande riconvenzionali sollevate dalla curatela fallimentare.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 98, 99 e 146, 2 comma, l. fall., nonché degli artt. 1453, 1455, 1460, 1241, 1242, 2402 e 2403, cod. civ., e degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., e vizio di omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ. Si osserva che l’eccezione di inadempimento sollevata in sede di giudizio oppositivo da parte della curatela sarebbe stata formulata in modo apodittico e vuota di contenuti, non avendo specificato in qual modo si sarebbe concretizzata l’inesattezza dell’adempimento della prestazione professionale fornita, così rendendo la predetta eccezione inammissibile; e che comunque il preteso credito risarcitorio, solo enunciato dalla curatela in via di riserva di azione giudiziaria, avrebbe dovuto peraltro essere coperto dalla necessaria autorizzazione giudiziale ai sensi dell’art. 146, 2 comma, l. faIl.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 2233, 2402, 2697 e 2729 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché per vizio di omesso esame di fatto decisivo.
Osserva ancora il ricorrente che era stato lo stesso provvedimento impugnato a dar conto che lo svolgimento della sua prestazione professionale in favore della società in bonis avrebbe dovuto considerarsi fatto pacifico e non contestato, sicchè il tribunale avrebbe dovuto solo accertarsi del quantum debeatur relativo alla predetta prestazione, dovendosi ritenere la diversa decisione adottata dal tribunale partenopeo come violativa del principio di non contestazione fissato positivamente ora dall’art. 115 cod. proc. civ.
4. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
4.1 Il primo motivo è infondato.
4.1.1 Sul punto è utile ricordare, in termini generali e ricostruttivi degli istituti qui invocati, che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, l’eccezione riconvenzionale, pur ampliando il tema della controversia, tendendo a paralizzare il diritto della controparte, rimane nell’ambito della difesa e del “petitum” e, quindi, si differenzia dalla domanda riconvenzionale che, invece, è diretta ad ottenere l’accertamento di un diritto con autonomo provvedimento avente forza di giudicato (cfr. anche Sez. 2, Ordinanza n. 26880 del 22/10/2019).
Ciò chiarito in termini generali, occorre ancora una volta richiamare la non contrastata ed univoca giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità secondo la quale – nel giudizio di opposizione allo stato passivo – non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di “ius novorum”, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del “thema disputandum” e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime, tuttavia, il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27902 del 04/12/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 21490 del 06/10/2020).
Ne consegue la piena ammissibilità della proposta eccezione riconvenzionale da parte della curatela in quanto eccezione volta solo a paralizzare e ottenere il rigetto dell’avversa domanda di insinuazione al passivo (cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10528 del 15/04/2019, in tema di eccezione di compensazione; v. anche Sez. 1, Sentenza n. 19003 del 31/07/2017).
4.2 Anche il secondo motivo è infondato.
4.2.1 Osserva il Collegio come il provvedimento impugnato sia giuridicamente corretto, quanto all’applicazione dei principi regolatori della ripartizione degli oneri probatori in tema di responsabilità contrattuali, perché conforme alla giurisprudenza, ormai stratificata, espressa da questa Corte di legittimità nella subiecta materia.
La consolidata giurisprudenza di questa Corte, a partire dal noto arresto reso a sezioni unite (v. n. 13533 del 30/10/2001), ha infatti statuito il principio secondo cui – in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione – il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod.civ., risultando in tal caso invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento (ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione).
4.2.2 Ciò posto e precisato, rileva la Corte come in realtà l’odierna parte ricorrente – a fronte della legittima (e tempestiva) eccezione di inadempimento sollevata dal fallimento, in relazione alla prestazione professionale sopra ricordata – non abbia affatto adempiuto all’onere della prova sulla stessa incombente per dimostrare, al contrario, l’esatto adempimento della prestazione stessa; e ciò il tribunale ha correttamente rilevato con un accertamento in fatto, che avrebbe potuto essere qui censurato attraverso il vizio di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (per come, ora, perimetrato dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte: cfr. Cass.S.U. n. 8053/2014), vizio qui invece solo formalmente evocato nella rubrica del motivo di ricorso in esame e poi neanche proposto nella illustrazione della doglianza. Ed invero, il tribunale partenopeo ha rilevato che il creditore opponente non aveva depositato i verbali delle verifiche trimestrali né delle assemblee alle quali avrebbe partecipato né le revisioni dei conti ovvero qualsiasi altro verbale degli organi sociali dai quali poter dimostrare la corretta esecuzione della prestazione professionale, in relazione alla quale aveva avanzato istanza di insinuazione e non potendo ritenersi utile, a tale fine, neanche l’articolata prova testimoniale in quanto prova tardivamente presentata e comunque genericamente formulata.
4.2.3 Orbene, il ricorrente evidenzia che il tribunale, nell’accogliere la predetta eccezione di inadempimento sollevata ex art. 1460 cod. civ. dal fallimento, non avrebbe invece considerato e rilevato il difetto di specifica allegazione dei comportamenti che avrebbero integrato l’eccepito inesatto inadempimento.
Sul punto va precisato che se si può anche convenire che è onere della parte che invoca l’inadempimento allegare con sufficiente specificità il contenuto dell’inesattezza dell’adempimento imputato alla controparte, tuttavia va considerato che porre a carico del debitore convenuto che eccepisca l’altrui inadempimento – come pretenderebbe il ricorrente – un onere di allegazione eccedente rispetto a quanto sia sufficiente per individuare, tramite l’indicazione della fonte e dell’oggetto della obbligazione, il contenuto dell’obbligo (nella specie, il diligente esercizio della funzione assunta) il cui inadempimento è imputato all’altra parte, si tradurrebbe in falsa applicazione del principio sopra ricordato in tema di ripartizione degli oneri probatori (così, anche Sez. 1, Sentenza n. 12501 del 2015).
4.3 Anche il terzo motivo è infondato.
4.3.1 Da un lato, è di pronto rilievo che la doglianza prospettata dal ricorrente, quanto a violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ., dimentica di considerare che la ratio decidendi espressa chiaramente dalla decisione impugnata (che ha solo dato atto della permanenza nella carica formale di sindaco del ricorrente nel periodo considerato) si fonda proprio sul rilevo dell’eccezione di inadempimento sollevata dalla curatela fallimentare in relazione alla quale il creditore istante non è riuscito a dimostrare il contrario, sicchè dedurre il mancato rilievo della non contestazione dei fatti costitutivi dell’azionato diritto di credito si scontra proprio contro il diverso profilo dell’integrale contestazione del diritto di credito stesso per l’eccepito inadempimento della controprestazione.
Nel resto il motivo articola irricevibili valutazioni in fatto sul corretto scrutinio della prova documentale che – come è noto – non possono avere accesso in questo giudizio di legittimità.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione sentenza n. 8374 depositata il 4 aprile 2018 - Vi responsabilità del datore di lavoro di carattere contrattuale ex art. 2087 c.c. per cui il lavoratore che agisce per il riconoscimento del danno da infortunio deve allegare e provare…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 05 marzo 2020, n. 6370 - Il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento,…
- CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 37453 depositata il 21 dicembre 2022 - Il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito, a seguito di infortunio sul lavoro o malattia professionale, ha l'onere di…
- Corte di Cassazione sentenza n. 1045 depositata il 17 gennaio 2018 - La responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 c.c. ha natura contrattuale, di talché il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio o l'Istituto…
- Corte di Appello di Roma sentenza n. 553 depositata il 12 marzo 2018 - Ai sensi dell'art. 2087 c.c. la responsabilità del datore di lavoro è di natura contrattuale per cui il lavoratore che agisca per il riconoscimento della malattia professionale deve…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 marzo 2020, n. 7091 - La rivalutazione monetaria in tema di crediti contributivi non costituisce un accessorio naturale credito quando il maggior danno, a norma dell'art. 1224 c.c., comma 2, subito dal creditore, a causa…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Lavoro a chiamato o intermittente: le regole, i li
Il lavoro intermittente (c.d. lavoro a chiamata) è disciplinato dal D.Lgs. n. 81…
- DURC: congruità della manodopera e campo di applic
Con l’articolo 8 del Decreto Legge n. 76/2020 (c.d. Decreto Semplificazion…
- Credito di imposta per investimenti in beni strume
Nelle istruzioni della compilazione delle dichiarazione dei redditi 2023 per il…
- ISA 2023: cause di esclusione
L’Agenzia delle Entrate con proprio provvedimento ha approvato gli ISA (In…
- Irretroattività dell’art. 578-bis c.p.p. rel
la disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. ha, con riguardo alla confisca…