CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2020, n. 11697
Licenziamento per giusta causa – Insussistenza della malattia – Attività investigativa – Verifica dell’esatto adempimento delle obbligazioni facenti capo al dipendente – Comportamenti tenuti al di fuori dell’ambito lavorativo, disciplinarmente rilevanti
Rilevato che
– con sentenza in data 8 giugno 2018, la Corte d’Appello di Genova ha respinto il reclamo avverso l’ordinanza con cui il locale Tribunale aveva rigettato il ricorso proposto da C.S. nei confronti del licenziamento per giusta causa intimatogli da F. S.p.A.;
– in particolare, il giudice di secondo grado, confermando, sul punto, quanto già statuito in primo grado, ha ritenuto legittima l’attività investigativa svolta per accertare che il ricorrente (il quale aveva lamentato di essersi procurato un trauma contusivo con lesione lacero contusa mentre, a bordo del proprio scooter, si allontanava dal cantiere presso cui svolgeva le mansioni di montatore di S. e addetto all’assemblaggio di navi, con certificazione del pronto soccorso, prescrizione di riposo assoluto per alcuni giorni e trasmissione degli atti all’INAIL) si era in realtà dedicato ad attività fisiche, pedalando per ore e camminando per il centro cittadino con il figlio sulle spalle;
– avverso tale pronunzia propone ricorso C.S., affidandolo a due motivi;
– resiste, con controricorso assistito da memoria, la F. S.p.A.
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 5 L. n. 300/70, 69 D.Lgvo n. 150/2009 e 25 D.Lgvo n. 151/2015 in ordine alle esenzioni dalla reperibilità per i lavoratori subordinati ed alla connessa illegittimità dei controlli investigativi effettuati;
– il motivo è infondato;
– va rilevato che congrua deve ritenersi la sussunzione della fattispecie e rispettosa del disposto di cui agli artt. 2, 3 e 4 L n. 300/70 essendo legittimo servirsi delle agenzie investigative per verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni facenti capo al dipendente con riguardo a comportamenti tenuti al di fuori dell’ambito lavorativo disciplinarmente rilevanti (ex plurimis, Cass. n. 12810 del 22 maggio 2017);
– a guardar bene, infatti, non si verte in ipotesi di controllo datoriale circa l’esecuzione della prestazione ma, invece, di verifica e controllo di un comportamento extralavorativo illecito, fondata sul sospetto del mancato svolgimento illegittimo dell’attività lavorativa per l’insussistenza della incapacità lavorativa nel caso di specie invece presente;
– in casi quali quello di specie nei quali il datore di lavoro sia indotto a sospettare che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa sia riconducibile alla perpetrazione di un illecito anche il solo sospetto o la mera ipotesi che un illecito sia in corso di esecuzione giustifica l’espletamento del controllo (sul punto, fra le altre, Cass. n. 848/2015), né rileva la circostanza che si trattasse di infortunio sul lavoro e non di assenza per malattia e, quindi, non fosse richiesta reperibilità ed esperibile visita fiscale;
– il secondo motivo, con cui si allega, deducendosi ancora una violazione di legge, configurabile in termini di insussistenza dell’obbligo di rientro in anticipo sul periodo di inabilità risultante dalla certificazione INAIL e, in subordine, la sproporzione tra comportamento e sanzione espulsiva, è infondato;
– va rilevato, al riguardo, che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 25162 del 26 novembre 2011, nonché Cass. n. 20433 dell’11 ottobre 2011) le disposizioni dell’art. 5 della legge 20 maggio 1970, n.300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza;
– nel caso di specie, ad avviso del Collegio, gli accertamenti espletati non avevano una finalità di tipo sanitario, sicuramente preclusa, mirando, piuttosto, esclusivamente ad una verifica della non riscontrabilità della malattia o la idoneità di essa a giustificare uno stato di incapacità lavorativa rilevante;
– ne discende la legittimità dell’accertamento effettuato anche mediante controlli di tipo investigativo non attenendo gli stessi allo svolgimento dell’attività lavorativa stricto sensu, bensì, all’insussistenza di una situazione atta a ridurre la capacità lavorativa del dipendente;
– d’altro canto, relativamente al controllo concernente l’adeguatezza della sanzione espulsiva, va rilevato che, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr., sul punto, Cass. n. 26010 del 17 ottobre 2018) in tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che – anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente – è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità;
– nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto dimostrate tutte le circostanze di fatto oggetto della contestazione disciplinare posto che, come rilevato dal primo giudice con statuizione non oggetto di censura, tali circostanze hanno trovato conferma nelle dichiarazioni rese dai testi informatori ed ha adeguatamente motivato in ordine all’insussistenza di un comportamento improntato a correttezza e buona fede sulla base della perdurante assenza dal lavoro del dipendente nonostante l’intervenuta guarigione dimostrata dallo svolgimento di intensa attività ciclistica nonché di altre attività ludiche giudizialmente accertate;
– la Corte, d’altro canto, fornisce adeguata contezza della ritenuta contrarietà a buona fede e, anzi, del palese contrasto con i più elementari obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, come risultante dal combinato disposto degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. risultante in tutta la sua gravità dal fatto che durante il periodo di riposo prescritto il dipendente aveva svolto assidua attività sportiva ed altre attività più o meno ordinarie quali prendere sulle spalle i propri figli, senza in alcun modo comunicare al datore di lavoro l’intervenuto recupero delle proprie abilità;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere respinto;
– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo;
– sussistono i presupposti di cui all’art. 13, Co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012;
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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