CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 luglio 2018, n. 19093
Rapporto di lavoro – Personale degli Enti pubblici di ricerca – Indennità sostitutiva a titolo di compenso per le ferie non godute – Spettanza – Esigenze di servizio
Rilevato che
la Corte d’Appello di Roma, a conferma della pronuncia di prime cure, ha rigettato la domanda di L. A., dipendente dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), rivolta a sentir dichiarare la spettanza in capo allo stesso dell’indennità sostitutiva a titolo di compenso per le ferie non godute, maturate dal gennaio 2000 sino alla cessazione del rapporto d’impiego, avvenuta il 30/11/2009, comprensiva di rivalutazione ed interessi, e dei relativi contributi previdenziali e assistenziali;
la Corte territoriale, aderendo alle tesi del primo Giudice, ha ribadito che, secondo quanto previsto dall’art. 6, co.15, del c.c.n.I. per il personale degli Enti pubblici di ricerca, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, soltanto qualora la mancata fruizione delle ferie sia dipesa da esigenze di servizio, il dipendente ha diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva; nella specie non è risultato provato che vi fossero state richieste del dipendente respinte dall’amministrazione, né, l’elenco dei lavori disimpegnati dall’appellante – prodotto nei gradi di merito -, era in grado di dimostrare la necessità di preclusione, pressoché integrale, della fruizione delle ferie per dieci anni;
ha inoltre sottolineato che, data la posizione dell’appellante all’interno dell’Ente, lo stesso aveva autonomia nel determinare il proprio tempo di lavoro, e dunque, anche l’organizzazione delle proprie ferie (art. 59, co.l, del c.c.n.I.), e che, nondimeno, non avesse né allegato, né provato, la riconducibilità della mancata fruizione dei congedi alle esigenze di servizio;
avverso tale pronuncia ricorre per cassazione L. A. con un’unica, articolata censura illustrata da memoria, mentre l’ISPRA si costituisce al solo fine di partecipare alla discussione orale.
Considerato che
con l’unica censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co.l, n.3 cod. proc. civ., parte ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 244 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. per aver la Corte di appello di Roma – Sezione lavoro – rigettato l’ammissione dei mezzi istruttori articolati (tra cui interrogatorio formale e prova testimoniale) ritenendo di conseguenza non adempiuto l’onere della prova, gravante sull’A., di dimostrare che non aveva goduto delle ferie maturate per esigenze di servizio rappresentate all’A. dalla stessa Ispra e cioè dai suoi superiori, omettendo, inoltre, di applicare l’art. 2729 cod. civ. sulle presunzioni semplici”. L’Ente era a conoscenza del mancato godimento delle ferie da parte del ricorrente, ma mai gli aveva richiesto un “piano ferie”, consentendogli di lavorare, con conseguente danno da usura psico-fisica; l’eventuale omessa richiesta delle ferie da parte del lavoratore non avrebbe comunque potuto mai essere equiparata alla tacita rinuncia al loro godimento, e il lavoratore non avrebbe potuto essere mai decaduto dal diritto alle stesse, salvo che non fosse stato il datore di lavoro a provarne il rifiuto. Infine, il ricorrente censura il rigetto della domanda da parte della Corte d’Appello, là dove quest’ultima non ha ritenuto nemmeno di dovere far ricorso a presunzioni semplici, nella fattispecie ammissibili in quanto gravi, precise e concordanti;
il motivo di ricorso è inammissibile;
le doglianze appaiono estremamente generiche sotto più di un profilo e sono inidonee ad avvalorare la tesi difensiva del ricorrente; pecca di genericità l’individuazione del soggetto o dei soggetti a cui carico il ricorrente pone la responsabilità di avergli impedito di fruire del fondamentale diritto ai fini del ripristino delle energie psico-fisiche; allo stesso modo, non risulta adeguatamente censurata la ratio decidendi della sentenza d’Appello, là dove la stessa ha ritenuto di attribuire maggiore rilievo al deficit probatorio (e di allegazione) rispetto alla circostanza della mancata fruizione delle ferie per esigenze di servizio, in quanto, nel caso di tecnologi e ricercatori essi determinano autonomamente il proprio tempo di lavoro, e, dunque, sono gli esclusivi responsabili della programmazione dei propri piani ferie;
quanto al lamentato omesso ricorso alle presunzioni semplici, è appena il caso di ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, pacificamente ritiene che la scelta di adozione di un siffatto strumento probatorio è considerata parte integrante dei poteri istruttori del Giudice del merito di natura discrezionale: “…Il ricorso alle presunzioni è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato (ex multis Cass. n.154/2006);
il Giudice dell’appello, con motivazione esente da vizi logico argomentativi, ha accertato che, dovendo le ferie essere richieste dal dipendente, ai sensi dell’art. 6, co.9 del c.c.n.I. per il personale del settore degli Enti Pubblici di Ricerca, l’attuale ricorrente non avesse fornito la prova che la mancata fruizione di esse per ben dieci anni fosse dipesa da ragioni di servizio, né che le sue richieste fossero state respinte dall’Ente (art. 6 co. 15 c.c.n.I.);
in definitiva, non meritando l’unica censura accoglimento per le ragioni sopra esposte, il ricorso è inammissibile. Nulla si dispone sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte dell’intimata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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