CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 luglio 2018, n. 19023
Licenziamento per giusta causa – Promotore di vendita di autoveicoli – Assenza ingiustificata dal posto di lavoro – Mancata autorizzazione da parte aziendale
Rilevato che
La Corte d’Appello di Perugia, in riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede, dichiarava la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato in data 15/3/2013 dalla R. s.p.a., attualmente U. s.p.a. in liquidazione, nei confronti di M.I. All’esito di una ricognizione del quadro istruttorio delineato in prime cure ed integrato in sede di gravame, la Corte distrettuale riteneva dimostrata la fondatezza degli addebiti ascritti, consistiti nella prolungata assenza dalla sede del lavoratore, promotore di vendita di autoveicoli inizialmente ad enti pubblici e successivamente anche a privati, in assenza di autorizzazione da parte aziendale, e di qualsiasi comunicazione in merito, rimarcando che detto comportamento integrava una delle ipotesi cui l’art. 225 c.c.n.I. di settore, collegava l’applicazione della massima sanzione disciplinare.
La cassazione di tale decisione è domandata dall’Italiani sulla base di plurimi motivi.
Resiste con controricorso la società intimata.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5 l. 604/66, 2119, 1218, 2697 c.c. nonché dell’art. 225 c.c.n.I. del settore terziario.
Si lamenta che la Corte distrettuale abbia ritenuto legittimo il recesso datoriale in difetto di una prova rigorosa dell’assenza dal lavoro, il cui onere gravava a carico della parte datoriale, tralasciando di considerare le deposizioni rese da taluni testimoni dalle quali erano emersi fatti incompatibili con l’assenza oggetto di contestazione. La pronuncia impugnata era da ritenersi errata, perché pervenuta all’accertamento della legittimità del licenziamento in difetto di prova rigorosa dell’assenza ingiustificata dal posto di lavoro.
2. Con il secondo motivo si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. 300/70 nonché dell’art. 225 c.c.n.I. di settore. Si stigmatizza l’impugnata sentenza per aver fatto rientrare nella dinamica processuale, le questioni inerenti alla irreperibilità telefonica del dipendente nel periodo oggetto di contestazione, nonché la mancata redazione di rapporti relativi alla attività svolta, estrinseche rispetto perimetro della contestazione, limitata alla sola protratta assenza dal lavoro.
3. Il terzo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 5 l. 604/66, 2119, 2697 c.c. nonché dell’art. 225 c.c.n.I. di settore. Si deduce che le acquisizioni probatorie poste a fondamento del decisum fossero inidonee a definire il comportamento assunto dal lavoratore in termini di inadempimento alle obbligazioni.
4. La quarta critica concerne la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7 l. 300/70. Si deduce che la Corte di merito abbia errato laddove ha ritenuto esigibile da parte del lavoratore,cui sia contestata un’assenza di 50 giorni, l’assolvimento dell’onere di provare in modo dettagliato le mansioni svolte, laddove la disposizione statutaria prevede esclusivamente che debba essere assicurato al lavoratore il diritto di difesa e che il provvedimento disciplinare non possa essere adottato prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione.
5. Il quinto motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. 604/66 e dell’art. 2119 c.c. nonché degli artt. 2697 e 218 c.c..Ci si duole che la Corte di merito non abbia indirizzato la propria analisi sull’oggetto dell’inadempimento contestato al lavoratore, consistito nella assenza dal luogo di lavoro protrattasi per 50 giorni. L’analisi delle mansioni ascritte, doveva intervenire in momento logicamente successivo al raggiungimento della prova certa relativa alla prolungata assenza.
6. Con il sesto ed il settimo motivo si denuncia rispettivamente, omesso esame circa un fatto storico decisivo oggetto di discussione fra le parti, e violazione dell’art. 132 n.4 c.p.c..
Si contestano gli approdi ai quali è pervenuta la corte di merito in tema di accertamento del contenuto delle mansioni svolte, giacche le deposizioni raccolte deponevano nel senso della insussistenza per il ricorrente, dell’obbligo di svolgere le mansioni di venditore all’interno dei locali aziendali.
7. L’ottavo motivo denuncia omesso esame circa un fatto storico decisivo oggetto di discussione fra le parti, con riferimento alle mansioni espletate dopo il gennaio 2013.
Ci si duole che la Corte territoriale abbia tralasciato di considerare (ES la natura “itinerante” del contenuto delle mansioni svolte, da cui discendeva l’insussistenza di un obbligo di frequentare con regolarità la sede aziendale. Si lamenta che la pronuncia, travisando i fatti, avrebbe in modo illogico e contraddittorio accertato il mutamento delle mansioni ascrittegli, in virtù della rarefazione del suo impegno con gli Enti Pubblici, che risultavano estese anche alle vendite a soggetti privati, da cui discendeva l’obbligo di frequentare con regolarità la sede aziendale.
8. Con il nono motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 1175, 1375, 2106, 2967 c.c., dell’art. 7 l. 300/70 nonché dell’art. 225 c.c.n.I. di settore. Si richiama la censura formulata in grado di appello, in ordine alla violazione, da parte datoriale, dei principi di immediatezza e tempestività della contestazione disciplinare, criticando la statuizione dei giudici del gravame i quali avevano ritenuto che la condotta della società non vulnerasse i principi descritti sul rilievo natura continuata della condotta inadempiente.
9. I motivi, da trattarsi congiuntamente stante la connessione che li connota, non sono fondati.
Essi tendono ad inficiare gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito, sul rilievo sostanziale del non corretto scrutinio del quadro istruttorio delineato, che avrebbe indotto la Corte a ritenere sussistenti elementi idonei a definire come inadempiente la condotta del lavoratore agli obblighi scaturenti dal vincolo contrattuale, alla stregua di una inadeguata definizione del contenuto delle mansioni ascritte.
Secondo i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, il ricorso per cassazione non introduce un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia dei vizi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ..
Nello specifico il ricorrente, per il tramite del vizio di violazione di legge, intende prospettare un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello elaborato dai giudici del gravame, con procedimento inibito nella presente sede di legittimità.
La valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (vedi ex aliis, Cass. 4/7/2017 n. 16467).
10. Nello specifico la Corte di merito ha proceduto ad un accertamento in concreto ampio e articolato del materiale istruttorio acquisito, vagliando il peso probatorio delle dichiarazioni testimoniali rese e pervenendo alla conclusione che l’inadempimento oggetto dell’atto di incolpazione, fosse effettivamente ascrivibile al dipendente.
I giudici del gravame hanno infatti argomentato che al venir meno dell’attività di procacciamento “esterno” di affari con enti pubblici, ragionevolmente, secondo \’id quod plerumque accidit, era corrisposto un proporzionale incremento della prestazione richiesta al dipendente nella attività di vendita all’interno della sede aziendale di veicoli ordinari o speciali a privati. Nell’ottica descritta doveva ritenersi rientrante nel contenuto esigibile della prestazione lavorativa, l’adempimento di precisi obblighi inerenti alla redazione costante dei report, all’adempimento delle formalità documentali idonee ad asseverare visite esterne ai clienti, in buona sostanza allo svolgimento delle attività coessenziali all’espletamento della attività di vendita alla quale era preposto.
Adempimento che non era stato riscontrato, neanche nel contenuto minimo, giacché presupponeva una presenza nella sede aziendale non confortata dalle deposizioni testimoniali raccolte dalle quali era emersa, altresi, l’irreperibilità telefonica del lavoratore.
Tale accertamento investe pienamente la quaestio facti, e rispetto ad essa il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 7 aprile 2014.
11. Né le questioni inerenti alla irreperibilità telefonica del dipendente nel periodo oggetto di contestazione, nonché alla mancata redazione di rapporti relativi alla attività svolta, richiamate dalla Corte di merito a sostegno dell’iter motivazionale, possono ritenersi eccentriche rispetto perimetro della contestazione, che il ricorrente (con il secondo motivo) limita alla sola protratta assenza dal lavoro.
Come questa Corte insegna, il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione disciplinare, il quale vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, non può ritenersi violato qualora, contestati atti idonei ad integrare un’astratta previsione legale, il datore di lavoro alleghi, nel corso del procedimento disciplinare, circostanze confermative o ulteriori prove, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre (vedi ex plurimis, Cass. 12/3/2010 n. 6091).
Nello specifico, nessuna violazione del principio di immutabilità della contestazione può essere riscontrato nella fattispecie, essendo stati valorizzati elementi di fatto idonei a definire il contenuto della condotta ascritta ed oggetto di contestazione, consistita, in definitiva, nella assenza ingiustificata dal lavoro.
12. Né appare sindacabile il giudizio espresso dalla Corte di merito in ordine alla tempestività della contestazione disciplinare; deve, infatti, rammentarsi che la valutazione relativa alla tempestività degli addebiti rispetto alla attuazione della condotta oggetto di incolpazione, costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato (cfr. Cass. cit. n. 29480/2008).
Orbene, la Corte distrettuale, nel proprio incedere argomentativo, ha congruamente rimarcato che l’infrazione disciplinare addebitata al lavoratore concerneva una condotta protrattasi nel tempo ed integrante un illecito permanente, con la precisazione che, al momento della contestazione dell’addebito, la condotta disciplinarmente rilevante assunta dal dipendente, era ancora in atto, dovendosi così escludere qualsiasi violazione dei principi testé richiamati in tema di ritualità della contestazione.
Si tratta di accertamento che appare congruo sotto il profilo logico e corretto sul versante giuridico, onde anche sotto tale profilo, la pronuncia resiste alle censure all’esame.
Non si provvede alla disamina dell’ultimo motivo formulato dal ricorrente con riferimento al regime delle spese adottate dai giudici del gravame, perchè condizionato all’accoglimento delle censure precedenti.
13. In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni il ricorso è respinto.
Il governo delle spese del presente giudizio di legittimità segue, infine, il regime della compensazione, tenuto conto degli esiti diversi della controversia nelle fasi di merito.
Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del presente giudizioso
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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