CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 giugno 2018, n. 16029
Cessione del contratto di lavoro – Indennità di disoccupazione – Ricerca di un nuovo lavoro – Verifica – Percezioni di altri redditi da lavoro
Rilevato
che la Corte d’Appello di Roma ha respinto, con sentenza n. 2885/2016, il gravame proposto da T.I. s.p.a. avverso la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato l’opposizione a due decreti ingiuntivi ottenuti da P.D. contro T.I. s.p.a. per il pagamento, con uno, delle retribuzioni, tredicesima compresa, da dicembre 2011 a marzo 2012 e, con l’altro, di alcuni arretrati antecedenti a titolo di premio di risultato; che T. era ritenuta obbligata in quanto, con sentenza sempre del Tribunale di Roma, era stata accertata l’illegittimità della cessione del contratto di lavoro dalla stessa a S. s.p.a. e quindi vi era stata condanna della prima al risarcimento del danno dal 16.9.2006 fino all’effettiva reintegrazione, detratto quanto percepito da S., da cui la P. era stata estromessa nell’ottobre 2011;
che la Corte distrettuale, per quanto qui interessa, riteneva infondata l’eccezione di aliunde perceptum con riferimento alla indennità di disoccupazione, stante la ripetibilità nei confronti del lavoratore degli importi erogati sul piano previdenziale, in caso di percezione delle retribuzioni;
che veniva altresì respinta l’eccezione di aliunde percipiendum, ritenendo meramente esplorativa la richiesta di acquisizioni documentali finalizzata alla verifica dell’effettiva ricerca di altro lavoro da parte della P. e sottolineandosi come le retribuzioni richieste fossero quelle immediatamente successive alla cessazione della prestazione di lavoro presso S., sicché era del tutto improbabile l’immediato reperimento da parte della ricorrente, data anche l’età, già in quel periodo, di un’occupazione alternativa;
che avverso la sentenza T.I. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, resistiti con controricorso della P.;
Considerato
che con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., T.I. s.p.a. sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso, così violando gli artt. 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463 c.c., che l’indennità di disoccupazione, percepita dalla P. per effetto dell’allontanamento dal servizio presso S. non potesse essere portata in detrazione da quanto preteso nei confronti di T.;
che con il secondo motivo, dedotto sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente articola due censure, riguardanti, la prima, la mancata emissione, in violazione dell’art. 210 c.p.c., dell’ordine di esibizione dei documenti fiscali inerenti i redditi l’anno 2011, nonostante allegazione del fatto che la ricorrente avesse lavorato altrove e la seconda concernente invece la violazione degli artt. 1223 e 1227 c.c., per non essersi preso in considerazione il fatto (aliunde percipiendum) che la P., se si fosse diligentemente attivata per il reperimento di altri redditi, avrebbe potuto impedire il prodursi del danno, sicché il preteso risarcimento andava escluso o diminuito in ragione del comportamento colposo del presunto danneggiato;
che il primo motivo è infondato, alla luce del consolidato orientamento, qui da confermare, espresso proprio anche in ambito di cessione di azienda poi dichiarata nulla, secondo cui le somme percepite dal lavoratore a titolo di prestazioni previdenziali “non possono essere detratte da quanto egli abbia ricevuto come risarcimento del danno per il mancato ripristino del rapporto ad opera del cedente a seguito di dichiarazione di nullità della cessione di azienda o di ramo di essa, dando luogo la eventuale non spettanza ad un indebito previdenziale, ripetibile” in sede previdenziale (Cass. 27 marzo 2017, n. 7794; in caso di risarcimento riconnesso a licenziamento dichiarato illegittimo: Cass. 14 febbraio 2011, n. 3597; Cass. 16 marzo 2002, n. 3904);
che il secondo motivo va parimenti disatteso, in quanto l’istanza di esibizione della denuncia dei redditi è stata giustamente ritenuta dalla Corte territoriale come puramente esplorativa, a fronte dell’allegazione del tutto generica della percezione di redditi da un non meglio precisato “altro datore di lavoro”, secondo quanto risulta dal ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo, per come riportato nell’ambito del ricorso per cassazione;
che inoltre, essendosi dedotta con il primo motivo la sussistenza di uno stato di disoccupazione, l’affermazione rispetto alla percezione, nel medesimo contesto temporale, di altri redditi da lavoro non potrebbe che fondarsi, dati i limitati casi di compatibilità tra ciò – nel vigore della L. 181/2000 (ndr: D.Lgs. 181/2000) – e lo stato di disoccupazione, sull’effettiva conoscenza e precisa esplicitazione dell’accaduto, risolvendosi altrimenti ancora tutto in una mera ipotesi, parimenti inidonea a sorreggere la richiesta di esibizione;
che anche il terzo motivo è infondato, in quanto la Corte territoriale non ha per nulla omesso di considerare l’ipotesi della colpa del lavoratore e quindi dell’aliunde percipiendum, escludendola sulla base della considerazione di merito, non implausibile e quindi non suscettibile di riesame in sede di
legittimità, in ordine al fatto che non fosse per nulla pronosticabile che, nel breve lasso di tempo interessato, un lavoratore dell’età della P. (46 anni) potesse trovare subito un’occupazione alternativa anche attivandosi prontamente in tal senso;
che pertanto il ricorso va respinto, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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